Il sole di Austerlitz due secoli dopo...16/3/2019

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Il sole di Austerlitz due secoli dopo...16/3/2019

di Giovanni Curatola

“Il sole verrà fuori, lo sento… Ci conosciamo bene il sole ed io…”. E così fu. Il piano scelto da Napoleone sul campo di battaglia di Austerlitz, quel lontano 2 dicembre 1805, per battere il ben più numeroso esercito russo-austriaco (72.000 uomini contro 87.000, 135 cannoni contro 280, ossia più del doppio), poggiava tutto sul fondamentale apporto della nebbia e del sole e sull’esatto sincronismo con cui la prima avrebbe lasciato posto al secondo. Solo con l’astuzia e la buona sorte Napoleone poteva infatti controbilanciare l’inferiorità numerica e la sfavorevole disposizione logistica dei suoi. E il piano che tirò fuori dal suo cilindro gli valse gloria imperitura. Esso prevedeva che le truppe francesi fingessero di ritirarsi arretrando di un bel pò di chilometri, abbandonando al nemico tra le varie posizioni anche l’altura di Pratzen, una collinetta di 300 metri d’altezza 9 km ad est di Austerlitz, da dove si dominava l’intero campo di battaglia. Coperto dalla nebbia, il grosso dei francesi anziché arretrare sarebbe rimasto nascosto ai piedi dell’altura, mentre qualche altro contingente avrebbe fatto da esca facendosi volutamente attaccare dagli austro-russi. Costoro, indotti a credere di inseguire al grosso delle forze napoleoniche che credevano in rotta, si sarebbero scoperti in avanti alleggerendo la propria presenza sul Pratzen, pronto in realtà ad essere riconquistato alle spalle da 17.000 uomini del maresciallo Soult che la nebbia avrebbe reso invisibili al nemico. In un piano del genere, il sincronismo con gli agenti atmosferici era tutto. Se la nebbia si fosse infatti diradata prima di quanto previsto da Napoleone, la sua tattica sarebbe stata scoperta in anticipo dagli austro-russi e sarebbe dunque fallita. Se si fosse invece diradata più tardi, avrebbe impedito, vanificandole, le manovre francesi prima ancora di quelle nemiche. Ma il sole di Austerlitz” quella mattina fendette la nebbia al momento giusto, alle 08.40, svelando di colpo agli increduli austro-russi che il nemico francese che credevano scappare disordinatamente davanti a loro si trovava invece in bell’efficienza alle loro spalle. La sorpresa fu totale, tanto che Napoleone ordinò ai suoi di sferrare l’attacco con la banda musicale in testa, mentre Soult risalì la collina, riconquistandola completamente intorno alle 12.00. Quest’effetto sorpresa (che tagliò in due proprio al centro, dov’era la collina, lo schieramento anglo-russo), unito alla miglior posizione logistica ritrovata e all’arrivo a marce forzate (115 km in 2 giorni) del 3° corpo d’armata del generale Davout (che da Vienna si precipitò a rafforzare l’ala destra dello schieramento napoleonico, rimasta inevitabilmente sguarnita proprio per attirare le forze nemiche nella trappola, ma che sguarnito non poteva restare più di quanto lo rimase) portò prima del tramonto al collasso anglo-russo. Nella neve, la cavalleria russa venne falcidiata dall’artiglieria napoleonica, e gli annegamenti sui laghi ghiacciati di molti nemici in fuga fecero il resto. A fine battaglia, Napoleone si occupò immediatamente feriti, anche nemici, facendoli scaldare con fuochi e brandy in attesa delle cure sanitarie e gratificandoli con ricompense in danaro. Pensioni per le vedove dei caduti graduati e vitalizi per quelle dei soldati semplici vennero istituiti ad Austerlitz stessa con una legge ad hoc, mentre i figli dei caduti della Legione d’Onore rimasti orfani sarebbero stati formalmente adottati da Napoleone e cresciuti a spese dello Stato.

