Vittorio, un padre eccezionale1934-1979

Memoria per Vittorio, un padre eccezionale

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Vittorio, un padre eccezionale1934-1979

di Paola Sanfelice

Andiamo al cinema, allo stadio a vedere l'Inter e lui, che non è appassionato di calcio, si arrabbia più del tifoso bambino che è in me. Per non farmi mangiare le unghie mi spalma la sera la tintura di iodio, con poco successo per la mia caparbietà. In treno - nei lunghi viaggi da Milano a Palermo - mi sequestra Topolino per farmi guardare fuori dal finestrino. L'unico schiaffo, sonoro ma garbato, me lo ha dato nel giardino di Porta Venezia a Milano: ho preso in giro una persona affetta da nanismo e, oltre allo schiaffo, non ho ricevuto  il regalo che mi è stato promesso. Episodi, squarci di vita con mio padre. É mancato quando io avevo sedici anni, mia sorella undici; sono trascorsi trentasette anni ma il ricordo è vivido e lucente. Come quando a Brunate, ameno luogo di villeggiatura seicento metri sopra Como, siamo andati nel bosco a raccogliere massi da portare in giardino perché, dato che era stato in Giappone, voleva "arredare" il giardino in stile nipponico. La memoria che ho piacere di descrivere è quando al circolo Esperanto, la lingua neutra che non appartiene ad alcuna nazione, mi nascondevo dietro di lui nell'interpretare alcune scenette.

Vittorio Dall'Acqua nasce a Palidano di Gonzaga il 25 maggio del 1934, l'anno prima è nata la sorella Annamaria. Il padre, ragioniere dei conti Strozzi, muore a 56 anni lasciando i due ragazzi insieme alla madre quasi abbandonati nel piccolo paese mantovano. Annamaria trova un impiego alle poste, Vittorio lavora come maestro. Madre e figli si trasferiscono - grazie a un parente che contribuisce a fare assumere Vittorio al Corriere della sera come impiegato - a Milano nel '58 e inizia per loro la vita cittadina, così diversa dalla quiete del paese. Milano è alle prese con il dopoguerra e dalle macerie del conflitto sorgerà, di lì a poco, l'esplosione economica degli anni '60. Il ragazzo si fa apprezzare sul lavoro e nel privato; si iscrive al Circolo Esperantista Milanese. In occasione di un congresso a Palermo conosce Anna che, dopo un anno di fidanzamento, diventa sua moglie. Sono stati insieme poco più che diciannove anni, ma sono stati anni intensi e difficili, ricchi di amore e sentimento, allietati dalla nascita di Roberto (1963) e Daniela (1968). Sono gli anni dell'espansione economica, ma anche gli anni del terrorismo e della crisi energetica. La famiglia Dall'Acqua è granitica nei propri valori e Vittorio, dopo la nascita dei figli, mantiene sempre i suoi impegni culturali. L'occupazione al giornale gli consente di avere uno stipendio da sommare in casa con quello della moglie insegnante, ma le sue preferenze vanno all'arte, al disegno e alla scrittura: scrive poesie e testi teatrali in esperanto e disegna. Si iscrive ai corsi dell'accademia di Brera, alla sera, per perfezionare la passione della pittura. Amore che lo porta a fare qualche esposizione per le vie di Milano con altri pittori. In via Bagutta, per esempio, Vittorio, nell'autunno del 1978, si sente affannato e stanco; il respiro corto. Una serie di esami approfonditi gli diagnosticano un tumore e pochi mesi di vita. Lotta fino ad agosto del '79 quando, nella "sua" Brunate costruita con tanto amore, arriva una sgangherata autoambulanza bianca a portarlo via. L'ultimo viaggio è verso l'ospedale milanese che lo aveva in cura, dove muore.  

Vittorio Dall'Acqua, Palidano di Gonzaga (MN) 25 maggio 1934 - Milano 8 agosto 1979

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Roberto Dall'Acqua

Vittorio Dall'Acqua di Ermigi Rodari Era un uomo dotato di una viva intelligenza, rispettoso e tollerante verso tutti ed il loro modo di vedere, ma rigorosamente coerente con le sue convinzioni e la sua etica di vita. Un'etica certamente non di comodo ma che richiedeva impegno, una visione seria dei vari problemi ed un conseguente lineare comportamento sia nel pubblico che nel privato. Una mentalità, come si dice, alla tedesca? No! Anzi abbinava una notevole genialità ad una abbastanza frequente mancanza di senso pratico. Solo uno come lui, in una casa più che decorosa ma un po' piccola per le esigenze di una famiglia relativamente numerosa, poteva concedere la priorità all'acquisto di un appezzamento di terreno in una amena località affacciata sul Lario (che definiva “il mio podere”) per costruirci senza fretta un grazioso cottage immerso nella natura e con una amaca tesa all'ombra fra due alberi. Un piccolo paradiso che riuscì a realizzare appena in tempo perché un nuovo Piano Regolatore comunale stava per togliere l'edificabilità al terreno. A seguito dei suoi studi, la sua professione iniziale fu quella di maestro, gradita e rispondente alla sua sensibilità, ma presto si rese conto che, oltre alla temporanea precarietà, essa economicamente non prometteva molto. Pertanto non si lasciò sfuggire una buona opportunità offerta dal Corriere della Sera, dove ebbe una valida carriera amministrativa. Ma i suoi interessi erano diversi e differenti fra loro. Uno che l'accompagnò per tutta la sua vita fu l'Esperanto la lingua internazionale proposta per risolvere razionalmente e in modo definitivo il problema della babele linguistica: ne fu conquistato non solo per la sua facilità d'apprendimento, e quindi adatta allo scopo, ma specialmente da quel suo retroterra culturale ed idealistico basato sulla reciproca comprensione che poteva affratellare le genti ponendole su una base di neutrale eguaglianza. In questa lingua, ed ancor più in italiano, scrisse numerosi articoli, saggi e studi, oltre a dare sfogo alla sua ricorrente vena poetica. Un'altra sua passione fu la pittura: frequentò con successo dei corsi alla milanese Accademia di Brera e parecchie sue opere sono tuttora presenti nelle case di parenti ed amici. Il suo carattere estroverso e positivo e la sua religiosità molto sentita ma molto aperta (oggi sarebbe in sintonia con Papa Francesco I) rientravano nei suoi tratti salienti. Come pure la frequente distrazione, inevitabile conseguenza dell'essere spesso immerso nei suoi pensieri. Un significativo esempio: un giorno entrò in una farmacia e distrattamente, viste due discrete code davanti a due addetti, si rivolse ad un terzo inoperoso. Solo dopo un saluto ed un “Per favore, io vorrei….” si accorse di essersi rivolto ad un manichino: gli chiese educatamente scusa e si mise in coda con gli altri. Un male allora quasi incurabile ha spento, ancora in giovane età, una vita ricca di risultati e di promesse.

Ermigi Rodari

Grazie

Il Giornale del Ricordo

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