Da Fiume a Pavia passando per un lager7/4/2019

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Da Fiume a Pavia passando per un lager7/4/2019

di Erica Gazzoldi

Ho conosciuto Lilia Derenzini a Pavia, durante i “pub letterari” organizzati da Dario Bertini. Io ero una studentessina, lei una matura signora. Aveva raccontato di essere originaria di Fiume; ma, per il resto, era pavesissima. Ex-insegnante di inglese, ha pubblicato “Poesie vagabonde” (Emi, 1997), i racconti “Anni di guerra” (Ed. 3° Millennio, 1999) e la raccolta poetica “Il vento sulla pelle” (Montedit, 2002).

Più tardi (molto più tardi), ho letto anche quella sua breve autobiografia che mi ero procurata: Da Fiume a Pavia passando per un lager (2010). Un libro non voluminoso, ma denso - soprattutto di nomi. La storia familiare di Lilia è una telenovela. Come, forse, lo sarebbe quella di chiunque, una volta messa per iscritto. Ma la cosa più interessante è vedere come “la vita privata” non sia scindibile dalla Storia con la “s” maiuscola. Casomai qualcuno ancora se ne dimenticasse.

Tanto per cominciare, Lilia e la sua gemella Nadia nacquero il 30 agosto 1944, quando la loro città era ancora sotto i bombardamenti. Ben prima di avere ricordi personali, la piccola viveva già la necessità di correre (portata in braccio dalla madre) nei rifugi antiaerei.

Più consapevole fu la partecipazione agli eventi del nonno paterno, Felice Derenzin (un cognome veneziano, più tardi trasformato in “Derenzini”). Lui fu membro del Comitato Nazionale Italiano di Fiume, nel 1918: quello che proclamò la volontà di appartenenza della città all’Italia. Scrive Lilia: “Oggi, molti fiumani si chiedono amareggiati se ne sia valsa la pena: questo slancio d’amore per la madrepatria non fu capito, anzi si ritorse contro i suoi abitanti, perché scambiato per fascismo […] Ma nel 1918 a Fiume non c’era ancora il fascismo. Neppure gli italiani capivano quel romantico attaccamento, tipico delle città di confine, anche perché non conoscevano la storia di questa città mitteleuropea, così lontana da Roma” (Da Fiume a Pavia…, p. 26).

Di tutt’altro avviso era, invece, il nonno materno di Lilia, Marian Rusich. Lui sosteneva invece che Fiume dovesse costituire uno Stato libero. Tant’è che suo figlio Natale (uno zio materno dell’autrice) girava al largo, durante i comizi di D’Annunzio.

Nel quaderno del nonno paterno Felice, Lilia trovò due copie fotografiche della resa di Riccardo Zanella, presidente del Libero Stato di Fiume (1920-1924). Una di tali copie è stata donata da lei all’Istituto di Storia Contemporanea dell’Università di Pavia. Un altro lascito di Felice a Lilia è stata la passione per la scrittura.

Per quanto riguarda il profilo privato di Marian, la nipote lo descrive come un uomo forte e generoso, cui piaceva offrir da bere ai molti amici. Aveva un debole per la figlia Carmen, madre dell’autrice. Nonno Marian morì in ospedale, a soli trentotto anni, dopo aver subito l’umiliazione dell’olio di ricino da parte dei fascisti.

Il “lager” che campeggia nel titolo fu invece sperimentato da Ferruccio Derenzini, il padre di Lilia. Nel 1943, aveva fondato una cellula del CLN a Fiume. L’anno successivo, fu arrestato per questo e deportato a Dachau. Proprio gli incontri che fece qui furono alla base del suo futuro legame con Pavia. Durante la prigionia, Ferruccio conobbe infatti il matematico Enrico Magenes, che era stato allievo di suo fratello Tullio Derenzini alla Scuola Normale di Pisa. Con lui, incontrò un altro pavese, Ferruccio Belli.

Nel 1948, quando arrivò a Pavia in una calda giornata d’agosto, Lilia portava con sé una valigia di ricordi, insieme all’infantile inconsapevolezza. Le “mani d’oro” di mamma Carmen, che si era ricamata da sola tutto il corredo della dote. La sede in stile rococò, dove nonno Felice era stato direttore della Società Filarmonica Drammatica Fiumana. Le polemiche della bisnonna Amalia contro la bisnonna francese Clotilde e le sue abitudini “troppo aristocratiche”. Questo e altro, in un “mondo piccolo” agitato e mutato dalle correnti del “mondo grande”.

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