Piazzale Loreto fra storia, urbanistica, profezie e curiosità7/1/2022

Memoria per Piazzale Loreto fra storia, urbanistica, profezie e curiosità

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Piazzale Loreto fra storia, urbanistica, profezie e curiosità7/1/2022

Dici piazzale Loreto e automaticamente l’associ all’unico evento per il quale è tristemente conosciuto in Italia e nel mondo: l’impiccagione per i piedi dei cadaveri di Mussolini e di alcuni gerarchi a fine guerra. Ma due secoli di storia di questo che oggi è un grande, strategico e caotico snodo stradale milanese, quotidianamente attraversato in ogni direzione da migliaia di pedoni ed 8 linee di autobus in superfice più due linee di metrò sottoterra, non si esauriscono certo nei fatti del 29 aprile 1945.

Intanto il nome. Sul finire del ‘500 l’arcivescovo di Milano (e futuro santo) Carlo Borromeo promosse la costruzione di chiese fuori le mura cittadine, e dove già sorgeva una piccola cappella di S.Ambrogio (strada delle Rottole, oggi via Caretta, da dove passava l’antica strada consolare romana per e da Bergamo e Brescia) ne volle una dedicata alla Madonna di Loreto, di cui era assai devoto. La peste del 1576-77 ne impedì però l’immediata edificazione, che avvenne fra il 1609 e il 1616, con Carlo Borromeo già deceduto. La chiesetta fu arricchita dalla statua lignea della Madonna di Loreto, donata da un benefattore (Pietro Spagnolo), quindi dalla seconda peste (1630, quella raccontata nei “Promessi sposi”) in poi, la chiesetta andò incontro a un lento ma inesorabile declino. Nel 1913, verrà infine sconsacrata e poi demolita, mentre la statua lignea del ‘600 sarà trasferita dove si trova tuttora: nella vicina chiesa del SS.Redentore, in via Pierluigi da Palestrina.

Tuttavia, dalla fine del ‘600 in poi la presenza di quella chiesetta aveva già dato all’intera zona (ancora aperta campagna) il nome di Loreto. Nel 1782 fu inaugurata una strada per collegare Milano (la città allora terminava ai bastioni della Porta Orientale, oggi Porta Venezia) con la villa reale di Monza, costruita come residenza estiva per l’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Al primo tratto del nuovo viale (lungo poco più di un chilometro, fino alla chiesetta della Madonna di Loreto) fu dato proprio il nome di “corso di Loreto”. Era a 3 corsie, intervallate da 2 filari di pioppi, e presso la chiesetta dove finiva doveva sorgere un rondò. La parentesi napoleonica fermò i lavori, che poi ripresero nel 1815, subito dopo il Congresso di Vienna e il ritorno degli austriaci a Milano.

Il corso di Loreto fu ulteriormente abbellito (nel 1906, in omaggio ai tanti italiani emigrati in Argentina, gli sarà poi dato il nome attuale di corso Buenos Aires) e alla sua estremità sorse il rondò di Loreto, subito inaugurato il 31 dicembre 1815 dall’imperatore austriaco Francesco I. Da questo rondò si aprirono poco dopo due grosse arterie: nel 1825 la “provinciale veneta” (oggi via Padova), destinata alle truppe e al traffico commerciale da e verso il Veneto e l’Austria, e nel 1838 il “viale trionfale austriaco” (oggi viale Monza), ossia la seconda parte del vecchio progetto del 1782. Pomposo ed alberato, questo viale imperiale passava poi per i comuni di Greco, Gorla, Precotto e Sesto S.Giovanni, per poi proseguire con altri nomi verso Monza. Fu l’imperatore Ferdinando I d’Asburgo ad inaugurare l’odierno viale Monza, giungendo a Milano nello stesso 1838 per farsi incoronare re del nuovo Regno Lombardo-Veneto. Al rondò di Loreto fu accolto con tutti gli onori, così come fu accolto l’imperatore Francesco Giuseppe 20 anni dopo (1857), benché la popolazione milanese si mostrasse fredda nei suoi confronti. Da tranquillo rondò di periferia, circondato da prati, il rondò di Loreto con gli anni andò via via trasformandosi fino a iniziare a prendere forma il caotico e affollato piazzale Loreto che oggi conosciamo.

Il primo edificio a sorgere sulla piazza, ancora ricadente fuori il confine cittadino, fu a fine ‘800 l’Albergo Loreto, fra viale Monza e via Padova. Nel 1912 fu trasformato in “Cinema Teatro Loreto”.

