di Daniela Dall’Acqua
Il villaggio operaio di Crespi d'Adda, oggi frazione del Comune di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo - città “artificiale”, creata all'interno del paesaggio naturalistico ricco di boschi e colline, vicino al corso dei fiumi Adda e Brembo - rimane a testimoniare il sogno di Benigno e Silvio Crespi, industriali nel settore tessile, che incaricarono del progetto e della realizzazione dell'opera gli architetti Gaetano Moretti ed Ernesto Pirovano. Dal 1877 al 1925 vollero realizzare un nuovo complesso industriale, completato dalla loro dimora privata, in forma di castello medievale, dalle abitazioni degli operai e degli impiegati, la cui architettura riflette la gerarchia delle rispettive posizioni sociali legate al ruolo rivestito nella fabbrica, e da tutte le strutture necessarie per la vita sociale: scuola, asilo, teatro, chiesa, lavatoio, ambulatorio. Nasce così una “città operaia” - su modello della città di Schio realizzata in provincia di Vicenza da Alessandro Rossi - e ispirata dallo spirito filantropico di Crespi, alla ricerca di un sistema di vita nuovo, di una nuova organizzazione urbana per la nascente industria italiana. Nel villaggio operaio - dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1995 - la vita si svolgeva tutta lì: nascita, lavoro, svago, istruzione, religiosità, lavori domestici; per ogni attività, un luogo, un edificio preposto. E anche la morte aveva il suo luogo: un lungo viale che si distende costeggiando le mura del complesso industriale, prosegue un po' fuori dall'abitato fino al cimitero, delimitato da una recinzione in pietra e ferro battuto, in cui troneggia il mausoleo della famiglia Crespi, simile a una zigurrat (sono delle strutture religiose, più precisamente delle piattaforme cultuali sovrapposte, diffuse lungo tutta la Mesopotamia, ma anche sull'altipiano iranico e nelle zone dell'odiernoTurkmenistan), posto su un alto basamento. Lungo la recinzione si trovavano le tombe dei dirigenti e degli impiegati della fabbrica, con lapidi in pietra, alcune con immagini a rilievo in stile liberty, altre con frasi di ricordo e preghiera, qualche foto su ceramica. Alcune di queste sepolture sono state sostituite da tombe più recenti. In un angolo del cimitero sono state accumulate alcune croci in pietra ma molte di queste croci rimangono nel campo, in terra: ognuna segna la sepoltura di un operaio. La gerarchia sociale, rispettata in vita, doveva essere rispettata anche nella morte. Avvicinandosi a queste file di croci in pietra, tutte uguali, tutte allineate, si possono leggere sulle targhette in metallo i nomi dei defunti e il loro anno di nascita e di morte. E qui una triste sorpresa attende il visitatore: moltissime di queste targhe portano i nomi di bambini morti a pochi mesi, a un anno, due o tre di vita. Anche qui, in un luogo costruito per essere una piccola città ideale, dove l'assistenza anche sanitaria era assicurata dalla filantropia dei Crespi, il tasso di mortalità infantile restava elevato. Questo flagello, ormai dimenticato nell'Occidente del XXI secolo, ha afflitto per secoli l'Europa, come affligge ancora oggi i paesi del terzo mondo. Il dolore che allora provarono i familiari per la morte dei piccoli, degli indifesi, le domande che dovettero porsi sul significato, sulla 'giustizia' per una perdita così crudele, toccano e scuotono anche noi, ancora oggi, mentre camminiamo per questo cimitero. La risposta a queste domande si legge sulla base del portale in bronzo:
“MORS ET VITA DUELLO CONFLIXERE MIRANDO MORS MORTUA EST.” (“La Morte e la Vita si combatterono in un mirabile duello – La Morte è stata sconfitta”)
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