E se il "canto libero" di Lucio Battisti fosse stato il Duce?9/10/2021

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E se il "canto libero" di Lucio Battisti fosse stato il Duce?9/10/2021

di Giovanni Curatola

Lucio Battisti fascista? Boh…! Forse.. Probabile… La conferma ufficiale, come non si è mai avuta in tanti anni, non verrà certo fuori da quest’articolo. Ma se anche fascista lo fosse stato, e le tante coincidenze e supposizioni in merito diventassero d’improvviso prove inoppugnabili, cosa facciamo? Prendiamo i dvd o i vecchi vinili e musicassette dove sono incise "Emozioni”, “I giardini di marzo”, “Acqua azzurra, acqua chiara”, “Mi ritorni in mente”, “Un’avventura”, “Pensieri e parole”, “Balla Linda”, “Una donna per amico”, “E penso a te”, “Non è Francesca”, “Ancora tu e di tutti gli altri suoi capolavori, e li buttiamo nella spazzatura? Sradichiamo poi la sua figura e il suo ricordo dal gotha della musica italiana, di cui è universalmente riconosciuto come uno dei pilastri portanti, perché un fascista è per definizione un essere indegno, che non può pertanto creare qualcosa di bello o regalare emozioni?

Francamente che la “fiamma” e il “mare nero” cantate ne La canzone del sole, il “bosco di braccia tese” de La collina dei ciliegi o le “discese ardite” (in Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi…) siano o meno metafore del fascismo, nulla cambia. Non essendo riferimenti politici espliciti, ma tuttalpiù solo intuibili da chi vuol vederli, non solo non necessitano di alcuna censura postuma così come non la necessitarono 50 anni fa quando furono incisi, ma formalmente, ammesso se lo fossero, non sminuirebbero di un solo millimetro lo spessore di quei capolavori. I quali, per dirla come Marco Tuccillo in un bellissimo articolo su “Defend Italia” reperibile sul web  “continueranno ad affascinare chi alimenta la leggenda di un cantautore che mai si è chinato dinanzi le pretese di un mondo squallido e terribilmente schematico”. Fascista o meno che fosse, Battisti è stato un cantautore controcorrente, che ha avuto la forza e il coraggio di resistere alle imposizioni culturali della sinistra sessantottina, a non allinearsi ed anzi a controbatterla infarcendo le sue canzoni di concetti controcorrenti per i tempi in cui si inneggiava all'emancipazione, al sesso libero e alla trasgressione, come la famiglia, le virtù, i sentimenti puri e le tradizioni. Insomma, un borghese, un reazionario, un “fascista” appunto, che alle parrocchie sinistroidi a cui accorrevano a frotte gli artisti e gli intellettuali del tempo, proprio non andava giù. Ma i tentativi di sminuirlo sul piano musicale e infangarlo su quello personale (accusato di finanziare le frange più estremiste del M.S.I.) si infransero tutti contro l’eccelsa qualità dei suoi lavori e la sua irreprensibile moralità. Che le sue non fossero musichette da quattro soldi lo dimostra ancor ora, 50 anni dopo, il posto che Battisti e le sue “canzonette” ancora occupano nella storia della musica. La forza dirompente delle sue melodie è stata tale da annullare qualunque tentativo di sminuirle, esattamente come quelle squadre talmente solide da travolgere gli avversari anche nelle condizioni più ostili (leggasi malasorte, tifoserie ed arbitraggi avversi). 

Quanto ai finanziamenti al M.S.I., è stato ampiamente dimostrato come essi stavano alla sua (autentica) ammirazione per Almirante come i cavoli alla merenda.

