Stefano Licata sulle vette del cuore1958-2016

Memoria per Stefano Licata sulle vette del cuore

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Stefano Licata sulle vette del cuore1958-2016

di Vittorio Esperia

Stefano Licata è scivolato in un crepaccio. In un caldo sabato di maggio, dove finalmente la primavera faceva sentire il suo tepore. Amava camminare e nulla più della corsa e delle camminate in montagna lo appassionava nel tempo libero. A poco più di un anno dalla pensione, ha raggiunto l'ultimo traguardo praticando il suo sport preferito. Le escursioni, la montagna, le vette raggiunte con gli amici. Lascia familiari affranti e amici in preda alla desolazione. Rimane un vuoto, profondo, nel cuore di Federica e Giulia di cui riportiamo l'elogio funebre, che hanno tenuto al funerale celebrato nel caldo martedì del 24 maggio. Oltre a un piccolo ricordo di carta, che ha le sembianze di un quaderno, dove sono annotate le escursioni che avrebbe voluto fare. 

Federica: <<Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse: per gli uni quelle che viaggiano sono delle comete, per gli altri non sono che delle piccole luci; per gli altri che sono dei sapienti sono dei problemi; per il mio uomo d'affari, l'uomo del nord ma tutte queste stelle stanno lassù. Tu avrai delle stelle come nessuno ha. Che cosa vuoi dire? "Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io vivrò in una di esse, allora sarà come se tutte le stelle splendessero. Tu avrai solo delle stelle che sanno ridere"  E rise ancora. "E quando ti sarai consolato, sarai contento di avermi conosciuto, sarai sempre mio amico, andremo a vivere nel mondo e apriremo una finestra così per il piacere e i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. In questi giorni, nella strada per venire da te, ho guardato quelle montagne e ho capito perchè ti piacevano tanto. La loro maestosità e il senso di religiosità che ispirano. Dovrei odiarle quelle montagne, ma non ci riesco perché so che tu le amavi e so quanto ti hanno reso felice. Quelle montagne mi hanno strappato via un pezzo di cuore. Mi hanno strappato via te, il mio papà. E io del mio papà avevo ancora bisogno. E farei qualsiasi cosa per averti ancora qua, per sentire ancora quelle lunghe telefonate in cui mi raccontavi delle tue gite, con già in mente la prossima meta. Ti vedrò ogni volta che guarderò una montagna, ogni volta che vedrò una rosa rossa, ogni volta che - guardandomi allo specchio - vedrò i tuoi lineamenti e le tue espressioni, e ogni volta che guarderò la mia sorellina Giulia. Vedrò te nei suoi occhi ogni altro giorno della mia vita finchè non potrò di nuovo riabbracciarti e dirti ancora quando ti voglio bene>>.

Giulia: <<Mi dicevi che la montagna non è come il mare, che bisogna guadagnarsela con il sudore, la fatica e la forza di volontà. Mi dicevi: "Chi va in montagna non può avere paura di niente nella vita reale, che le difficoltà della vita sono nulle se paragonate a una ferrata sul Resegone. Non penso di essere pronta ad affrontare tutto questo ma cerco di concentrare tutta la forza che c'è in me e di uscire da questo periodo nel migliore dei modi, come tu avresti voluto che io facessi. Sarai sempre in ogni alba e in ogni tramonto; ti vedrò in un fiore o in una farfalla, ti riconoscerò in ogni mio piccolo gesto e in ogni mia piccola, grande conquista. Ti sentirò nel rumore del mare e nel battito del mio cuore. Saremo sempre una cosa sola. Fai buon viaggio>>.

Stefano Licata, 05 Marzo 1958 - 21 Maggio 2016

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Roberto Dall'Acqua

Mi ricordo un giorno di agosto di tanto tempo fa; credo fosse il 2004 ma potrebbe essere stato anche qualche anno prima. Comunque era agosto e faceva molto caldo. Con Stefano ci inerpicavamo lungo i pendii della strada Oliena-Orgosolo in pantaloncini, maglietta e scarpe da corsa. Lui più attrezzato di me, perché già amante del correre e delle passeggiate tra la natura. Facevo fatica, sentivo l'aria pesante e i miei passi erano colmi di fatica. Allora Stefano mi ha detto: "Non pensare ad arrivare in fondo, pensa solamente al tuo prossimo obiettivo; guarda quell'ulivo e convinciti che devi arrivare fin lì. Poi ammira quel glicine e recupera tutta la tua energia per oltrepassarlo". Così mi faceva intendere che andava affrontata la vita e io - quando l'ho conosciuto a fine anno '90 - ero, presumo, un po' geloso di lui. Così affermato, così benvoluto, così leader. Al centro della sua ricca "famiglia" di amici, fratelli, moglie, figlie. La famiglia che io non avevo, praticamente, più e che rivedevo in quei pranzi della domenica o nelle occasioni di festa. La sana invidia però passa quando l'ho visto, cambiato - più maturo, più uomo, più adulto (per quanto già lo fosse) - in occasione dei diciottoanni Giulia, la seconda figlia. Era arrivato solo alla festa è solo se n'è andato. Lì ho capito che per me è stato un esempio: per non fare errori, per essere testardo il giusto, per non cadere nella sindrome del cinquantenne disperato. Disperato come sono, adesso, difronte alla sua morte. Che non mi so spiegare in quanto morte e in quanto surreale. Non so, e non vorrei offenderti Stefano, ma mi viene da dire che sei uscito di scena splendidamente, anche se tragicamente. Ma forse è proprio la vita a essere tragica e non la morte. La tua morte che sapora tanto di vita.

Il Giornale del Ricordo

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