Quel Mondiale spartiacque e la sua lezione di vita

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Quel Mondiale spartiacque e la sua lezione di vita

di Giovanni Curatola

Se la Storia è maestra di vita, in certi frangenti lo può essere anche la cosa più importante fra le meno importanti: il calcio. Nulla avviene per caso, e il caso (ossia Dio quando non si firma) ha voluto che un evento di rilievo e per certi versi irripetibile, come un Mondiale giocato 33 anni fa di questi giorni in casa nostra, coincidesse con una delicatissima fase di cambiamento. In Europa, nel mondo, oltre che nella città e nella vita di chi scrive.

La concatenazione di eventi politici innescati 7 mesi prima dalla caduta del Muro di Berlino, oltre a decretare la fine della Guerra Fredda (più per l’implosione di una contendente che per la vittoria dell’altra) sta rapidamente cambiando volto al Vecchio Continente. Paesi sin lì studiati sui libri di scuola come l’Unione Sovietica, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, si avviano ad essere spazzati via dalla mappa geografica (per le rispettive nazionali di calcio, quello del ‘90 sarà difatti l’ultimo Mondiale). Nuovi Stati verranno al loro posto, mentre altri travolti dagli stessi eventi mantengono i loro confini, limitandosi a una sola ma drastica inversione politica di rotta (Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria). Il 3 luglio, poi, dunque in pieno Mondiale, entra in vigore fra le due Germanie un trattato monetario, unico nel suo genere, che renderà poi solo una formalità, 3 mesi dopo, la riunificazione politica (trattato unico perché, da che mondo è mondo, un’unione monetaria o l’acquisizione di un’altra moneta è sempre stata conseguenza di un’unificazione o un assoggettamento politico, mentre qui ne sarà la causa). Anche la mia Palermo non sarà più la stessa dopo Italia ‘90: questo Mondiale le lascerà qualche infrastruttura che altrimenti non si sarebbe realizzata, se non in tempi biblici (metropolitana, stadio ristrutturato e sottopasso di viale Regione Siciliana), un maquillage che parte del centro storico attendeva da tempo, infine il riassetto urbano di via Croce Rossa, del Foro Italico e di Mondello, dove lo sgombro di tante vecchie baracche restituisce all’occhio una splendida vista mare sino a qui scelleratamente nascosta.

Quanto al sottoscritto, allora diciottenne, quel Mondiale rappresentò il tramonto della sua “belle epoque” adolescenziale, di un’era spensierata e delle sue certezze, con gli storici compagni/amici di quartiere, di parrocchia e di scuola che prenderanno da lì in poi vie diverse. D’accordo: l’università, altre attività e nuovi amici rimpiazzeranno pian piano i punti di riferimento perduti, ma so già che dopo quel Mondiale trascorso coi libri di greco, latino e fisica aperti (gli esami scritti di Maturità cadono durante proprio in quei giorni, l’orale il giorno dopo la finale) e con le chiavi della Panda di papà pronte per i primi giretti con gli amici a fine partita, vivrò un “dopo” con un inevitabile senso di vuoto e inquietudine perché pieno di incognite, almeno inizialmente. Dunque, se la mia adolescenza doveva proprio finire lì (ne avevo avuto i primi sentori già in primavera), mi auguravo che almeno finisse in bellezza, con l’ultima gioia da condividere con Vavà, l’insostituibile pedina familiare affettuosa (e a volte severa) a cui restava ahimè ormai poco da vivere e che per me era sempre stato tutto: zio, amico, insegnante, fratello maggiore, compagno di giochi, confidente, complice, narratore, maestro di matematica e di vita. Il sogno era l’Italia vincente di quel Mondiale, una sorta di revival del 1982. La squadra azzurra pareva difatti attrezzata per il titolo, tanto più che giocava in casa.

