L’armoniosa panoramica11/8/2020

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L’armoniosa panoramica11/8/2020

di Salvo Ferlito

Alla Galleria del Momentum Bio-Resort di Selinunte la “Piccola Antologica” del fotografo palermitano Alessandro Di Giugno

Immagini apparentemente slegate, magari pure contraddittorie, e tuttavia tenacemente connesse fra di loro da un filo logico e linguistico che ne fa tessere d’un articolato mosaico coerentemente composto in un unico insieme stilistico e narrativo.

Un giovane surrealmente mascherato da elefante; degli alberi solitari plasticamente evidenziati da un sapiente gioco chiaroscurale; i componenti di una congrega che esibiscono con inusitata fierezza i simboli della loro appartenenza; tutti scatti a prima vista scollegati – se osservati con superficiale approccio ed incongrua chiave di lettura –, tappe di un percorso artistico che parrebbe all’insegna della casualità e della estemporaneità; e ciò non di meno – a ben vedere – null’altro che capitoli d’una unica e coerente narrazione, ove la peculiare ricerca d’una percepibile omogeneità estetica fa da legante e filo conduttore all’acuta disamina di quanto alberga nella dimensione esistenziale, sociale ed ambientale della contemporaneità.

E’ vero che nello “statuto” del fotografare vi è l’incontro casuale col soggetto imperdibile, l’incrocio improvviso col luogo e con l’attimo ideali, l’intuizione immediata del potenziale narrativo insito in un volto, un corpo od un contesto; ma è altrettanto vero che la fotografia è anche “progettazione”, capacità di “costruire” una inquadratura partendo da una “visione preesistente”, ricerca ostinata dell’appropriato “qui ed ora”; e tutto ciò sin dagli albori di questa disciplina artistica – quando la palese filiazione delle foto dai modelli della pittura portava ad una decisa pianificazione d’ogni scatto – e in fondo non meno al giorno d’oggi, in un tempo in cui la manipolazione digitale delle immagini è ormai una prassi consueta e sistematica.

L’operare di Alessandro – che non a caso è fotografo colto e intelligente – annoverentrambe le suddette impostazioni: cercare i soggetti più appropriati senza escludere l’ausilio di una alea imperscrutabile e al contempo inserirli in una trama visuale ampiamente cogitata a priori. L’individuazione – apparentemente fortuita – di spunti tematici dai connotati surreali si accompagna così alla meticolosa attenzione per gli assetti compositivi, al frequente ricorso a raffinati effetti di chiaroscuro, alla scelta di accostamenti cromatici equilibrati ed eleganti, alla predilezione per una struttura fabulatoria dai toni ineffabili e paradossali, testimoniando d’un modus operandi in grado di integrare l’improvvisa e inattesa ispirazione con un impianto visivo assai pausato e meditato che mai possa prescindere dalla voluta “costruzione” d’ognuna delle foto. Il tipico incedere da fotoreporter (in termini di mero assorbimento di quanto cade più o meno accidentalmente sotto l’obiettivo) si coniuga pertanto con l’ostinata ricerca dell’inquadratura ideale, operata attraverso un certosino processo di edificazione nel quale convogliare un immaginario affinato alla luce d’una profonda cultura visuale.

Questa abituale e consolidata impostazione spiega il perché l’andamento diacronico del fotografare di Alessandro – la cui ricostruzione è alla base di questa “piccola” mostra di carattere antologico – non presenti mai stacchi evidenti o brusche soluzioni di continuità, ma tenda piuttosto ad amalgamarsi in una sorta di “armoniosa panoramica”, ove le immagini paiono comporsi chiaramente in un insieme del tutto sincronico e coerente.

Ne consegue che uno scatto di quindici anni fa possa essere accostato in tranquillità ad uno più recente, e questo senza che si apprezzi alcuna visibile cesura o incoerenza estetico-linguistica; piuttosto quella cui si assiste è una riuscita “polifonia visuale”, nella quale si avverte come un senso straniante di assoluta atemporalità; un raccontare (e in fondo un raccontarsi) nel quale non si nota un classico procedere per tappe sequenziali – ove ognuna è obbligata premessa (crono)logica della successiva  ma in cui ciascuna immagine è parte integrante d’un compiuto “ensemble”, sottraendosi del tutto ad ogni stringente distinzione fra ante post.

La “simultaneità visuale” – dunque – è ciò che rende peculiare il lavoro fotografico di Di Giugno; nessuna parvente incongruenza o brusco salto – pertanto – fra la foto di un incombente peschereccio e quella di un totemico cactus, né – tanto meno – fra l’inquadratura di un gruppo di medici atteggiati come i componenti di una corporazione olandese del ‘600 ed i surreali ritratti di giovani dotati di ali di cartone immortalati nell’illusoria attesa d’un libertario volo verso qualche altrove; la cifra stilistica – infatti – è sempre chiara e inoppugnabile, e non soltanto – come detto – dal punto di vista tecnico e formale, quanto piuttosto nei connotati tendenzialmente metafisici dell’impianto narrativo.

E’ il pervasivo potere di fabulazione – in definitiva – il carattere comune a tutte queste foto; la loro analoga capacità di irretire l’osservatore, immettendolo in un mondo “altro”; il loro eguale “magnetismo” che prescinde dai particolari di quanto messo a fuoco; il loro esser frutto del meraviglioso artificio che è da sempre alla base delle arti visuali: e cioè di quell’attitudine – che appartiene solo ai veri artisti – a tributare valore estetico e simbolico a qualsiasi oggetto o soggetto, sottraendolo in tal modo alla transitoria dimensione della normalità e della banalità per elevarlo – mediante un’aura suadente ed ineffabile – all’imperituro rango di opera d’arte.

La mostra sarà visibile fino al prossimo 5 settembre, ogni giorno dalle 9 alle 20.

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