49 anni fa la "Partita del secolo"16/6/2019

Memoria per 49 anni fa la "Partita del secolo"

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49 anni fa la "Partita del secolo"16/6/2019

di Giovanni Curatola

Quella di mercoledì 17 giugno 1970 (o meglio di giovedì 18 giugno, essendo da poco passata la mezzanotte) è una di quelle date fissate nella mente di chi ama il calcio o anche ne è contagiato di straforo. Gli over 60 la ricorderanno bene per esservi stati testimoni quella notte davanti la tv, ma anche per quelli al di sotto dei 60, quella data su cui si sono documentati anni dopo fa sempre effetto. Partiamo della “partita del secolo” (“Jahrhundertspiel” in tedesco), come riporta la lapide che i messicani murarono nello stadio della loro capitale pochi giorni dopo il match. Tanto si è scritto su Italia-Germania Ovest, semifinale di quel Mondiale giocato proprio in terra messicana, per poter aggiungere alcunché di nuovo. Tranne forse il fatto che quella notte gli italiani riscoprirono quell’euforia collettiva, quell’orgoglio e quella selva di bandiere tricolori che nel nostro paese mancava dai tempi dell’Impero (1936) e dell’entrata in guerra (1940). A quella semifinale, iniziata alle 16.00 locali (23.00 italiane) allo stadio “Atzeca” di Città del Messico davanti ad oltre 102.000 spettatori, vi arrivò un’Italia che aveva balbettato nel girone eliminatorio (un golletto alla Svezia, poi due 0-0 contro Uruguay e Israele) ma che poi con autorità aveva fatto fuori (4-1) i padroni di casa del Messico. Ben più roboante il cammino dei tedeschi, che dopo aver seppellito a suon di reti nel primo turno Marocco, Bulgaria, Perù, ai quarti di finale le avevano suonate pure all’Inghilterra campione in carica. Dunque, noi in ripresa ma pronostico per loro. Eppure, dopo 8 minuti di gioco un bolide di Boninsegna ci porta in vantaggio, poi come miglior tradizione nostrana è catenaccio e contropiede per 82 minuti. Fin quando, a 2 minuti oltre il novantesimo, Schnellinger beffa Albertosi in scivolata. “Il calcio giocato – scrisse Gianni Brera di quell’incontro - è stato quasi tutto confuso e scadente se dobbiamo giudicarlo sotto l'aspetto tecnico-tattico. Sotto invece l'aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza”. Si, perché furono i tempi supplementari, dopo 90 minuti poco più che mediocri, a trasformare quella partita nella “partita del secolo”. Supplementari che iniziarono quando in Italia era già l’una di notte, e che videro 5 gol e due squadre scornarsi senza più regole tecnico-tattiche ma sorrette solo dall’agonismo, ossia cuore e polmoni. Ancora frastornati per il pareggio subìto a tempo scaduto, gli Azzurri subirono quasi a inizio supplementari il 2-1 tedesco con un colpo di testa di Muller. Sembrò l’inizio della fine, ma l’Italia sorprendentemente trovava la forza di svegliarsi e col terzino Burgnich prima e con un’azione prepotente e individuale di Gigi Riva dopo ribaltò il punteggio chiudendo il primo tempo supplementare in vantaggio per 3-2. La battaglia era adesso dura, senza esclusione di colpi, i crampi iniziarono a farsi sentire, Beckenbauer restò in campo con un braccio fasciato. Insomma, la gara era già leggenda. Ma non era ancora finita. Al 5’ del secondo tempo supplementare ancora Muller beffò la nostra retroguardia infilando di testa il pallone tra palo e Rivera, che Albertosi sgridò strattonandolo per l’errore commesso. Non passarono neanche 60 secondi che il centrocampista del Milan, a termine di una veloce azione corale, siglò il definitivo e incredibile 4-3. In Italia era l’una e mezza di notte. Gli ultimi 8 minuti videro ancora ribattute colpo su colpo, me nessuno dei 20 giocatori esausti in campo trovò più la forza di segnare ancora. “In Italia – scrisse Ghirelli nel suo “Storia del calcio in Italia” - oltre 30 milioni di appassionati rimasero incollati davanti al video, sebbene fosse mezzanotte passata. Molti andarono a coricarsi, sconsolati quando Schnellinger aprì il fuoco dei tempi supplementari, ma alla rete di Burgnich un urlo lanciato in centinaia di case, e l'esito finale della pugna spinsero migliaia di appassionati nelle strade e nelle piazze...”. L’Italia perderà malamente, poi, la finale di quel Mondiale (a detta degli esperti il più bello di sempre) contro il Brasile di Pelé, Tostao, Rivellino, Gerson, Everaldo e Jairzinho. Ma nessuna gara di quel Brasile, il più forte di tutti i tempi, risulta aver mai meritato targhe come quella che allo stadio “Azteca” resiste ancora e che nessuno, 49 anni dopo, ha ritenuto di doverla sostituire con un'altra.  

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