Paolo Villaggio addio. Fantozzi va in Paradiso1932-2017

Memoria per Paolo Villaggio addio. Fantozzi va in Paradiso

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Paolo Villaggio addio. Fantozzi va in Paradiso1932-2017

di Raffaella Bonora Iannece

<<Mi sembra di averlo ancora qui davanti agli occhi! Nel vigore degli anni! Ah, Che perdita!>> diceva la Signorina Silvani in "Fantozzi in Paradiso", uno dei tanti film che rimarrà per sempre impresso nei cuori, e nella cinematografia italiana. Il ragionier Fantozzi, pardon, Paolo Villaggio, si è spento lo scorso 3 Luglio a Roma, aveva 84 anni. Attore, comico, scrittore, sceneggiatore, doppiatore, autore e interprete di personaggi comici che sono entrati a far parte della cultura italiana, personaggi forgiati da una comicità inusuale, paradossale, come il Professor Kranz, il timido Giandomenico Fracchia e, soprattutto il ragionier Fantozzi, maschera di ampio respiro e duraturo successo. Ha recitato anche in parti drammatiche con registi di calibro quali Federico Fellini, Lina Wertmuller, Ermanno Olmi, Mario Monicelli. Nel 1992 ricevette il Leone d’oro alla carriera e nel 2000 il Pardo d’onore al festival del cinema di Locarno. Villaggio nasce nel 1932, a cavallo della seconda guerra mondiale e la sua infanzia genovese è raccontata dall’attore nella pièce teatrale “Delirio di un povero vecchio”. Di quegli anni, egli stesso disse «La guerra fu un incubo che si materializzò il 2 febbraio del 1941. A scuola, io e mio fratello gemello, sentivamo la lezione del maestro. A un certo punto avvertimmo sopra la testa come il rumore clamoroso di un treno. Era una salva da 381 mm che la marina britannica aveva sparato dal largo di Portofino. Solo che sbagliò bersaglio. La bomba centrò il quartiere dove eravamo tutti noi, devastando case e persone. Uscimmo, io e mio fratello, tenendoci per mano. Lo spettacolo era terribile. Vedemmo i cadaveri di due donne e un mulo morto. La notte non riuscimmo a prendere sonno. Fu la prima volta che sentimmo nostro padre imprecare contro la guerra». Negli anni del dopoguerra conosce Fabrizio De André, con il quale nasce un sodalizio artistico ma, soprattutto, una bellissima amicizia.

Lo stesso Villaggio ammetterà, in una trasmissione televisiva, che fra i vari amici persi negli anni, Fabrizio è quello del quale sente più la mancanza. La loro amicizia nasce per caso, come tutte le cose più importanti della vita, e il cantautore descriverà così il loro primo incontro a Cortina d’Ampezzo nel 1948: «L'ho incontrato per la prima volta a Pocol, sopra Cortina; io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco; gli piacevo perché ero tormentato, inquieto e lui lo era altrettanto, solo che era più controllato, forse perché era più grande di me e allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: <<Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell'attenzione, sei uno stronzo». Con lui produrrà, agli inizi degli anni ’60, testi di canzoni quali Il Fannullone e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Scopre il teatro agli inizi degli anni ’50 con la Compagnia Goliardica Mario Baistrocchi, ma a individuare la sua vena artistica fu Maurizio Costanzo, nel 1967, quando gli consigliò di esibirsi ad un noto locale di cabaret romano: il Sette per Otto. Ricorda così, quell’esperienza, Villaggio, in un’intervista, «Andai. La prima sera c'era ad assistere allo spettacolo una Roma incuriosita da questo strano comico arrivato da Genova. Ricordo Garinei e Giovannini, Ugo Tognazzi, Ennio Flaiano che alla fine a forza di ridere cadde dalla poltrona». Inizia così la sua scalata verso una luminosa carriera, cabaret, trasmissioni radiofoniche, tra le quali ricordiamo Il Sabato del Villaggio, i racconti delle strambe avventure di un povero impiegato, che faranno da tappeto alle vicende di quello che diventerà uno dei personaggi più celebri della comicità italiana, l’esordio sul piccolo schermo con il Professor Kranz e Giandomenico Fracchia, sue prime creature, la collaborazione con nuovi ed amati artisti, Canzonissima. Ma, a renderlo davvero celebre è il Ragionier Fantozzi che, come non tutti sanno, non nasce in pellicola, ma su carta, da una serie di racconti che confluirono poi nell’ Opera Prima Fantozzi, best sellers internazionale. Egli stesso, del suo figlio più amato, confesserà: <<Fantozzi è il prototipo del tapino, la quintessenza della nullità>>, e forse per questo è così amato, per la sua sfortuna, perché è debole, servile, rappresenta, calcando un po’ la mano, l’italiano medio, impacciato, terrorizzato dai propri superiori, vittima del mondo, incapace di adeguarsi a qualsiasi cosa, insomma perseguitato da quella famosa nuvoletta entrata nei nostri modi di dire. Da qui parte il grande successo, Fantozzi entra in tutte le case, non come eroe del passato, non come grande combattente, ma come eroe del presente, come guerriero di una vita che pone mille ostacoli, una vita che si impegna a far crollare il medio-borghese, l’operaio, il professore e il ragioniere. Il pubblico si immedesima, ride dei guai del povero protagonista e dimentica, per la durata del film, i propri. Ma ovviamente identificare Paolo Villaggio solo e soltanto con il ragionier Fantozzi è riduttivo. Tra i molti libri da lui scritti, ricordiamo “Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda”, un libro dove l’attore ripercorre i suoi successi, la sua vita dai tempi dell’animazione sulle navi da crociera con Berlusconi al piano bar e De André alla chitarra, alle collaborazioni con illustri registi della cinematografia. Nel 1992 girò “Io speriamo che me la cavo”, film di Lina Wertmuller tratto dall’omonimo romanzo di Marcello D’Orta. <<I buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po' ridono e un po' piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle e io, speriamo che me la cavo. Toccanti le parole della figlia Elisabetta <<Ciao papà ora sei di nuovo libero di volare>>, che insieme al fratello Pierfrancesco sono stati con lui, nella clinica Paideia fino alla fine. L'attore si è spento a causa di complicazioni causate dal diabete, curato poco e male. Per Villaggio un funerale religioso sarebbe stato possibile solo a San Pietro, come hanno ricordato con il sorriso sulle labbra i figli.  <<Come vorrebbe essere ricordato? Con un funerale a San Pietro. Diceva spesso scherzando - ha ricordato la figlia Elisabetta: se devo avere un funerale in chiesa, lo voglio a San Pietro>>.

Paolo Villaggio, Genova 30 Dicembre 1932 - Roma 3 Luglio 2017

 

 

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