Palermo-Milano: la geografia dal treno20/5/2019

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Palermo-Milano: la geografia dal treno20/5/2019

di Giovanni Curatola

Era, ed è, la tratta ferroviaria più lunga d’Italia percorsa da un singolo treno. Dal profondo Sud all’estremo Nord, e viceversa, su e giù per tutto lo Stivale. Per collegare le stazioni centrali di Palermo e Milano occorrono oggi poco più di 22 ore, più o meno quante ne necessitavano negli anni ’80 e ’90, quando iniziai a fare questa linea. Con la differenza che allora di treni diretti ce n’erano 2 (anche 3) al giorno e seguivano il percorso (1.547 km) Palermo-Messina-Villa S.Giovanni-Napoli-Roma-Firenze-Bologna-Milano. Oggi invece, nell’era (da Napoli in su) delle “frecciarossa” e di altri “pendolini” ultraveloci, il diretto giornaliero è uno solo, e da Roma (dove peraltro non ferma più) prosegue lungo la litoranea tirrenica Livorno-Pisa-Genova, per poi salire da lì a Milano. Allora erano treni “espressi” e si chiamavano coi nomi esotici di “Trinacria”, “Freccia del Sud”, “Conca d’Oro”, oggi l’unico rimasto ha il freddo e anonimo nome di “Intercity notte 1964”.

Salirci su era uno spettacolo: da casa ai parenti di Milano, stazione dopo stazione, traversina dopo traversina. C’era tutta l’Italia in mezzo, che vedevi cambiare dal finestrino, con la luce del giorno e al buio della notte: grandi città e sperduti paesini di campagna, zone industriali e coste mozzafiato, pianure infinite e monotone e montagne superate da lunghe gallerie… E man mano che il treno saliva “al Nord”, cambiava la vegetazione, l’architettura degli edifici, i tetti (la maggior partr piatti al sud. a spiovente al centro-nord), i costumi (da napoli in su non vedevi più ad esempio quelle cisterne d'acqua sui balconi che invece erano una regola nel meridiome), il dialetto della gente che via via saliva o scendeva dal tuo vagone, perfino il modo più o meno composro di stare davanti ai passaggi a livello o affacciata ai balconi che davano sui binari. Oggi i ragazzi si annoiano tutte queste ore sul treno, e le occhiate fuori il finestrinoprobabilmente non superano il breve intervallo tra un videogioco al cellulare e un video su “youtube”. Trenta e passa anni fa era diverso. Perché eravamo diversi noi. Senza cellulari e tablet, nell'era non ancora "social" si socializzava di più. Vivevamo a ritmi più compassati, il che ci rendeva forse meno “svegli” dei pari età attuali ma che ci faceva assaporare meglio cose, persone e situazioni. Che sapevamo condire con quelle risorse fondamentali di fantasia e curiosità che restano sempre il miglior antidoto contro la noia e che nei cervelli ultra-avanzati e iperattivi dei ragazzi di oggi spesso invece mancano.

Tornando all’espresso Palermo-Milano, quel treno che negli anni ’50/’70 aveva accompagnato migliaia di migranti meridionali a vivere al Nord l’avrò preso almeno una trentina di volte. La prima, nel 1985, a 13 anni. Un treno speciale (pellegrinaggio). Niente genitori, bella compagnia, tanto divertimento e primo bacio. Come inizio, niente male. La seconda volta fu nel 1990: un’idea improvvisa, un biglietto fatto senza consultare nessuno, una telefonata di auto-invito a Milano: “Zia, dopodomani arrivo e sto una settimana da te”, uno zaino con l’essenziale, e via sul treno. Una modalità che ripeterò spesso. La terza volta, l’anno seguente, quei 1.547 km li feci stipato con altri 400 tifosi che come me salivano al Nord per la finale di Coppa Italia (di C) Monza-Palermo. E lì nacque l’amicizia con quello che sarebbe diventato uno dei miei amici più cari.

