Oriana Fallaci, ostinata ricerca della verità1929-2006

Memoria per Oriana Fallaci, ostinata ricerca della verità

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Oriana Fallaci, ostinata ricerca della verità1929-2006

di Giovanna Triolo

Giornalista, scrittrice, attivista. Polemica, controversa, radicale. Sono passati ben dieci anni dalla scomparsa di quella donna che armata di taccuino giunge al fronte vietnamita in veste di prima inviata speciale. Di quell’Oriana Fallaci il cui nome non è alieno in nessun punto della terra. Una personalità da molti amata e da tanti odiata, che il 15 settembre 2006 si spegne nella stanza di un ospedale di Firenze, sua città natale, perdendo così la guerra contro il cancro. Una donna che ha fatto la storia del giornalismo italiano e non solo. Una donna che dopo dieci anni continua ad essere attuale, seppur non di rado chi sostiene un suo pensiero ne bocci al contempo un altro. Oriana Fallaci è stata e continua ad essere la scintilla da cui si diramano riflessioni che abbracciano i temi più svariati. Dalla resistenza alla guerra, dal femminismo alla religione. “Voglio morire nella torre dei Mannelli guardando l'Arno dal Ponte Vecchio. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata”. Queste le parole della scrittrice dinanzi alla consapevolezza che la malattia ai polmoni che la colpiva ormai da anni l’avrebbe portata via prematuramente. Una malattia che, malgrado l’accanito vizio del fumo, imputava all’aver respirato - durante la sua permanenza in Kuwait per seguire la guerra del golfo - il fumo dei pozzi di petrolio fatti incendiare da Saddam Hussein. Quell’Oriana che già bambina vede con i propri occhi la seconda guerra mondiale e che della guerra fa la fonte del suo mestiere. Segue la guerra del Vietnam, il conflitto fra Iran e Pakistan, nonché quelli in Sud America e Medio Oriente. Intervista le più note personalità del Novecento e con spregiudicatezza si toglie il chador durante l’intervista a Khomeyni, generando l’ira dell’ayatollah. Le sue scarpe calpestarono vari fronti, le sue orecchie udirono esplosioni di bombe, il suo corpo fu trapassato da proiettili, e la sua penna mise per iscritto la storia.

Oriana Fallaci, Firenze 29 Giugno 1929 – Firenze, 15 Settembre 2006

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Roberto Dall'Acqua

«Oriana Fallaci – Scrittore» di Giulia Licata Oriana Fallaci è stata sicuramente una delle personalità più chiacchierate, criticate, odiate, ma anche apprezzate e conosciute in tutto il mondo. Inventò un modo tutto suo di scrivere e intervistare, fu una delle prime donne a farsi strada in un mondo che fino ad allora alle donne sembrava precluso. Ebbe posizioni radicali, fu molto poco politically correct e per questo divenne oggetto di attacchi e pesanti contestazioni. A un certo punto della sua vita diventò un personaggio, a prescindere dalle storie che raccontava e che aveva raccontato: fotografata e intervistata dai più importanti giornali internazionali con i suoi occhialoni, le sigarette, i suoi cappelli e il suo pessimo carattere. Oriana Fallaci mi ha sempre colpita per la sua forte personalità, la sua determinazione ed irruenza. Ho scelto di dare questo titolo alla mia tesina perché leggendo la sua biografia una cosa in particolare ha attirato la mia attenzione. Oriana, infatti, in osservanza alle sue ultime volontà, fu sepolta con cerimonia strettamente privata nel cimitero degli Allori, tradizionalmente utilizzato dai non cattolici, accanto ai suoi genitori e sulla lapide volle che fosse scritto: «Oriana Fallaci – Scrittore». Oriana Fallaci nacque a Firenze il 29 giugno del 1929 da genitori fiorentini: Tosca ed Edoardo Fallaci. La sua era una famiglia di antifascisti militanti. Il padre era iscritto al Partito socialista