DDR, quello Stato dimenticato nel cuore dell'Europa (2a parte)13/12/2018

Memoria per DDR, quello Stato dimenticato nel cuore dell'Europa (2a parte)

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DDR, quello Stato dimenticato nel cuore dell'Europa (2a parte)13/12/2018

di Giovanni Curatola

Trattato in sintesi, nella prima parte, del collasso della DDR, addentriamoci ora sulle modalità con cui questo fu volutamente accelerato. Ossia sull’aspetto prettamente economico. A parlare per la prima volta di Germania riunificata è, a metà dicembre 1989, un sondaggio del settimanale “Spiegel”, da cui emerge però che il 73% dei tedeschi orientali vuol mantenere in vita la DDR, continuando a preferire al libero mercato e ai rischi ad esso connessi la più rassicurante economia pianificata, che non permetterà di arricchirsi ma almeno una casa, un lavoro, sicurezza pubblica e servizi sanitari li assicura a costo zero. Il 30 gennaio 1990, il premier russo Gorbaciov studia un piano per la riunificazione in 3 anni, lento e graduale per non esporre le imprese dell’Est all’immediata concorrenza con quelle dell’Ovest. Il 7 febbraio 1990, col segretario USA Baker volato per l’occasione al Cremlino, si dà il via libera al più sensato programma di unificazione. A bruciare invece le tappe, imprimendo una tremenda accelerata al processo, è il cancelliere tedesco-occidentale Kohl, che col suo ministro delle Finanze propone trattative immediate per un’unione monetaria e l’introduzione istantanea del marco occidentale all’Est in cambio di riforme. Perché tanta fretta? Per generosità dell’Ovest verso i fratelli più sfortunati dell’Est? Per salvare costoro dalla bancarotta di uno Stato al collasso e con 49 miliardi di marchi-valuta di debito? Così viene fatto credere, ma la realtà è un’altra. Intanto, il debito effettivo della DDR risulta di 19,9 miliardi di marchi-valuta, perché l’Ovest nel far circolare questi dati falsi ed esagerati non tiene conto di quanto emerso dalle stesse fonti economiche occidentali ma volutamente occultato: parliamo delle riserve in valuta pregiata, del saldo commerciale attivo della DDR nei confronti di altri paesi socialisti, del patrimonio statale comunque maggiore del debito, delle esportazioni pari al 45% del proprio reddito nazionale e della capacità ancora discreta di ripagare i debiti in scadenza. Insomma, la DDR è sì in crisi e sta vivendo al di sopra delle sue possibilità, ma anche considerando questa crisi irreversibile, non si avrebbe una bancarotta prima di 5 anni ameno. C’è, insomma, tutto il tempo per un’unificazione con l’Ovest graduale, che non azzeri di colpo il patrimonio aziendale dell’Est per essere svenduto alle imprese occidentali, già in rapace attesa di acquisire quasi a costo zero le strutture e il personale qualificato e di ricerca dell’Est, nonché a vedersi spalancato un enorme e inaspettato mercato di 16 milioni di propri consumatori. Roba da leccarsi i baffi, e da premere sulle proprie istituzioni per accelerare la fine della DDR. Non ci vuole molto, anche perché il governo della Germania Ovest si trova in questi giorni sulla stessa lunghezza d’onda. Intanto perché a breve ci sono le elezioni e sull’ondata sentimentale della riunificazione la riconferma di Kohl a cancelliere è praticamente scontata. E poi perché occorre approfittare subito, a livello internazionale, della disponibilità e della linea morbida di Gorbaciov, prima che al Cremlino si insedi un altro premier meno disponibile al dialogo con l’Ovest e al cambiamento e che rialzi i toni della Guerra Fredda, come accaduto in passato. E in questo anche Washinghton è d’accordo. Così la proposta dell’Unione Monetaria, con l’adozione del marco occidentale all’Est, irrompe come un fulmine nel processo di unificazione, strappandone l’iniziativa a russi e americani e indirizzandolo violentemente e velocemente non già verso un’unificazione graduale e concordata da entrambe le parti, ma verso un’annessione in blocco della Germania Est. E il miraggio del marco occidentale, fatto astutamente brillare sotto gli occhi degli increduli tedeschi orientali, diventa così il grimaldello, la testa d’ariete attraverso cui l’Ovest penetra il 1° luglio 1990 ad Est annettendoselo politicamente 3 mesi dopo (3 ottobre). Caso unico nella storia in cui una moneta spiana la strada alla sovranità politica, e non viceversa. E’ l’Unione Monetaria a spezzare il collo alla DDR. Senza il tempo necessario di adattarsi al libero mercato, alla cui concorrenza sono ora esposte di colpo, le impreparate aziende dell’Est crollano di schianto. La domanda interna scende vertiginosamente, provocando un’impennata dei prezzi dei prodotti dell’Est (balzati quindi subito fuori mercato) e dei tassi di interesse delle banche. Gli stessi economisti dell’Ovest, subito dopo la notte di festa della riunificazione politica, prevedono a breve termine 4 milioni di disoccupati e il fallimento del 70% delle imprese dell’Est. Ciò nonostante, Kohl va avanti: per la maggioranza dei cittadini dell’ex DDR, il miraggio di una migliore condizione sociale svanirà presto, mentre quello della libertà resterà comunque un dono dell’Ovest. Che alcuni sapranno ben sfruttare e che altri porterà invece sbandamento e alienazione. Gli squilibri economico-sociali fra tedeschi dell’Est e dell’Ovest (un pò come in Italia fra meridionali e settentrionali) permangono ancor oggi, benché molto più attenuati rispetto all’inizio grazie ad oculate riforme nel primo decennio di questo secolo. A conclusione riteniamo possibile un parallelismo fra la riunificazione tedesca del 1990 e quella italiana del 1861. Entrambe andavano fatte perché la storia, la geografia e gli intenti di una fetta più o meno cospicua di popolo lo esigeva. Il fine era legittimo (anche se, sia qui che là, quello ufficiale ne nascondeva sempre uno economico). I mezzi utilizzati, però, assai meno. Potevano essere entrambe condotte e portate a conclusione con modalità (anche economiche) diverse, più umane e più eque? Certamente si. Sia il brigantaggio, nel caso del meridione “italianizzato” nell’800, che una certa recrudescenza estremista e filonazista registrata nei land dell’ex DDR annesso alla Germania Ovest a fine ‘900, sono state invece le risposte di quanti (e non sono stati pochi) queste annessioni le hanno vissute come rapine ai danni propri e della propria terra. Comunque sia, con le ragioni degli uni e i torti degli altri, la Storia va avanti. Con buona pace di Giulio Andreotti che, preoccupato come un po' tutti i governi europei da una nazione tedesca tornata nuovamente unita ed economicamente forte al centro dell’Europa, in quel lontano 1990 quando il mondo stava cambiando dichiarò ironico: “La Germania? L’amo così tanto da continuare a preferirne due…”   

 

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