Il profumo del sidro

07 April 2019

di Mara Antonaccio 

La mia auto percorre monotona l’autostrada che inesorabilmente mi riporta a casa da queste lunghe vacanze, sto guidando tranquilla, mentre i pensieri  vanno a pianificare date, orari, programmi. La nulla facenza dei giorni passati ormai è un ricordo e mille impegni mi attendono in città. Mi dibatto tra la voglia di ritrovare il mio mondo e un represso desiderio di fuga, che alternativamente si affacciano alla mente, sgomitando l’un l’altro per catturare la mia attenzione. Tutto sommato mi piace tornare a casa e ricominciare con la vita di sempre. La mattina compiere i soliti gesti metodici, comprare il pane e il latte nello stesso negozio sotto casa, portare i bambini a scuola e poi andare al lavoro. Certo, stare lontano dalla solita routine all’inizio delle vacanze è indispensabile per ritemprarmi, ma poi mi viene voglia di tornare e di ritrovare il mio posto accogliente, la casa che ho messo su con le cose che mi piacciono, i mobili, i piccoli oggetti che mi danno quelle gioie di cui è fatto il quotidiano. Riabituarmi è stato faticoso ma ormai ho ricominciato con i ritmi di sempre e vengo risucchiata dal vortice della vita frenetica; sento lo scorrere dei giorni che si accorciano e che avvicinandosi alla stagione fredda, assumono una luce dorata, magica, con quel venticello fresco che ti passa sul viso ma che è ancora ben lontano dai rigori invernali. E’ pomeriggio, sono uscita dal lavoro un po’ in ritardo e camminando lungo il viale alberato che mi separa dal metrò, un alito di questo vento impertinente ha sollevato le foglie rosse degli aceri, che iniziano a cadere, depositandole mollemente sull’asfalto.  L’atmosfera è irreale, l’odore di umido e di erba bagnata colpisce il mio olfatto in modo prepotente ed è quasi una sensazione voluttuosa. Da una finestra socchiusa esce la musica di una vecchia  canzone jazz,  cantata con voce graffiante e malinconica, e io chiudo gli occhi, annuso l’aria con piacere quasi animale e riconosco gli aromi dell’autunno che arriva, fatto di nebbia, di foglie e di muschio. 

Mi stringo protettiva nel mio maglione caldo e cammino ad occhi chiusi, quasi giocando con la brezza e lasciandomi spingere dalla sua mano gentile. Sono rapita dal profumo che l’aria porta con se e non mi accorgo di nulla, tutto quello che è al di fuori non mi riguarda, i miei passi sono così leggeri che quasi ballano sul letto di foglie cadute. Ma all’improvviso vengo riportata bruscamente alla realtà, sento un colpo  forte sul viso, attutito da qualcosa di soffice e contemporaneamente avverto sulla pelle lo sfregamento di un tessuto ruvido. Solo dopo un primo momento di smarrimento, mi rendo conto di essere finita contro qualcuno. Negli occhi ho ancora la luce dorata di un pomeriggio di ottobre e il mio naso ora percepisce improvviso l’odore acre di dopobarba e di lana. Subito non riesco a vedere bene, sono frastornata e non riesco a mettere a fuoco l’immagine, poi mi allontano un po’ e scorgo un uomo alto, dalle spalle larghe; indossa una giacca di panno e mi guarda sorridente. Vengo colta da un momentaneo imbarazzo, mi sento scema, chissà da quanto tempo mi stava osservando, devo essergli sembrata una stupida così intenta  a farmi spingere dal vento e a girare su me stessa, come trasportata in un valzer appassionato con un cavaliere invisibile. Superato lo stupore iniziale comincio a vedere bene e ciò che ho davanti mi piace molto. E’ un uomo alto, snello ma piacevolmente muscoloso, l’ho avvertito dalla consistenza dell’urto, i suoi occhi azzurri mi guardano curiosi sotto due archi di sopracciglia fitte e scure e i capelli neri fanno da degna cornice al suo volto regolare. Le labbra sono carnose e racchiuse dai baffi e da una barba appena accennati, devo essere proprio una buona osservatrice, non mi sono persa un particolare. D’istinto mi tocco i capelli per controllarne lo stato e mi compiaccio di aver indossato questi abiti, è un insieme che si adatta perfettamente ai miei fianchi abbondanti. 