italiano (PSI) da quando aveva 17 anni. Padre e madre tenevano la cultura in altissima considerazione, spronavano le figlie a studiare e, nonostante fossero poveri, compravano a rate i grandi classici della letteratura. Intorno a questi volumi, trattati come cosa sacra e custoditi in un mobile a vetri, nella cosiddetta stanza dei libri, si cristallizzò il sogno di Fallaci di divenire scrittrice, fortissimo in lei fin dall’infanzia. Per tutta la vita nutrì una passione fortissima per i libri antichi, che acquistò e conservò sempre con vera passione, creando una collezione che prima della sua morte donò alla Pontificia Università Lateranense di Roma. Dopo la caduta del regime fascista, nel luglio del 1943, suo padre entrò nella Resistenza e portò con sé la figlia che aveva 14 anni. Con la sua bicicletta e il nome di battaglia “Emilia”, Oriana Fallaci affiancò il padre in varie operazioni, fece da staffetta consegnando ai compagni partigiani armi, giornali clandestini e messaggi e accompagnando i prigionieri inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento italiani dopo l’8 settembre verso le linee degli Alleati. I grandi classici della letteratura pagati a rate dai genitori e la partecipazione alla Resistenza furono i due elementi fondamentali della sua formazione.Seguendo le orme dello zio Bruno Fallaci, Oriana e le sorelle Neera e Paola si affacciano molto presto al mondo della carta stampata: Neera con «Oggi», Paola con «Tempo», e Oriana con «Il Mattino dell’Italia Centrale», il quotidiano fiorentino che nel 1946 pubblica il suo primo articolo, quando ha solo 17 anni. Grazie a quella collaborazione e ai primi soldi guadagnati può iscriversi all’università di Medicina e mantenersi agli studi. Dopo un anno in cui studi e lavoro furono portati avanti parallelamente, Oriana fu costretta a scegliere tra i due e optò per il giornalismo, che le dava uno stipendio regolare. Il suo sogno era sempre stato quello di diventare «scrittore» e il giornalismo non era che un modo per arrivare a questo obiettivo e al tempo stesso potersi mantenere senza pesare sulla famiglia. Come cronista del Mattino dimostrò fin dall’inizio grande talento e duttilità, scrivendo di qualsiasi argomento: dalla cronaca nera alla politica locale, al costume. Collaborò con molti altri giornali e nell’aprile del 1951 ebbe l’onore di veder pubblicato un suo articolo nel settimanale L’Europeo, uno fra i più prestigiosi del Paese. All’epoca le donne avevano poco spazio nel mondo della carta stampata italiana. Non solo erano pochissime, ma venivano relegate a temi cosiddetti 'femminili': costume, moda, cinema. Oriana dovette accettare questo stato di cose anche se in realtà fin da giovane avrebbe voluto scrivere di politica, desiderio quasi irrealizzabile per una donna in quegli anni. Nel 1958 pubblicò a Milano per Longanesi il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood, che ottenne un grande successo. Al primo libro seguirono rapidamente altri volumi, a cominciare da Il sesso inutile (1961), una raccolta di articoli pubblicati su L’Europeo sulla condizione della donna nel mondo: Fallaci aveva viaggiato per settimane attraverso Turchia, Pakistan, India, Malesia, Hong-Kong, Giappone, Hawaii, raccontando al pubblico la condizione femminile in ogni cultura. Fu proprio in uno di questi viaggi che avvenne il suo primo contatto diretto con l’Islam e le sue critiche alla condizione della donna nei Paesi dove questa religione è dominante. Nel frattempo, la sua eccezionale bravura la porta all'Europeo, e al Corriere della Sera, come inviato speciale e poi come corrispondente di guerra: dal 1967 in Vietnam, poi nella guerra Indo-Pakistana, in Sud America, in Medio Oriente. In prima linea anche nei combattimenti più feroci, Oriana vive sulla