Nel 1909 si chiamava già “piazzale” anziché “rondò”, ed era già circondato non più dal verde ma da nuovi edifici. Il pomeriggio del 12 maggio, presso l’Albergo Loreto, 127 ciclisti effettuarono la punzonatura per poi, iniziare proprio dalla piazza, alle 2.53 della notte, il primo Giro d’Italia della storia del nostro paese. Nonostante l’ora proibitiva, nel piazzale e lungo viale Monza era tanta la gente radunatasi per l’evento. Il tragitto della prima tappa (397 km) passava per Monza, Bergamo, Brescia, Verona, Padova e Ferrara, per poi concludersi a Bologna l’indomani prima del tramonto.

Il 26 giugno del 1920, deplorando l’uccisione di un socialista tirato giù dal tram in quel luogo e pugnalato poi anche da morto, Benito Mussolini scrisse sul “Popolo d’Italia”: “La storia italiana non ha episodi così atroci come quello del piazzale di Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti… Quei linciatori non hanno mai visto una trincea e rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale.” La similitudine con ciò che sarebbe capitato a lui stesso lì, 25 anni dopo, ha davvero dell’incredibile…

Nel 1923 l’area del piazzale fu staccata dal comune di Greco ed inglobata nel comune di Milano. Nel 1935 il cinema Teatro Loreto divenne “Cine ‘900” (sala di 1.000 posti con proiezioni estive all’aperto, nel cortile interno), che nel 1958 chiuderà i battenti. L’edificio sarà demolito e sostituito in posizione più arretrata da uno nuovo, chiamato “Palazzo del fuoco” per via delle sue vetrate colorate nella notte. Sempre negli anni ’30 sorse, nel tratto fra via Padova e via Andrea Costa (che per un breve periodo sarà intitolata al martire fascista Cesare Melloni), l’anonimo palazzone che c’è tuttora.

Qualche anno prima (1928), nel tratto fra via Andrea Costa e viale Abruzzi era nato l’albergo più grande di Milano, che aveva ripreso il nome del vecchio Albergo Loreto con l’aggiunta del nome Titanus. Salutato come “nuovo colosso dell’ospitalità milanese”, disponeva di 550 camere accessoriate. Durante la guerra sarà requisito dai tedeschi e parzialmente bombardato dagli americani. Nel dopoguerra ospiterà tutto il personale della Pirelli fino al 1960, quando al posto dei vecchi stabilimenti rasi al suolo dai bombardamenti bellici sorgerà il “Pirellone”. A metà degli anni ’60, caduto ormai in disuso, il Titanus verrà demolito per far posto al palazzo con prospetto principale in vetro che c’è tuttora.   

Tornando agli anni ’30, nel 1933 l’angolo di piazzale Loreto con viale Brianza fu scelto come capolinea del primo filobus cittadino: il n.81. A quella data erano stati già rimossi i vecchi edifici che impedivano alle vie Porpora, Caiazzo (attuale via Andrea Doria) e Brianza di confluire direttamente nel piazzale, che così perse del tutto la conformazione circolare del rondò originario per raggiungere quella attuale. Sempre in quel periodo, nel tratto fra corso Buenos Aires e via Andrea Doria una staccionata provvisoria occupò il posto dell’ex fabbrica di profumi “Migone”. Davanti quella staccionata, alle 5.45 dell’8 agosto 1944 (siamo in piena repubblica Sociale) per ordine dei tedeschi furono fucilati dai fascisti della “Muti” 15 prigionieri politici prelevati dal carcere di S.Vittore. I cadaveri resteranno lì, sotto l’arsura, per tutto il giorno. Così vollero i tedeschi, contro cui il giorno prima i partigiani compirono un attentato nel vicino viale Abruzzi provocando 7 vittime. La ritorsione, benché prevista dai codici militari, fu così spropositata nel numero e feroce nella modalità che suscitò profonda impressione nei milanesi. Provocò anche le vibrate proteste di Mussolini, che profetizzò: “Il sangue di piazzale Loreto lo pagheremo molto caro”.