C’è tuttavia da puntualizzare che alla leggenda del Lucio Battisti fascista, alimentata ad hoc dagli ambienti culturali di sinistra per colpirlo, contribuì anche Lucio stesso. Che da un lato non la confermò mai, ma dall’altro nemmeno mai la smentì. “Alla domanda se fosse mai stato fascista – scrive Tuccillo - Lucio era solito sorridere e non rispondere, lasciando in un alone di mistero critici e giornalisti, ascoltatori e boicottatori…”.  Più espliciti, furono al riguardo il padre Alfiero “Lucio? Scherzi? Era di destra, eccome…!” e il cantautore comunista Pierangelo Bertoli: “Si sapeva che Battisti stava a destra, e che era vicino al M.S.I. Non c'era bisogno di prove, lo si sapeva e basta!”. Il sospetto, di chi scrive, è che il cantautore, non potendo né prendere pubblicamente le distanze dal suo credo politico per questione di coerenza, né dichiarare ufficialmente le sue convinzioni per motivi più prudenziali che commerciali (il clima sessantottino di quegli anni è ben noto), si sia divertito a puntellare qua e là i suoi brani con versi o parole volutamente ambigui, che rimandano e non rimandano, che dicono e non dicono, dove ognuno ci vede dentro quel che vuol vederci. Insomma, un pirandelliano “così è se vi pare” abilmente usato dai Beatles pochi anni prima, quando sulle voci della presunta morte di Paul Mc Cartney e sua sostituzione nella band con un sosia, giocarono mandando ai fans messaggi subliminali celati in alcuni versi delle loro canzoni o sulle copertine dei loro album. Il tutto per il divertimento dei 4 cantautori burloni e per la fortuna di giornalisti e scrittori sempre a caccia di sensazionalismi, scoop e fantomatiche verità finalmente venute fuori.

Infine, chiudiamo queste righe scritte senza la pretesa di togliere o aggiungere nulla a quanto già noto sul “mistero” del Battisti fascista o meno, con l’interrogativo forse più curioso e mediaticamente interessante: la celebre ed enigmatica canzone “Il mio canto libero” è davvero solo la storia di un amore felice succeduto a uno precedente più tormentato, o è in realtà una dedica a Mussolini? Più che in altri brani, qui i riferimenti politici, per chi vuol vederli, sarebbero praticamente ad ogni verso. Il tormentato dopoguerra dei fascisti sconfitti e il clima d’avversione generalizzata starebbe infatti tutto nelle parole “In un mondo che non ci vuole più…”, “nasce il sentimento, nasce in mezzo al pianto…”, “e vola sulle accuse della gente, a tutti i suoi retaggi indifferente…”. Più o meno espliciti o forzati sarebbero poi i riferimenti alle adunate oceaniche e agli occhi spiritati del Duce “E l’immensità si apre intorno a noi, al di là del limite degli occhi tuoi”, nonché alla critica al mondo post-fascista senza più valori: il “mondo che, prigioniero è…” . Forzature? Può darsi. Se serve a mantenere alta la considerazione di un mito che altrimenti (stupidamente) si incrinerebbe, diciamo pure di sì. Non costa nulla. Prove inconfutabili, come detto, non ce ne sono. Ma c’è un verso che più di altri, pur non costituendo neanch’esso una prova, porta quantomeno a riflettere e interrogarsi: “La veste dei fantasmi del passato, cadendo lascia il quadro immacolato”. Nel 1949, ossia 23 anni prima dell’uscita de “Il mio canto libero”, Paul Gentizon, noto giornalista svizzero, ebbe a scrivere: “Tutto ciò che è stato il fascismo, anche i suoi lati peggiori, è consegnato alla storia. Ma se c’è un nome che resterà immacolato nella tragedia di questa guerra, questo è il nome di Mussolini”. Se Battisti avesse letto Gentizon, non è dato sapere. Fatto sta che da una lucida e serena analisi degli elementi a disposizione, la canzone sembra potersi adattare al Duce con la stessa naturalezza con cui potrebbe adattarsi a una donna. L’enigma rimane, e forse è proprio quello che voleva Battisti. La cui posizione che occupa nel firmamento della musica, nessun accostamento politico, vero o presunto, riesce a spostare di un solo millimetro. Né verso il basso né verso l'alto. Ammesso che in quella direzione Lucio Battisti abbia ancora qualcuno da scalzare.

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