UOMINI CONTRO CARBONE: LAVORARE E BASTA

04 October 2016

di Sabrina Fara

“Lavorare e basta”. A questo pensavano gli oltre duecentomila minatori italiani, molti di loro sardi, che all’indomani della Seconda guerra mondiale andarono a lavorare nei bacini minerari del Nord Europa. Il primo carico di manodopera partì da Milano la sera del 12 febbraio 1946. Erano uomini in vendita, a basso costo. Pochi mesi prima, l’Italia e il Belgio avevano sottoscritto il trattato “uomini contro carbone”: il governo belga si impegnava a dare al nostro Paese ventiquattro quintali di carbone fossile all'anno per ogni italiano al di sotto dei 35 anni che si fosse reso disponibile ad estrarlo dalle sue miniere. L’accordo tra i due paesi sorvolava sulle drammatiche condizioni di lavoro, ma era molto preciso sui doveri degli italiani emigrati: impossibilità di cambiare lavoro prima di aver trascorso in miniera almeno cinque anni e obbligo di rispettare la durata minima contrattuale di un anno, pena la detenzione prima del rimpatrio e il mancato rinnovo del passaporto. Dalla Sardegna si mossero in cinquantamila, soprattutto dalle aree del Marghine, della Planargia, del Barigadu e del Goceano. A settant’anni da allora, una serie di iniziative promosse in tutta l’isola hanno rievocato negli ultimi mesi la loro storia. Il ciclo del ricordo “Uomini contro carbone”, partito il 13 aprile da Cagliari, si è chiuso venerdì al Centro servizi culturali di Macomer. Michele Pinna, Antioco Oggiano, Antonio Daga, originari di Sindia, hanno raccontato la vita sopra e sotto la terra, tra dolore, sofferenza, assenza di paura e, a tratti, reticenza. Intervistati da Simone Cireddu, nel documentario “La Mina”, la forza delle loro parole ha delineato con precisione l’epopea dei sardi minatori emigrati in Belgio. Una storia di sfruttamento, a volte di morte, ma anche di riscatto per molte famiglie di sardi che si sono integrate nella società belga. Alla loro testimonianza è seguito il film capolavoro del neorealismo centroeuropeo "Già vola il fiore magro", del regista Paul Meyer. Protagonista un giovane emigrato sardo e la sua famiglia. Commissionata dal Ministero dell’Istruzione pubblica del Belgio alla fine degli anni Cinquanta, la pellicola ha offerto al pubblico la possibilità di immergersi nello stato d’animo dei protagonisti.  La fatica e la pericolosità del lavoro, le difficoltà del vivere nelle baracche, i problemi legati all’apprendimento di una nuova lingua, l’arrivo delle famiglie e il loro inserimento, la vita vissuta dai più piccoli strappati alla loro casa d’origine. Un film scomodo, ritirato dalla circolazione dal governo belga subito dopo l’uscita, che induce a riflettere sul dramma di chi è costretto a emigrare per trovare fortuna. Il progetto “Uomini contro carbone”, vera e propria finestra su un passato da non dimenticare, è stato organizzato dall’associazione Paesaggio Gramsci e dall’associazione Nino Carrus, insieme al Centro Servizi culturali di Macomer, il Cineforum “Il posto delle fragole”, il Fai Sardegna, la rivista on-line SardegnaSoprattutto, il Comune di Ula Tirso, l’Unione dei Comuni del Barigadu e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

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