propria pelle l’odio tra soldati, la comune paura di morire, l’irrazionalità di scontri a fuoco di una violenza disumana. Questi sentimenti diventano più concreti quando Oriana nel 1968, trovandosi a Città del Messico alla vigilia delle Olimpiadi, viene coinvolta nella strage di piazza delle Tre Culture. Apparentemente ferita a morte dalla polizia che spara sugli studenti che si riparano come possono, è trasportata prima all’obitorio, da lì miracolosamente recuperata e trasferita all’ospedale.Il 21 agosto 1973 la giornalista fiorentina conobbe Alexandros Panagulis, un leader dell'opposizione greca al regime dei Colonnelli, che era stato perseguitato, torturato e incarcerato a lungo. Si incontrarono il giorno in cui egli uscì dal carcere e Oriana ne diventerà la compagna di vita fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1º maggio 1976, episodio segnerà indelebilmente la vita della scrittrice. La Fallaci ha sempre considerato l'incidente di Panagulis un vero e proprio omicidio politico, ordinato da politici che avevano fatto carriera con la giunta militare. La storia di quest'uomo, che molti cominciarono a considerare un vero e proprio eroe, verrà raccontata dalla scrittrice nel romanzo Un uomo, pubblicato nel 1979, oltre che in una lunga intervista, poi raccolta in Intervista con la Storia. Secondo quanto scrisse, la scrittrice rimase anche incinta del patriota greco, ma dopo un litigio con lo stesso Panagulis la Fallaci ebbe un aborto spontaneo. Dalla vicenda della maternità mancata trasse il libro Lettera a un bambino mai nato, il primo libro che non nacque da un'inchiesta giornalistica. Tra gli anni Settanta e Ottanta la Fallaci è sulla cresta dell’onda. Lettera a un bambino mai nato e Un uomo sono tradotti e pubblicati in tutto il mondo e i suoi articoli e le sue interviste appaiono sulle più prestigiose testate internazionali. La fama la porterà poi, nel 1977, a ricevere la laurea honoris causa in Letteratura dal Columbia College di Chicago. Maturano in questi anni l’amore di Oriana per gli Stati Uniti e il conseguente allontanamento dalla sua Italia, e dalla sua adorata Firenze in particolare. Oriana si ritira in modo quasi permanente a New York. I suoi viaggi in Italia si fanno via via più sporadici o segreti, ma il suo spirito d’appartenenza si rafforza, facendola sentire per sempre e prima di tutto fiorentina. Tra il 1991 e il 1992 entrano di prepotenza nella sua vita due elementi che l’accompagneranno fino alla morte. Il primo è il cancro, o meglio «l’Alieno», come Oriana preferisce chiamarlo. Il secondo, che lei definisce «il mio Bambino», è un’impresa memorabile cui meditava di dedicarsi da tempo. Si tratta della stesura di una grande saga sulla sua famiglia che attraversa i secoli a partire dalla storia di Ildebranda, lontana ava condannata per stregoneria nel Seicento, fino ad arrivare alla propria infanzia, alla prima metà del Novecento. Oriana è quasi ossessionata da quello che immagina sarà il suo ultimo libro e ciò, inevitabilmente, la porta a una sorta di esilio, se non altro dai dibattiti italiani e mondiali. Soltanto i rapporti con la società americana non si troncano, ma certamente si diradano sempre più con l’andare degli anni. Il 29 settembre del 2001 il «Corriere della Sera» pubblica La Rabbia e l'Orgoglio, una lunga lettera che segna il veemente ritorno di Oriana Fallaci sulla ribalta della scena italiana e internazionale. Nell’agosto del 2006 le sue condizioni di salute si aggravano, e Oriana chiede di essere trasportata in Italia, alla casa di cura Santa Chiara di Firenze, per poter chiudere definitivamente gli occhi sulla Cupola di Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze. . UN UOMO: “È giunta l’ora di andare. Ciascuno di noi va per la propria strada: io a morire voi