Ricambiato lo stupore iniziale e con tono divertito lui comincia a parlarmi in un italiano un po’ stentato, faccio attenzione al suo accento e credo di capire che arrivi da un paese di lingua inglese. Sempre sfoggiando un sorriso mozzafiato, inizia a raccontarmi qualcosa di se, come per volersi scusare di essersi intromesso nel mio tete-a-tete col vento. Si chiama Jack, arriva da Londra e prende tutti i giorni il metrò perché lavora nella stessa zona dove lavoro io. Lo sento parlare e mi piace la sua voce greve, del resto è adatta al suo corpo, più che un parlare sembra il suono di uno strumento a fiato, dalle note calde e dai toni bassi. Senza staccare gli occhi da quello sguardo ipnotizzatore e con un sorriso idiota stampato sulla faccia, mi presento a mia volta e decidiamo di fare insieme il tratto di strada verso la fermata, per continuare a chiacchierare. Si tocca spesso i capelli con un gesto elegante ma non affettato, passandoci dentro le mani dalle lunghe dita nervose, questo vezzo racconta della sua disinvoltura, della sua irrequietezza. E’ gradevole, spigliato, si comporta come un bambino curioso davanti ad un giocattolo nuovo e non smette un attimo di parlare. E’ riuscito in un impresa pressoché impossibile, mettermi a tacere ma lo ascolto volentieri, anzi assumo un atteggiamento molto attento mentre vengo sommersa dal fiume di parole. Tra noi si instaura una immediata confidenza, come se ci conoscessimo già da tempo, è una sensazione gradevole per me che non permetto a nessuno di entrare nel mio mondo. Racconta che fa il pubblicitario in una nota agenzia del centro e che adora il suo lavoro. Beh, il mio non è certo così creativo, inizialmente tergiverso ma poi Jack inizia a chiedermi di cosa mi occupo e alla fine cedo, confessandogli che lavoro in un ufficio di import-export, vicino al suo studio. E’ così piacevole stare con lui che in un attimo siamo alla fermata e ci ritroviamo sul vagone del metrò. Continuiamo a parlare e a raccontarci cose, adora la cucina italiana, la nostra lingua, dice che cantiamo invece di parlare e anche il clima che c’è in ufficio gli piace molto: un po’ di confusione, creatività, qualche sana gelosia. I minuti scorrono velocissimi e quando arriva il momento per Jack di scendere, resto sul vagone accanto a molti altri estranei a pensare, un po’ frastornata da quell’incontro inaspettato. Mi sento come chi è investito da un temporale tropicale e poi viene depositato sulla spiaggia molti metri più in la  e si ritrova agitato, scombussolato. Quando arrivo a casa continuo a pensare a questi momenti appena trascorsi e mi sento come la protagonista di un foilletton fine secolo, incredula che tutto questo sia capitato proprio a me e non del tutto consapevole della stranezza dell’accaduto. Quando la parte più razionale di me si riappropria della lucidità, mi rendo conto che non so niente di lui, né il suo cognome e neppure il suo telefono. Vengo assalita da un senso di angoscia e provo l’urgenza di sapere tutto di quest’uomo. Appena entro in casa i bambini mi corrono incontro contenti e iniziano a raccontarmi a mitraglia cosa hanno fatto a scuola, della gita all’Acquario e delle litigate fra loro. Vengo totalmente assorbita dalla loro presenza e mi dimentico per il momento di Jack, delle foglie rosse nel vento e della canzone di Billy Holiday. Il resto della giornata trascorre impegnato da compiti, piscina e spesa al supermercato. Finalmente i piccoli sono a letto e mi siedo sfinita sul divano; quando loro non ci sono o dormono, la casa si riempie di un silenzio innaturale. Già, perché oltre a me e a loro, in casa non c’è nessun altro. Luca se né andato due anni fa e ora vive, felice?, lontano da