Quando infatti, il pomeriggio del 27 aprile 1945 giunse a Milano la notizia della cattura di Mussolini ad opera dei partigiani di Dongo, i vertici della Resistenza intendevano riportarlo a Milano per fucilarlo in piazzale Loreto. Qualcosa andò però storto, il commando comunista partì non per prelevarlo, ma col segreto intento di ucciderlo sul posto. Ma anche lì in riva al lago di Como i programmi non filarono lisci, Mussolini fu trovato già cadavere e dopo l’improvvisata messinscena di una finta fucilazione pomeridiana fu riportato a Milano coi corpi di Claretta e di altri gerarchi fucilati a Dongo. Alle 3.40 di domenica 29 aprile i corpi furono scaricati nell’esatto punto del piazzale dove pochi mesi prima erano stati fucilati i 15 antifascisti (qualcuno volle intitolare il piazzale, “piazza 15 martiri”). Col far del giorno il passaparola corse rapido per tutta Milano e la folla corse a vedere i cadaveri, alcuni dei quali (Mussolini ovviamente incluso) intorno alle ore 11.00 furono appesi per i piedi al traliccio del distributore di benzina Esso, all’inizio di corso Buenos Aires. Sia che l’episodio avvenne per salvare i corpi da ulteriori linciaggi, come si giustificarono a posteriori i partigiani, sia che fu un sadico surplus di spettacolo, fatto sta che quei corpi penzolarono in quel modo per 2 ore e mezza (fino alle 13.30), a beneficio di fotografi e cameraman anche americani (le truppe alleate erano entrate proprio quella mattina in città) che poterono così soddisfare ogni più o meno macabro capriccio immortalandoli nelle più svariate pose e da ogni angolatura. Oggi quel tratto iniziale di corso Buenos Aires dove fino al 1949 ci fu quel distributore divenuto noto, è occupato da un McDonald’s, mentre il punto della fucilazione dei 15 antifascisti e della permanenza dei cadaveri di Mussolini e dei gerarchi prima dell’impiccagione è occupato da una filiale della Banca Popolare di Milano. Una stele all’inizio di via Andrea Doria ricorda oggi la fucilazione del 1944, nessuna targa o lapide invece ricorda i fatti del 29 aprile 1945, profondamente impressi ancor oggi – pur con differenti vedute - nella memoria collettiva di tutto il paese.

Nel dopoguerra, ogni anno il 25 aprile vede piazzale Loreto al centro di commemorazioni della Liberazione, condite specie fino agli anni ‘60 di polemiche e scontri tra facinorosi di opposta fazione o fra essi e la polizia (su tutti, quelli del 1948). A quella data, nel tratto fra viale Brianza e viale Monza era stati costruiti una serie di edifici di 9 piani che formarono una linea ininterrotta ricurva. Lì traslocarono subito i grandi magazzini della UPIM (aveva prima sede – la prima ad aprire in Italia - in corso Buenos Aires 88, di fronte alla famosa pensilina Esso, difatti in molte foto dei cadaveri fascisti appesi fece da sfondo la sua insegna), quindi a metà degli anni ’60 da quelli della COIN (oggi le sue ex vetrine sono occupati da quelle della ditta “Poltrone e Sofà”).

Accanto la COIN, sempre negli anni ’60, in contemporanea all’apertura nel piazzale delle linee n.1 rossa (1964) e n.2 verde (1969) della metropolitana, nacque e si sviluppò un nuovo Cinema Loreto. L’attività rese discretamente (sala da oltre 1.000 posti) fino agli anni ’80, quando l’avvento della tv commerciale decretò la chiusura di diversi cinema cittadini o la riconversione di parte di loro in cinema a luci rosse. Il Cinema Loreto visse i suoi ultimi 10 anni proprio come sala di film per adulti, poi nel 1996 chiuse i battenti.

Oggi piazzale Loreto è solo un grande, archjtettonicamente anonimo ed esteticamente pure bruttino snodo stradale: non ha piste ciclabili, non lo si può attraversare da un punto all’altro a piedi, se non pigliando il sottopasso della metro o girando attorno al suo lungo perimetro, e non vi si può accedere al centro (dove peraltro non c’è nulla). Chi non ne conosce la storia, difficilmente può anche a grandi linee immaginare che prima di vendere “l’anima al traffico veicolare” (citazione de “I quaderni di…piazzale Loreto. Due secoli di storia” di R.Bont, L.Marabelli, F.Ornaghi, testo da cui sono state prese molte fonti di questo articolo), questo era un rondò periferico tranquillo, fatto di verde e qualche panchina. Un po' come lo era tutta l’area viale Monza-via Padova-Loreto-corso Buenos Aires-Porta Venezia, tanto familiare a chi scrive per averla percorsa a piedi e in tutte le direzioni decine e decine, forse centinaia di volte. Con qualche riferimento storico qua e là, ma senza mai avere in testa quel quadro d'insieme dell’evoluzione urbana che il libro sopra citato gli ha adesso fornito.

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