invece a vivere. Che cosa sia meglio, Iddio solo sa.” (Platone, Apologia di Socrate) “Un uomo” è il libro in cui Oriana Fallaci vuole raccontare la storia di Alekos Panagulis e per poterlo fare deve raccontare anche la sua di storia, la storia di una donna così forte, ma che si trova davanti ad un eroe che l'ha scelta come vittima ed eletta allo stesso tempo. Oriana Fallaci è stata l'unica donna della sua vita, l'unica in grado di entrare in punta di piedi nei pochi momenti in cui le era concesso, nella sua solitudine, non per alleviarla, ma per comprenderla. Chi è Alekos Panagulis? Alekos Panagulis è sicuramente uno di quei personaggi che si fa fatica a descrivere per via di quel suo dannato bisogno di vivere sempre al limite. Rivoluzionario, poeta, amante. Sono forse queste le tre parole che meglio lo descrivono. Rivoluzionario. Panagulis fu un grande rivoluzionario. Nacque a Glifada, nei pressi di Atene. Nel 1939, si trovò a vivere il regime dei colonnelli greci all’età di 27 anni. Abbandonò l’esercito, dove rivestiva il grado di ufficiale, all’indomani del colpo di Stato firmato dalla Giunta, e divenne velocemente protagonista della scena politica, militando nelle fila della resistenza democratica. L’apice lo raggiunse il 13 agosto del 1968 quando, sfruttando la monotonia degli spostamenti del dittatore Georgios Papadopoulos, Panagulis decide di compiere un attentato contro lo stesso Papadopoulos, piazzando dell’esplosivo dove sarebbe dovuto passare l’intero convoglio dittatoriale. Nonostante i vari ripensamenti, dettati dal fatto che Panagulis non fosse in grado di uccidere neanche una mosca, fece esplodere l'ordigno. L’attentato fallì e poche ore dopo la polizia lo consegnò nelle mani di Papadoupolos stesso. Da quel momento per lui inizieranno gli anni del dolore. Gli si provò a strappar via l’anima a colpi di torture fisiche e psicologiche. Venne rinchiuso in una sorta di sarcofago, in celle minuscole e disumane nelle quali si riuscivano a compiere a malapena tre passi; fu costretto alla fame e alla sete, venne torturato in ogni parte del corpo, ma senza mai perdere la speranza di fuggire né quella dignità di chi sacrifica se stesso nella lotta contro l’oppressione. Poeta. Panagulis in carcere, con mezzi di fortuna, scrisse numerose poesie. A periodi gli impedivano di fumare, di leggere, di avere un foglio e una matita per scrivere le sue poesie, ma lui le scriveva lo stesso, su minuscoli fogli di cartavelina, usando il suo sangue per inchiostro. «Un fiammifero per penna / sangue gocciolato in terra per inchiostro / l’involto di una garza dimenticata per foglio / Ma cosa scrivo? / Forse ho solo il tempo per il mio indirizzo / Strano, l’inchiostro s’è coagulato / Vi scrivo da un carcere / in Grecia.». Versi che hanno una potenza espressiva enorme, che sanno racchiudere gli interrogativi e lo strazio di un uomo condannato al dolore e alla tortura in nome delle proprie idee. Riusciva anche a mandarle fuori dalla prigione, quelle belle poesie scritte col sangue. Il suo primo libro infatti aveva vinto il Premio Viareggio ed era ormai un poeta riconosciuto, tradotto in più di una lingua, e sul quale si scrivevano saggi e analisi da storia della letteratura. Amante. Panagulis è uno di quei personaggi che sanno emanare amore. Non amore per le donne, o per la politica, o per la cultura o l’arte. O meglio, non solo. Emanano un amore incondizionato verso tutto quel che hanno intorno e tutto ciò che li riguarda. Il 21 agosto del 1973 fu scarcerato grazie all'amnistia ed è per tutti ormai una leggenda. È proprio in questo momento che conosce Oriana Fallaci, venuta in Grecia per intervistarlo. Il loro non fu un “conoscersi”, ma un “riconoscersi”, come la scrittrice stessa ama ricordare. Immediatamente la colpì la sua voce