Ma così non sarà: Vavà se ne andrà a maggio, una ventina di giorni prima di quelle “notti magiche” (come canteranno Bennato e la Nannini nell’inno del Mondiale) che dovevamo seguire e commentare insieme, e in cui mi lascerà orfano. Ecco perché, quando anche oggi capita di imbattermi in quella canzone, mi si rimescola sempre tutto dentro: perché quella per me è stata la colonna sonora non solo di un Mondiale di calcio, ma del miscuglio di tutti gli eventi ravvicinati e delle forti emozioni, dolci e amare, ad esso associati. I titoli di coda di un’era che inevitabilmente tramontava. In assenza di Vavà, sarà lo stesso Mondiale a darmi l’ultima lezione di vita dell’adolescenza: la cognizione, amarissima, che nel calcio come nelle guerre e nella vita in genere, non sempre è premiato il migliore, ossia chi più merita. E la bellissima frase dell'inno di un reparto italiano dell’ultima guerra, “Vince sempre chi più crede, chi più a lungo sa patir”, che nella fantasia di un adolescente non fa una grinza, inizierà così a infrangersi sugli scogli della realtà, dopo che le magie di Schillaci stavano portando una bella e solida Italia a un passo dalla finale. Poi arrivano quel maledetto di Maradona e la scalogna, e il sogno si schianterà all’ultima curva. Ma andiamo con ordine.

L’8 giugno, a Milano, inizia il torneo. Sarà anche il Mondiale degli sprechi, delle tangenti e delle occasioni in cui tanti lucrano, ma gli occhi di un diciottenne sono tutti concentrati sui colori, sulla passione e sullo spettacolo garantiti già dalla cerimonia inaugurale e dalla prima sorpresa, subito dopo: il Camerun vincente sull’Argentina campione del mondo. Il giorno dopo, tocca a noi. A Roma. Partiamo bene, ma non sfondiamo. L’Austria regge fino al 79’, quando il palermitano Totò Schillaci, che solo 4 minuti prima era seduto in panchina, corregge in rete un cross di Vialli. Palermo impazzisce, l’Italia trova il suo eroe e l’ubriacatura collettiva inizia stasera. Martedì 12 il Mondiale esordisce a Palermo. Ci toccano 3 partite del girone F, la prima è Olanda-Egitto. La marea arancione che invade Palermo è pacifica e allegra, e fraternizza coi palermitani a Mondello e nei pub del centro. Ridotta all’equipaggio di alcune loro navi è invece la pattuglia egiziana, che occupa uno spicchio di curva. L’Olanda strafavorita è fermata sull’1-1, dopo il gol del vantaggio di Kieft sotto i miei occhi. Il 14 giugno, pur senza particolarmente brillare, l’Italia batte gli U.S.A. e Vialli, in evidente fase no, è definitivamente sostituito in attacco da Schillaci. Giorno 17 giugno Palermo si riprende il palcoscenico del Mondiale, ma Irlanda-Egitto non entusiasma e finisce senza reti. Il giorno dopo l’U.R.S.S., già eliminata, conclude la sua storia calcistica ai Mondiali battendo inutilmente il Camerun. L’anno dopo, squadra e nazione si dissolveranno. Il 19 l’Italia batte 2-0 la Cecoslovacchia con gol di Schillaci e una perla di Roberto Baggio. Il tandem titolare fisso, al posto degli opachi Vialli e Carnevale, sarà d’ora in poi Baggio-Schillaci. La vittoria dà agli azzurri il primo posto nel girone e, soprattutto, la certezza di continuare il cammino a Roma, ovattata dal clima caldo dei suoi tifosi.

Giovedì 21 vede di mattina il tema di Maturità (“La minaccia permanente di guerra nasce dalla mancanza di fiducia tra gli Stati e dal reciproco timore di subire un'aggressione…”. Infarcirlo di riflessioni personali sui recenti avvenimenti politici mi porta via un paio d’ore delle 6 a disposizione: le altre 4 le spendo fissando il soffitto dell’aula, tanto che all’uscita quel grande quadrato bianco non avrà più segreti per me. Sono soddisfazioni... Di sera, allo stadio per l’ultima e più attesa delle partite Mondiali di Palermo: Olanda-Irlanda. Fra muraglie umane arancioni in una curva, verdi nell’altra e mischiate senza alcun problema d’ordine pubblico negli altri settori dello stadio, la partita si gioca proprio in quella “giostra di colori” cantata da Bennato e dalla Nannini. Ne vien fuori l’ennesimo pareggio, (1-1) ma stavolta gradevole e combattuto fino all’ultimo, che alla fine promuove entrambe al turno successivo. L’indomani, 22 giugno, è la volta della versione di greco. E’ un brano di Luciano, più abbordabile del temuto: “D?κει μοι ? τ?ν ?νθρ?πων β?ος πομπ? τινι μακρ? προσεοικ?ναι…”, a me sembrava che la vita degli uomini assomigliasse a un grande corteo”). Lunedì 25 è la volta della sorprendente eliminazione del Brasile ad opera dell’Argentina, poi tocca a noi contro l’Uruguay. Segna il solito Schillaci, con una saetta dalla trequarti che sorprende pure i cameraman tv, raddoppia poi Aldo Serena, il giocatore che piaceva tanto a Vavà. Il 30 giugno iniziano i quarti di finale: l’Argentina approda in semifinale battendo con poca gloria (ai rigori) la Jugoslavia, anch’essa al suo ultimo Mondiale. L’indomani anche la nazionale cecoslovacca, fatta fuori dalla Germ.Ovest, chiuderà la sua storia. Delle altre due che approdano fra le prime 4, c’è l’Inghilterra (che solo con 2 rigori ai supplementari avrà ragione (3-2) di un sorprendente e simpatico Camerun) e c’è l’Italia, che batte l’Irlanda col minimo sforzo (golletto del solito Schillaci).