noi,  con quella ragazzina tutta tette e cosce. Pensando a lui ancora adesso mi si riempiono gli occhi di lacrime ma è solo rabbia, forse che io sono da buttare? Dopo questa brutta storia non ho più voluto saperne di uomini, mi fa ancora male. Certo, occasioni ne ho, sono intelligente, autonoma, piacevole e ho alcuni “spasimanti”. Il più assiduo è un collega che quotidianamente non perde occasione per essere gentile e premuroso. Ma Gianni, vuoi perché lavora con me da tempo immemorabile, vuoi perché è sempre così servizievole e condiscendente (e ha quel dannato vizio di togliersi i residui di cibo dai denti quando andiamo nel bar per il pranzo), proprio non mi piace. E poi gli altri che sono passati come meteore nella mia vita, senza lasciare traccia, veloci parabole di pochi giorni. A volte mia madre o mia sorella ci provano a presentarmi qualcuno e le colleghe d’ufficio sembrano la succursale di “cuori solitari” ma finisce sempre come nelle commedie sentimentali americane, con appuntamenti al buio, serate imbarazzanti trascorse  tra frasi di circostanza e discussioni noiose: mai nulla di fatto. Sto pensando a queste “amenità” mentre vengo interrotta dal telefono che squilla, si insinua maleducato nelle mie intime riflessioni e mi fa sussultare, come se fossi stata colta in flagranza. Rispondo indispettita: è Luca, che mi chiede come va e come stanno i bambini, se glieli passo. Ma quando imparerà che li metto a letto alle nove e che quindi ora dormono già da un po’? Mi sento stizzita dalla sua distrazione, è sempre il solito superficiale casinista, anche dei figli non si ricorda, non sa quasi niente di loro.  Cerco di dissimulare la rabbia che sta salendo, non devo sempre partire alla carica anche ora che siamo separati; in verità è un periodo che sta tentando di recuperare uno straccio di rapporto con i figli e ogni quindici giorni prende i bambini con sé, nel fine settimana. Non sono felicissima che stiano tutto quel tempo assieme a miss pin up, ma è giusto che passino qualche giorno col padre. Per me questi fine settimana vogliono dire un po’ di relax e un po’ di tempo per fare quello che mi piace: un giro per negozi, le maratone notturne di cinema e lettura, un viaggetto con le amiche. Finalmente mi addormento, deve essere molto tardi, perché quando suona la sveglia sono ancora immersa in un sonno profondo. Appena apro gli occhi mi torna in mente tutto: come in una pellicola  accelerata alla moviola rivedo Jack, le foglie, i miei rossori conseguenza dei suoi complimenti, la telefonata di Luca. Sono in ritardo, faccio fatica a ritrovare il filo che mi aiuti a collegare tutti questi avvenimenti inaspettati; sveglio i bimbi, facciamo colazione di corsa, ci prepariamo e andiamo a scuola, che fortunatamente è vicinissima a casa. Finalmente sono libera! Corro verso il metrò un po’ affannata, ma non è solo il ritardo, è che stamattina ho un’ansia nuova, inconfessabile. Salgo sul convoglio e i miei occhi cercano tra la gente; mi sento sciocca: come posso pretendere di vederlo, potrebbe essere salito su un altro vagone e in un altro orario. Arrivo in ufficio un po’ delusa e la giornata scorre lenta, esco alle quattro e torno sul solito viale ma con un’ aspettativa diversa, guardo tra gli alberi, sulle panchine: lui non c’è. Lo stesso copione si ripete sino al venerdì, le aspettative e l’ansia sono cresciute giorno per giorno e alla fine è la delusione a prevalere; mi convinco che anche lui è stato una luminosa meteora. Nel fine settimana andiamo a trovare i nonni e il pensiero di quell’incontro viene relegato in fondo alla memoria, ben nascosto. E’ lunedì e Jack ormai non è nei miei pensieri, esco dall’ufficio e mi incammino lungo