seducentissima, dal timbro fondo, quasi gutturale. Una voce per convincer la gente. Il tono era autorevole, calmo: il tono di chi è molto sicuro di sé. Parlava come un leader. Di volto non era di certo un uomo che si può definire bello. Aveva gli occhi piccoli e strani, una bocca grande, un mento corto, infine quelle cicatrici che lo sciupavano tutto. Alle labbra, agli zigomi. Eppure, secondo il racconto della Fallaci, ben presto ti sembrava quasi bello: “di una bellezza assurda, paradossale, e indipendente dalla sua anima bella”. Oriana e Alekos ebbero una relazione che durò fino alla morte di Panagulis stesso, e “Un uomo” vuole essere un’appassionata biografia dell’uomo amato dall’autrice. Quasi un’agiografia. È un testo da cui quest’amore, l’amore che la figura di Panagulis emana, emerge chiaramente nella sua nuda e sensibile crudezza. Un amore sconfinato per la vita, che dalle pagine della Fallaci prende corpo. La Morte. Nel 1974 cadde la Giunta e un nuovo vento fresco sembrava blandire lo spirito greco. La Giunta aveva abdicato, e tutto fremeva in vista delle prime elezioni democratiche dal 1967. Panagulis si candidò e, eletto, iniziò un approfondito lavoro di ricerca atto a smascherare i legami del regime con politici che avevano sostenuto la Giunta e continuavano a sedere nel nuovo Parlamento e ricoprire nuove cariche di governo. I primi ad essere colpiti furono alcuni rappresentanti del proprio partito, il “Nuovo Centro”, per i quali chiese l’immediata espulsione. Al rifiuto secco, Panagulis si allontanò dal partito e rimase in Parlamento da autonomo. Il secondo a cui toccò essere sbugiardato fu Averoff, che all’epoca era Ministro della Difesa. Questo lo rendeva detentore di un potere potenzialmente molto superiore a quello di qualsiasi altra carica istituzionale, in quanto al comando di un esercito ancora molto fedele alla Giunta. È proprio in questo periodo che Panagulis divenne molto più scomodo di quanto non lo fosse mai stato prima.Ed ecco dunque che inesorabile arrivò la notte tra il trenta aprile e il primo maggio del 1976. In un lungo viale delle macchine sfrecciano rapide nella notte di Atene. In una vi è Panagulis, diretto a Glifada. Una seconda macchina, che da qualche minuto sembra pedinarlo, d’improvviso lo sperona, facendogli perdere il controllo, mentre una terza, che già gli si era affiancata, lo fa uscire di strada, mandandolo a schiantarsi. Le due auto spariscono nell’oscurità. Panagulis muore sul colpo. La verità ufficiale fu diversa. Si sostenne che l’errore fu di Panagulis, e Michele Steffas, indicato dalla Fallaci come uno dei sicari, fu solamente multato per omissione di soccorso, mentre numerosi periti stranieri sostennero la tesi dell’omicidio ad opera dello stesso Steffas. La più alta forma di giustizia possibile gli fu resa probabilmente dalla sua gente. Dal popolo greco che, riunitosi in occasione dei funerali, lo ricordò col cordoglio e gli onori dovuti ad un eroe. “Zi, Zi, Zi” si sentiva gridare dall’immenso corteo funebre. “Vive, Vive, Vive” urlavano al cielo le vie d’Atene, mentre l’anima di un rivoluzionario si spegneva, lo spirito di un poeta volava verso cieli imperscrutabili, e il corpo di un amante si inabissava per sempre sotto la fredda ed umida terra. Quella di Alekos Panagulis fu sicuramente una vita spesa nella denuncia, nella lotta spesso inutile, ma necessaria, la lotta per la vita di altri, che però avrebbe condotto alla sua morte. Una morte fatta di solitudini e silenzi, che si rivelò essere la sua impresa più grande. Molti hanno creduto e credono ancora oggi che sia stato un eroe. Alekos però non lo credeva. Non si faceva molte domande su chi fosse, faceva solo quello che si sentiva. Era uno dei pochi rimasti a combattere per la Libertà, quel valore che sembra