Ma dell’estate 2001 è forse il ricordo più significativo, quando quel treno altro non fu che un breve tragitto di un indimenticabile inter-rail che da Palermo, a tappe, traversina dopo traversina mi portò sempre lungo un binario alla punta estrema della Danimarca (e ritorno) risalendo e ridiscendendo l’Italia (Alpi comprese) e tutta la Germania. L’ultima volta fu nel 2003, a 31 anni, col libro dell’ultima materia universitaria (Diritto Privato) nello zaino. Poi, lavorando, quello spostamento fu dirottato giocoforza sull'aereo.

Era uno spasso quell'espresso: spartano, pure sporco a volte, ma quante persone incontrate e storie sentite su quei vagoni rossi o blu, e lungo quelle rotaie... Tranne qualche eccezione, si partiva da Palermo sempre verso le 16.30/17.00, col mare costantemente alla tua sinistra (regola personale: mettersi sempre con lo sguardo rivolto alla direzione in cui va il treno, mai di spalle alla locomotiva!). Il tragitto di 3 ore e mezza fino a Messina era il più familiare, e la successione dei paesi che si attraversavano già conosciuta a memoria. Il mare in certi punti assai suggestivi rasentava la ferrovia. Solo un paio di metri separavano a volte le rotaie dal bagnasciuga, ora sabbioso ora roccioso: com"e che non si frana tutti in acqua?

I panini e le lattine che dovevano servire per tutto il viaggio, puntualmente tra Cefalù e Finale di Pòllina (al massimo S.Agata di Militello, non oltre) erano già belli e digeriti. Così a Messina ci scappava un piccolo rifornimento. Tanto più che spesso quando mi trovavo da solo, approfittando delle manovre pre-traghetto con cui i macchinisti univano e spezzavano tronchi di treno provenienti da Catania-Siracusa pure diretti al Nord, scendevo dal treno a Messina C.le e correvo a piazza Cairoli (a 500 metri da lì) per comprare, rigorosamente alle pasticcerie “Irrera” o “Santoro”, quella “pignolata” (dolce-biscotto metà cioccolato e metà limone) di cui ero/sono ghiotto e che ai cugini milanesi ne arrivava casualmente sempre la metà. Riprendevo poi il treno a Messina Marittima, quindi la mezzora di traghetto mi passava sopra all’aperto, sul ponte. In treno, giù, c’era sempre troppo caldo, inverno compreso. La bella e imponente statua della Madonna della Lettera era l’ultima visuale della Sicilia che mi lasciavo alle spalle.

Arrivati a Villa S.Giovanni, altri 45 minuti d'attesa per risistemare i tronconi di treno portati dal traghetto, quindi iniziava la lenta e lunga risalita di 5 ore delle Calabrie e della Campania. A seconda della stagione, era già quasi sempre sceso il buio e il cuccettista aveva da poco tirato giù i letti. Dei 6 dello scompartimento, o per averlo già prenotato in anticipo o dopo aver fatto cambio lì stesso con altri compagni di viaggio, sceglievo sempre quello più in alto. Forse per la stupida convinzione di voler tenere la situazione sotto controllo. Ero tuttavia sempre l’ultimo a salire su e avvolgermi nelle lenzuola di carta: preferivo spesso restare a chiacchierare (o ascoltare musica dal walkman) in corridoio, osservando la Calabria silenziosa, senza anima viva e avvolta nelle tenebre. Spettrale ma affascinante. Al contrario dei Milano-Palermo in cui capitava col giorno e vedere le varie località turistiche era piacevole, inverno compreso. Quando il sonno mi vinceva, rientravo in cuccetta, altrimenti preferivo aspettare l’arrivo a Napoli, città della quale ho sempre diffidato e dove volevo sincerarmi non salisse gente sospetta (quella dei ladri che di notte salgomo a Napoli per rubare nelle cuccette era una diceria ricorrente, anche se a me non è accaduto mai nulla).