il viale che ormai è completamente coperto di foglie, di un violento rosso per i loro riflessi e i miei passi sono lenti, attutiti dal morbido tappeto vegetale. Pensierosa rivedo gli avvenimenti della giornata ma  il cassetto contenente i miei bei ricordi resta chiuso a chiave. Sono quasi arrivata alle scale, quando a un tratto mi sento chiamare da quella voce che ormai mi è familiare e che mi è entrata dentro, la riconoscerei tra mille. Mi giro è lui, sta camminando a passi veloci verso me, con un gran sorriso stampato sul viso meraviglioso. Il mio cuore ha cominciato a battere forsennato, sento gli occhi diventare lucidi dall’emozione e una speranza inconfessabile mi riempie il cuore. Mi saluta allegro e mi dice di essere stato via tutta la settimana a Londra, per lavoro. Mi racconta con una valanga di parole di quanto sia bella in quella stagione e dei posti in cui è stato, della gente che ha incontrato e quanto gli piacerebbe mostrarmeli, come se ci conoscessimo da sempre. Sono completamente rapita dal suo entusiasmo e la testa mi gira un po’. I nostri incontri si ripetono ogni giorno, per tutta la settimana; oggi è venerdì e sono delusa pensando che per due giorni non lo vedrò. Alle quattro arrivo puntuale sul viale, Jack è seduto su una panchina e sorride vedendomi. Da quando l’ho incontrato mi sento diversa, ho voglia di curarmi, metto molta più attenzione nel vestirmi e mi sento viva come non mi sentivo più da anni. Si alza per venirmi incontro, c’è una luce strana nei suoi occhi, mi si avvicina sicuro e mi dà un bacio sulle labbra, lieve e veloce come un soffio. Vengo scossa da una serie di emozioni diverse che fanno balbettare il mio cuore. Jack si allontana un po’ e quasi a volersi scusare per quel gesto così intimo, mi racconta che è eccitato perché grazie ad una sua brillante idea, si occuperà della campagna pubblicitaria di una marca prestigiosissima. Lui parla e io sono ubriaca, cammino in punta di piedi e sento ancora le sue labbra sulle mie. Perdo il filo dei suoi discorsi, non riesco a concentrarmi e torno con i piedi per terra solo quando mi chiede se andiamo a cena fuori, stasera. Accetto senza indecisioni come se la sua proposta fosse attesa, penso un attimo a come sistemare i  bambini e gli dico che proverò a chiedere a mia sorella, se non ha impegni. La chiamo e lei mi dice subito di si, senza farmi domande, felice che finalmente smetta di fare la reclusa e poi lei adora i suoi nipotini. Ci salutiamo con un lungo sguardo, senza parole e Jack mi dice che sarà da me alle otto, mentre mi posa una mano sulla guancia, con dolcezza. Torno a casa e mi sento strana, come toccata da una fortuna incredibile e inaspettata; mi sforzo di giocare con i bambini, di essere normale ma l’ impazienza mi divora, usciamo insieme per fare un giretto, nel tentativo di rilassarmi un po’ e poi torniamo a casa presto, devo farmi bella. I piccoli mi consigliano su cosa mettere e storcono il naso se quello che indosso non gli piace. Alla fine decidiamo tutti e tre per un abito nero, che stringe appena i fianchi e sopra metto una giacca impreziosita da ricami. Faccio un bagno caldo profumato di gelsomino e lego i capelli in una crocchia un po’ bohemienne. Mi trucco e quella che vedo nello specchio è una donna piacevole, matura, elegante e un po’ misteriosa. Mia sorella arriva puntuale e non smette più di farmi complimenti, poi mi abbraccia forte e mi sorride teneramente. I bambini mi chiedono impazienti quando vado via, perché non vedono l’ora di restare soli con la zia a giocare. Suona il campanello, infilo la giacca ed esco di casa. Anche Jack è uno schianto, sicuro e affascinante nel suo vestito  scuro. Mi guarda a lungo in silenzio, prende