essere un'utopia e che pochi tentano di raggiungere, forse per pigrizia, forse per abitudine. Oriana e il rapporto con l'islam “La rabbia e l’Orgoglio”, scritto dalla giornalista fiorentina all’indomani dell’11 settembre 2001, è il testo che tutti, o quasi, indicano come punto di svolta nel rapporto tra la Fallaci e l’Islam integralista. La prima edizione arriva nelle librerie italiane il 12 dicembre 2001, tre mesi dopo l'attentato terroristico. «Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». Queste le parole che introducono il lungo articolo apparso sul «Corriere della Sera» il 29 settembre 2001; articolo che sarà poi ampliato e arricchito dall’autrice e finirà per diventare, nel giro di neanche due mesi, un «piccolo libro» capace di superare il milione di copie. L'articolo suscita, però, anche violente polemiche. La forza e l’irruenza con le quali la civiltà occidentale viene giudicata superiore rispetto alle altre scuote profondamente l’opinione pubblica. Dopo la pubblicazione di Insciallah nel 1990, Oriana aveva scelto l'”esilio” e si era trasferita praticamente in via definitiva a Manhattan, dopo aveva intrapreso quasi in contemporanea la terribile lotta contro il cancro e la lunga lavorazione a “Un cappello pieno di ciliegie” la grande saga sulla storia della propria famiglia. Aveva chiuso la porta della popolarità, e si era ritirata a una sorta di vita privata che le permettesse di scrivere avvolta dalla solitudine che aveva sempre sognato: soltanto lei, «l’Alieno» da distruggere e decine di personaggi che affioravano di giorno in giorno da tempi lontani. L’attacco terroristico dell'11 settembre 2001 spinse la scrittrice a rompere il silenzio nel quale si era rinchiusa da anni. All'interno del libro, che lei stessa definisce una requisitoria simile al “J'accuse” che Zola scrisse nel 1898 per l'Affare Dreyfus, la Fallaci affronta la spinosa tematica del fondamentalismo religioso, delle diversità che rendono inconciliabili la cultura orientale e occidentale, dell’impossibilità di convivenza tra popoli ospitanti pigri e sprovveduti e immigrati islamici insensibili al concetto d’integrazione. Il libro scatenò reazioni estreme: da una parte i lettori che divennero suoi seguaci; dall’altra i denigratori, che intesero le pagine della scrittrice fiorentina come pure istigazioni all’odio e alla xenofobia. L’unico punto che riunì i due schieramenti fu la nuova attenzione dedicata alla questione dell’immigrazione: da argomento tabù e particolarmente scomodo, che si preferiva quindi non affrontare, divenne tema affrontano nei dibattiti italiani prima, e mondiali poi. Impossibile però è, ricordando la Fallaci e parlando di Islam, non citare l’intervista che lei realizzò all’ayatollah Khomeini1, intervista in cui oltre a chiamare apertamente la guida dell’Iran per quello che era, e cioè ‘dittatore’, la giornalista gli rivolse una domanda abbastanza provocatoria: Su questo chador, per esempio, che lei impone alle donne e che mi hanno messo addosso per venire a Qom. Perché le costringe a nascondersi sotto un indumento così scomodo e assurdo, sotto un lenzuolo con cui non si può muoversi, neanche soffiarsi il naso? Ho saputo che anche per fare il bagno quelle poverette devono portare il chador. Ma come si fa a nuotare con il chador? Il quale rispose: Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene. Al che, vennero a galla tutte le ingiustizie, le umiliazioni, gli insulti e i tormenti che la scrittrice e giornalista aveva dovuto sopportare in quei giorni solo per il semplice fatto di essere donna. Con una spallata lasciò andare il chador che si afflosciò sul pavimento. A quel punto l'ayatollah Khomeini si alzò con uno scatto così svelto e improvviso, scavalcò il chador e sparì. La Rabbia e l'Orgoglio: La giornalista