L’arrivo intorno alle 04.00/05.00 di mattina a Roma Tiburtina mi svegliava spesso, ma per poi riaccucciarmi subito. Quindi il tratto Roma-Firenze era quello in cui si dormiva sempre. L’arrivo a Firenze S.Maria Novella coincideva con l'odore di caffe e latte della colazione che si spargeva negli scompartimenti dal venditore che passava col carrello per i vagoni. Specie nei primi viaggi, micsentivo già al Nord,  molto lontano da casa, anche se per entrare nella pianura padana si dovevano ancora “tagliare” gli Appennini. Ma già la gente che si apprestava ad andare al lavoro, l’architettura della stazione e il dialetto (più distinto e meno sguaiato di quelli meridionali) dei venditori ambulanti sulle banchine, mi proiettavano quasi alla meta. Si, perché non c’erano macchinette automatiche ai tempi: solo ambulanti che facevano folklore fra i treni e vendevano pure giornali e sigarette. E tu calavi i soldi dal tuo finestrino e ritiravi quanto acquistato. Anche i finestrini erano diversi rispetto agli attuali, che in ossequio all’aria condizionata non prevedono aperture. E così addio fresco, addio boccate d’aria, addio panorama assaporato genuinamente col vento: ora tutto solo attraverso uno schermo trasparente sigillato: come un film. Da Firenze a Bologna era poi un’ora e passa di quasi ininterrotte gallerie, ma raramente mi riaddormentavo (a spezzoni, dormivo al massimo 5 ore, non di più).

A Bologna (eccolo il vero “Nord”) le cuccette venivano tirate su, le lenzuola (o coperte se era inverno) ritirate e il vagone tornava una normale carrozza di 2° classe con posti a sedere come sulla Palermo-Messina. E il cuccettista ti ridava il documento e il biglietto che ti aveva preso la sera prima. A Bologna il treno iniziava a recuperare un pò di ritardo accumulato di notte e saliva di solito molta gente e altrettanta ne scendeva, per cui almeno metà dei compagni di scompartimento cambiava. E tu stavi o a conversare con quelli appena saliti o ad ascoltare le lamentele, per il caldo della notte appena trascorsa, dei meridionali che ti eri portato dietro dalla Sicilia. https://amzn.to/2QkbHRK

Ultime 2 ore e un quarto di viaggio. Modena, Reggio, Parma, Piacenza… tutte cittadine linde e a misura d’uomo che la pianura padana regalava ogni 20/25 minuti l’una dall’altra. Quindi, e siamo già intorno alle 10.00, si superava il grande fiume, il Po. La nebbia, quando c’era, qui si faceva più fitta e le ciminiere di fabbriche disseminate qua e là lungo i binari davano l’ingresso in Lombardia. Lodi, quindi periferia di Milano. Rogoredo, Lambrate, infine i grandi archi di ferro e vetro della stazione centrale di Milano. Un'ora al massimo il ritardo: nulla rispetto alle tante ore con cui solitamente arrivava a Palermo quello in direzione inversa. Ricordo, le prime volte, i facchini sulle banchine pronti a caricare bagagli: altra usanza poi sparita. Anche la stessa stazione Centrale è cambiata, almeno nella parte funzionale interna: uffici, negozi, scale mobili, accessi al metrò, che 30 anni fa non c’erano. La parte monumentale (anni ’30, come quasi tutte le stazioni italiane) non si tocca. E ci credo, bella e unica com’è! Perfino i 4 fasci littori sul frontone nessuno ha avuto il coraggio di togliere, e fanno ancora bella mostra di sé all’uscita del sontuoso edificio.

Nei miei personali spostamenti Palermo-Milano e viceversa, oggi la stazione centrale di Milano è oggi soppiantata come approdo lombardo dai 3 aeroporti milanesi , ma resta sempre utilizzata per gli spostamenti locali tutti "nordici", e viva nel ricordo di quell’espresso “Conca d’Oro” o “Trinacria” che mi portava qui dopo quel sublime ripasso dal vivo di geografia che nessun libro avrebbe potuto spiegare meglio.

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