la mia mano e posa un bacio delicato all’interno del mio polso, così intimo, più eloquente di qualsiasi discorso. Ceniamo in un ristorante indiano, tra luci intriganti e profumi di spezie. La serata è piacevole, rilassante, nonostante la tensione quasi palpabile, siamo tutti e due attratti l’uno dall’altra come calamite. Lui è meraviglioso e di tanto in tanto mi sfiora la mano con la sua, fissandomi con quei profondi occhi azzurri carichi di voglia di vivere. Stiamo tornando a casa, siamo davanti al portone e lui mi dice che i primi giorni di novembre deve tornare a Londra per quel lavoro e mi chiede di accompagnarlo. Resto meravigliata ma sono felice che me lo abbia chiesto. Gli dico subito di si, senza preoccuparmi dei problemi organizzativi, del lavoro e dei bambini; lui mi si avvicina e poggia piano le sue labbra sulle mie. E’ un bacio dolce ma appassionato che rivela un’urgenza e un desiderio mal celati, al quale rispondo con trasporto. Torno a casa con la testa che mi gira ma sono felice come non lo ero da tempo. Il giorno fatidico arriva, i bambini sono dal padre per il week end lungo di fine ottobre ed io sono qui che aspetto Jack per andare all’aeroporto. Il volo trascorre tranquillo, ci teniamo mano nella mano, non ci stacchiamo mai, ridiamo come due bambini e qualche passeggero ci lancia occhiatacce perché lo disturbiamo mentre legge. Di tanto in tanto Jack avvicina la mia mano alla bocca e la sfiora con un bacio. Londra è bellissima, più grande e più caotica di come la ricordavo dal mio viaggio scolastico. Arriviamo in albergo, siamo a Piccadilly, è sera e tutte le luci sfavillanti delle insegne ci circondano come collane rilucenti. Usciamo subito e camminiamo per le grandi vie, guardando le vetrine dei negozi. Jack mi racconta mille cose e mi mostra in continuazione mille cose. Andiamo a cena e tutto quello che sto vivendo mi sembra irreale. Ridiamo di gusto e l’intesa tra noi tocca il massimo. Torniamo in albergo tardi e sono un po’ agitata. So quello che sta per accadere, non sono una ragazzina, eppure sono nervosa. Entriamo in camera e lui si accorge delle mie emozioni. Mi toglie la giacca e mi stringe forte, mi sfiora le spalle e il collo con le labbra, poi mi bacia teneramente. Comincio a rilassarmi e i suoi baci diventano più insistenti. Passiamo delle ore meravigliose insieme e la notte corre via veloce. Il mattino seguente ci sveglia il profumo di caffè che sale dalle cucine, ma poi abbiamo fame solo di noi stessi. Facciamo colazione e ci decidiamo ad uscire, dopo qualche  cambio di autobus ci troviamo a Portobello. E’ sabato mattina e nella lunga via si snoda il più incredibile mercato di Londra. Sulle bancarelle c’è di tutto, antiquariato, oggettistica, cianfrusaglie. Mi incanto davanti ad una vetrina che espone delle giacche di lana impalpabile, tutte ricamate. Entro e le provo ma purtroppo non mi stanno, sono troppo abbondante. Continuiamo a girare per il mercato e tutto è fantastico. Ormai è buio e fa freddo, ci incamminiamo verso il metrò, luogo magico e complice per noi e nella via costeggiata dalle basse villette in mattoni, incontriamo un venditore ambulante. Vende sidro di mele caldo, zuccherato e profumato di cannella. Ho le mani gelate e mi fa piacere stringere tra le dita il bicchiere bollente. Jack mi bacia a lungo, con dolcezza, il suo bacio sa di frutta e di spezie e io mi sento languida e innamorata e mi sembra che quel posto di Londra, tra centinaia di persone, sia il centro del mondo e lì nel mezzo, ci siamo noi. Un uomo e una donna che si amano, avvolti dal profumo del sidro e tutto il resto, non importa.

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | Sunday 07 April 2019