Martedì 3 luglio è la data clou, quella dell’amara lezione di vita. A 6 giorni dagli esami orali, L’Italia contende all’Argentina l’accesso in finale. Non si gioca a Roma, stavolta, ma a Napoli, dove quel furbastro di Maradona ha lavorato di fino per portare dalla sua i “suoi” tifosi napoletani. Quel dannato, speculando su un paese (l’Italia) che si ricorderebbe di Napoli solo ora che ha bisogno di sostegno, riesce benissimo nel suo intento di spaccare la tifoseria partenopea al punto che i giocatori azzurri avvertiranno un calore attorno a loro assai più tiepido di quello a cui erano abituati a Roma. Tuttavia, le partite si vincono in campo, e lì l’Italia (a cui al solito Baggio viene insolitamente preferito Vialli) si porta in vantaggio con Schillaci (sempre lui) ma poi una sciagurata uscita a vuoto di Zenga regala all’Argentina l’1-1. Supplementari, poi rigori. Sembrano mettersi bene, Poi Serena e Donadoni falliscono e gli argentini volano in finale. La delusione è cocente: la squadra di casa, la più bella e accreditata per il titolo, esce per un niente, inciampando su una buccia di banana. Piangeranno tutti: giocatori, giornalisti, tifosi. La lezione di vita prima accennata, e che ricevo quella sera, dovrà servire ad accettare un verdetto anche se ingiusto, e a sentirsi vincitori se comunque si è dato tutto. Questo mi/ci tocca ingoiare, con l’inevitabile rabbia del momento. L’Italia poi batterà 2-1 l’Inghilterra nella finale per il 3° posto. L’indomani, domenica 8 luglio, è il giorno della finale. L’ultima delle “notti magiche” coincide per me con la “notte prima degli esami”. A Roma, contro la Germ.Ovest, dovevamo esserci noi! C’è invece l’Argentina, che spero vivamente i tedeschi sommergano di reti. L’inno argentino è sonoramente fischiato da tutto lo stadio. Maradona s’incavola di brutto: ben gli sta. E’ una brutta finale, lo spettacolo latita, e di gol, per giunta su rigore dubbio, ne arriva uno solo, a pochi minuti dalla fine. Lo segnano i tedeschi, per l’ultima volta dell’Ovest (la riunificazione della Germania avverrà fra 3 mesi), alzando quella Coppa che, in verità, avremmo meritato più noi. Le immancabili note delle “notti magiche” risuonano per l’ultima volta, dopo un mese che ha regalato comunque grandi emozioni e che resterà sintetizzato negli occhi sgranati di Schillaci. L’Italia (paese) ha superato con un buon voto tutti i suoi esami organizzativi. Adesso, fra poche ore, tocca a me. Lunedì 9 luglio è infatti il giorno degli esami orali. Chiudono i 5 indimenticabili anni di liceo il latino (un passo di S.Agostino da tradurre al momento più domande varie) e la fisica (domande su vettori, qualche formula e leggi dei gas). Come l’Italia, supero l’ostacolo senza grossi patemi, ma col rammarico di aver potuto fare anche meglio. La cosa, a dispetto della mancata alzata della Coppa degli azzurri, mi brucerà assai meno. Tanto che adesso, a distanza di 33 anni, i ricordi della mia Maturità riaffiorano sereni, mentre quando capita d’imbattermi su filmati di quel Mondiale, giunti al momento della fatidica semifinale con l’Argentina o spegno, se posso, o mi allontano. Riperderla nuovamente, pur a lezione di vita ormai acquisita e digerita, brucerebbe ancora...

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