fiorentina apre il suo articolo esprimendo il proprio sdegno e la propria rabbia verso coloro che hanno gioito per l’attacco terroristico nei confronti degli Stati Uniti. Inizia così il drammatico racconto di quella mattina dell’undici settembre e di come, attraverso la televisione, abbia appreso la tremenda notizia. Il linguaggio è abbastanza “crudo”, con periodi brevi e veloci, talvolta totalmente privi di punteggiatura; alcune espressioni inglesi sono inoltre fuse a quelle italiane. La Fallaci descrive poi alcune esperienze personali legate alla guerra (in Vietnam e Messico): il numero di vittime che ha visto nella sua vita - dice - è comunque considerevolmente minore rispetto a quelle (che mai riusciranno a quantificare) del World Trade Center, in quella che lei definisce come una vera e propria apocalisse. La scrittrice afferma di non provare alcun rispetto ed alcuna pietà nei confronti dei kamikaze, definendoli addirittura come «vanesi che invece di cercare la gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte propria ed altrui». I veri martiri non sono i kamikaze, ma sono i passeggeri degli aerei dirottati. L'invulnerabilità degli Stati uniti La stessa invulnerabilità che l'Europa ha sempre attribuito agli Stati Uniti, ma che non si è rivelata essere tale. Più una società è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un paese è libero e non governato da un regime poliziesco, più subisce massacri e atti terroristici. In realtà la vulnerabilità dell'America, secondo Oriana, nasce dalla sua forza, dalla sua ricchezza, dalla sua potenza, dalla sua modernità e soprattutto dalla sua essenza multietnica, dal momento che ventiquattro milioni di americani sono arabi e musulmani. Osama Bin Laden ha saputo colpire gli USA al cuore, in quei grattacieli di proporzioni gigantesche che sintetizzano la società statunitense. Confronto tra le due civiltà: È a questo punto che vengono messe a confronto le due culture, con la scrittrice che afferma chiaramente la disparità tra il mondo occidentale e quello orientale. Dietro la nostra civiltà ci sono Socrate, Platone, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Mozart, la Grecia con la democrazia, la Chiesa, che ha praticato l’Inquisizione ma ha anche dato un grande e fondamentale contributo alla storia del pensiero. Ma cosa c’è dietro l’altra cultura? Nulla, a parte Maometto ed un Corano che predica il principio dell’occhio per occhio dente per dente, della poligamia ed obbliga il chador per il volto femminile. La scrittrice racconta le proprie esperienze personali in Pakistan, Kuwait, Libia e Giordania legate al fanatismo religioso, come quando fu trattata alla stregua di una prostituta per essersi presentata con lo smalto rosso sulle unghie. La Fallaci sottolinea il fatto di essersi sempre comportata correttamente e con rispetto nei paesi stranieri, senza aver mai dimenticato di essere ospite. Questo per sottolineare invece un episodio accaduto a Firenze, città natale della scrittrice - e a suo dire - devastata e orribilmente sfregiata da un gruppo di musulmani somali che protestavano contro il governo italiano. Dopo aver vanamente discusso con il sindaco del capoluogo toscano, invitandolo ad occuparsi della faccenda, la Fallaci decise di intervenire in prima persona, minacciando alcuni poliziotti di bruciare la tenda in cui quei clandestini si erano accampati. Inizia così un lungo monologo sugli scempi e le deturpazioni di cui le maggiori città italiane, culle dell’arte e della cultura mondiale, sono state oggetto da parte delle popolazioni straniere e sull’impossibilità, da parte del nostro paese, di sopportare immense ondate migratorie da parte di persone che pretendono di cambiare il nostro sistema di vita: significherebbe, a suo dire, . In conclusione, la