Quello che fu il campo di battaglia di Austerlitz (l’odierna Slavkov u Brna, paese in realtà non coinvolto nei combattimenti), ricade oggi in territorio della Repubblica Ceka. Come Davout, lo raggiunsi qualche anno fa da Vienna. Non a cavallo, ma in bicicletta, nel 2° e 3° giorno di una ciclata a sfondo storico di 215 km iniziata in Ungheria con l’inseparabile Francesco e ideata per festeggiare i 25 anni della nostra amicizia. Usciti da Vienna da nord, dopo circa 20 km di vigneti e campi coltivati a grano e zucche giungemmo a Pillichsdorf, sulla cui collina a nord del paese perdemmo inutilmente tempo ed energie: giunti in cima, dovemmo infatti riscendere poiché il sentiero era interrotto. Dopo una quarantina di chilometri tutta paesi paesi, ci concedemmo una sosta con ottimo gelato nella carina cittadina di Mistelbach, prima di affrontare gli ultimi 30 km della giornata (molti dei quali rosseggianti per il tramonto) in direzione nord-est: Repubblica Ceka. L’arrivo al confine col buio precedette un meritato bagno-premio nella piscinetta dell’hotel Cenice, giusto 100 metri dopo il cartello di confine. L’indomani, discesa alla cittadina di Breclav, e da li 22 km di asfalto statale assolato e più o meno rettilineo fino ad Hustopece, dove un paio di inconvenienti ci costrinse ad arrivare a Slavkov u Brna (Austerlitz) a metà pomeriggio, col museo già chiuso. Poco male: l’obiettivo era Pratzen (oggi Prace) che guadagnammo in ulteriori 45 minuti. Un bicchiere d’acqua offertomi dal proprietario dell’ultimo abitato del paese lato sud, prima della salita alla collinetta, quindi l’ultimo km e mezzo per giungere al memoriale della battaglia, ripercorrendo al contrario la strada con cui i baldanzosi russi scesero dalla collina nell’illusione di dar la caccia ai francesi, in realtà nascosti nel lato opposto. Erano le 18.10 quando la vista del memoriale della battaglia ripagò le nostre fatiche di quei giorni. Mezzora di pace, silenzio e solitudine deliziosi, intrisi di storia lì sintetizzata in lapidi e pannelli e da noi immaginata osservando quello che fu il campo di battaglia. Il rischio di perdere l’ultimo treno disponibile nei dintorni ci fece affrettare quell’appagante visita. Ma prima c’era un appuntamento da onorare, lo stesso che aveva dato qui, 200 e passa anni fa, Napoleone. Quello col sole. E puntuale come allora, non determinante come lo fu per una battaglia che stavolta non c’era, ma probabilmente ancor più bello di quello del 1815 perché allora era giorno e stavolta l’ora del tramonto, eccolo nel suo massimo sfolgorio alle 18.35! Il fatidico sole di Austerlitz! A far brillare gli alberi e il verde della collina dove ci troviamo, epicentro della battaglia di allora, e ad arrossare le campagne circostanti. Uno spettacolo mozzafiato, quasi una trasfigurazione. Il brivido di commozione che a quell’ora del vespro scese sulle schiene di due appassionati si storia e improvvisati ciclisti li ripagò appieno per l’impresa compiuta. Ridiscesi in paese, una scorciatoia sterrata di 2 chilometri e mezzo attraverso immense distese marroni di campi arati, ci portò al piccolo abitato di Blazovice, giusto in tempo per montare con le bici sul treno delle 19.13, l’ultimo della giornata, per Brno. Dopo i campi di battaglia delle due più importanti sconfitte dell’uomo che “fece capire allo Stato chi sono gli umili e agli umili cos’è lo Stato” (Lipsia e Waterloo), avevamo adesso visitato quello della sua più geniale vittoria. Conseguita anche grazie al sole. Ecco perché quando Balzac esortò gli intellettuali del suo tempo a “continuare con la penna l’opera che Napoleone aveva iniziato con la spada”, avrebbe dovuto far cenno anche a corsi o studi di meteorologia... 

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