scrittrice dichiara la propria italianità, giudicando l’America come un'amante e l’Italia come un marito al quale rimarrà sempre fedele; tuttavia non riesce a riconoscersi nell’Italia di oggi, così vigliacca, cattiva e superficiale. Si fa di tutto pur di stringere la mano ad un divo di Hollywood, ma ci si disinteressa completamente se Osama Bin Laden riduce New York ad una montagna di cenere. Un paese senz’anima, privo di coraggio e di dignità, fatto di politici incapaci e presuntuosi e di giovani che “affogano” nell’ignoranza. Lo sfogo della scrittrice, dettato dalla rabbia e dall’orgoglio, si conclude così, con la speranza di un’Italia ideale simile a quella che lei sognava e alla quale pensava affettuosamente da bambina. 14 anni dopo... “Intimiditi dalla paura di andar controcorrente cioè d’apparire razzisti, non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione” Un attacco terroristico senza precedenti ha assediato Parigi, a meno di un anno dalla strage di Charlie Hebdo, nella notte del 13 novembre 2015. Un commando di attentatori kamikaze ha colpito sei volte in 33 minuti, sparando all'impazzata sulla folla, in strada e nei locali, soprattutto fra giovani che stavano trascorrendo il venerdì sera fuori casa. Un attacco di terroristi senza precedenti in Francia: almeno 129 i morti e oltre 300 feriti. Sette terroristi sono morti, sei sono riusciti ad azionare la loro cintura esplosiva e a farsi saltare come sognano i "martiri" della jihad, gridando "Allah è grande", uno, all'interno del teatro della carneficina, il 'Bataclan',non ha fatto a tempo ed è stato eliminato dalle teste di cuoio. Il Bataclan, che appartiene a proprietari ebrei e ospita conferenze e manifestazioni di organizzazioni ebraiche, era da tempo nel mirino di terroristi. "Avevamo un progetto di attentato contro il Bataclan perché i proprietari sono ebrei" avevano spiegato alla polizia, nel febbraio 2011, alcuni membri di "Jaish al-Islam", l'Esercito dell'Islam, sospettati dell'attentato costato la vita a una studentessa francese al Cairo nel febbraio 2009. Secondo quanto ricordato dal settimanale Le Point sul suo sito, quei terroristi progettavano un attentato in Francia e avevano preso come obiettivo la celebre sala da concerti parigina. Nel 2007 e nel 2008, il Bataclan subì minacce di gruppi radicali islamici per aver ospitato conferenze e manifestazioni di organizzazioni ebraiche ed israeliane. Inoltre la stampa israeliana ha ricordato anche che il gruppo rock Eagles of Death, che si stava esibendo prima dell'attacco, aveva portato a termine l'anno prima una tournée in Israele nonostante diversi appelli che invocavano il boicottaggio nei loro confronti. In occasione di questi molteplici attentati rivendicati dall'ISIS, si è parlato di “11 settembre della Francia” e molti sui diversi social network hanno citato Oriana Fallici considerandola una sorta di profeta e affermando che le sue parole sembravano essere state scritte pochi minuti dopo gli episodi drammatici del 13 novembre 2015 e non nel 2001. Un passaggio in particolare è stato molto citato, ovvero quello che riguarda la stessa Parigi: «Parigi è persa, qui l’odio per gli infedeli è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia». Per la Fallaci si trattava di una vera “Guerra Santa” contro il mondo occidentale, che lei bacchettava per la troppa clemenza verso un islam, a suo parere intollerabile anche nella variante più moderata. Per la scrittrice non esisteva un Islam buono e un Islam cattivo. L'Islam per lei è solo “uno stagno in cui tutti finiremo per affogare”. © RIPRODUZIONE RISERVATA copyright www.ilgiornaledelricordo.it

Giulia Licata

Tesina di maturità di Giulia Licata Luglio 2016

Il Giornale del Ricordo

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