Piacere! Facciamo un Figlio?7/9/2019
Piacere! Facciamo un Figlio?7/9/2019
di Avv. R. Patrizia Tripodi
In questa società in continua evoluzione, che troppo spesso, forse a causa dell’età che avanza, ci fa pensare che sia per certi versi l’esatto opposto, ovvero che sia in atto un alto grado di regressione, si è sviluppato un fenomeno molto particolare. Un nuovo concetto di genitorialità. In un passato non troppo remoto, l’idea di avere dei figli era strettamente e quasi esclusivamente connessa ad un’idea di coppia consolidata, di stabilità economica, di convivenza e coabitazione dei membri della famiglia. Negli anni ’90 il desiderio di “carriera” e di realizzazione lavorativa, la maggiore scolarizzazione e il ritardo nel rendersi autonomi per aver scelto di laurearsi, hanno spostato in avanti anche il cosiddetto “orologio biologico” per cui i figli si facevano sempre più tardi. Con l’arrivo di una nuova crisi economica, la difficoltà nel trovare un lavoro stabile e un reddito garantito, le giovani coppie hanno smesso di pensare di fare figli fino a che non fossero in grado di mantenerli dignitosamente. Le pesanti carenze del sistema politico ed economico di questo paese hanno fortemente influito sulla decisione di molti di non procreare. Posto che il diventare genitori è comunque una scelta personale; che molte sono le donne e gli uomini che per le più varie ragioni non desiderano un figlio, o non lo desiderano considerando le condizioni sociali, c’è chi invece a tutte queste problematiche non fa alcun caso.Se in passato la maggior parte dei bambini nasceva da genitori sposati, negli ultimi anni, ad un calo dei matrimoni si è accompagnato un notevole incremento di convivenze di fatto con un numero di bambini in aumento proprio da tali coppie. Superata anche questa fase però oggi assistiamo, più spesso che in passato, alla nascita di figli, non da coppie sposate, non da coppie conviventi, ma da non coppie. Potrebbe dirsi un fenomeno marginale, ma non per questo meno importante e a prescindere dai numeri, le conseguenze non sono meno serie. C’è un momento, nella vita delle persone in cui il desiderio di avere un figlio si presenta con più o meno forza. Alcune donne, vicine ai 40 anni, consapevoli delle difficoltà di procreare una volta superata una certa età, colte dal timore dell’approssimarsi della menopausa, cercano (a volte disperatamente) qualcuno con cui avere un figlio. E non è detto che quel qualcuno abbia lo stesso desiderio o che lo voglia realizzare proprio con quella donna. In altri casi il desiderio non appartiene solo alla donna ma anche all’occasionale compagno, che preso dalla passione e dall’atavico desiderio di spargere quanto più possibile il proprio seme, accetta più che volentieri il rischio della paternità anche se da condividere con una persona pressoché sconosciuta o forse spinti entrambi dall’intento di attivarsi per la soluzione dell’ormai annosa questione della bassa natalità…Così dopo alcuni incontri occasionali arriva la gravidanza. Capita che inizialmente colti dall’entusiasmo dell’evento e dalla voglia di sperimentare la nuova condizione di genitori, nessun pensiero circa la non trascurabile circostanza dell’assoluta non conoscenza dell’altro, si affacci alla mente dei due.
A questo punto, bastano pochi mesi, a volte non si arriva nemmeno al giorno del parto, che già ci si detesta e se va bene, ci si lascia con l’intenzione di costruire un rapporto civile al fine di gestire il bambino che arriverà. Negli altri casi la storia della coppia improvvisata, che in un primo tempo armata delle migliori intenzioni si organizza per convivere ed insieme occuparsi del nuovo arrivato, finisce tra liti furibonde, ricatti, effetti personali gettati sul pianerottolo e altre simili “amenità”. Da questo momento in poi i bambini, innocenti spettatori, se fortunati, continuano ad avere due genitori e questo sempre che uno dei due, generalmente ma non necessariamente il papà, essendosi pentito della scelta avventata, non decida di sparire ed eventualmente fare qualche altro tentativo di riproduzione con la nuova fidanzata di turno. Nel migliore dei casi invece, quando entrambi lo avevano voluto fortemente e vogliono, nonostante la rottura della improbabile coppia, continuare ad essere genitori, i bimbi subiscono la condanna a vivere per anni, gran parte del loro tempo in macchina del padre o della madre, imbottigliati nel traffico della città, facendo avanti e indietro tra le case dei due. Proprio quando hanno più bisogno di tranquillità, di un ambiente sereno e stabile, di punti di riferimento certi si ritrovano a dover cambiare continuamente casa, stanza, giochi e naturalmente genitore di turno. E come se questo non fosse abbastanza, si ritrovano fin dai primi mesi di vita, ad assistere a discussioni di ogni genere e con genitori stanchi, stressati, nervosi, arrabbiati. Sul piano giuridico è ovvio che il Giudice non possa e non debba indagare sulla profondità o meno dei rapporti di coppia, sui presupposti dell’unione o sulla durata delle relazioni. A lui compete però la valutazione della idoneità genitoriale, concetto che richiama la cosiddetta responsabilità genitoriale dell’art. 337ter del codice civile che ad essa si riferisce e non più alla potestà. Nel diritto romano la potestà genitoriale era qualcosa di simile al potere esercitabile sugli schiavi. Già in epoca imperiale si assistette all’attenuazione della rigidità di tale concetto. La riforma del 2014, in ossequio al dovere di protezione della vita privata e familiare e divieto di ogni discriminazione imposti dalle Convenzioni Internazionali ha comportato la sostituzione della potestà con la responsabilità genitoriale. Recita l’art. 337 ter: “il figlio ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale…. il Giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Questo è quanto il Tribunale può trovarsi a dover valutare. I comportamenti e la personalità dei genitori non vengono esaminate se non in determinati e specifici casi in cui ciò si rende necessario. Sul piano fattuale è facile che a distanza di poco tempo uno o entrambi i genitori si fidanzino nuovamente. In questo caso se la nuova relazione è duratura e importante essa può rappresentare un fattore positivo e di supporto in caso di difficoltà e nel tempo diviene un nuovo punto di riferimento anche per il minore coinvolto. Altre volte il nuovo fidanzato è motivo di allontanamento dai figli per il preminente egoismo di certi adulti. Viene in mente la storia raccontata da De Sica in “I bambini ci guardano”, tratto dal Romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola, in cui il piccolo protagonista assiste al disfacimento della sua famiglia, causato dalla relazione della madre con un altro uomo per seguire il quale, la stessa abbandona il figlio che rimane così in balia di un padre incapace di occuparsene e che cerca diverse soluzioni tra cui mandarlo a vivere prima da una zia e poi dalla nonna, nessuna delle quali lo accoglie senza ostilità e lui finisce per ammalarsi gravemente per poi ritrovarsi a vivere in Collegio.
È già abbastanza difficile quando ad occuparsi dei bambini sono persone adulte responsabili e membri di una coppia consolidata; per non parlare di come sia per i figli, crescere durante infinite guerre che alcuni genitori intraprendono dopo la separazione, seppur dopo lunghe convivenze o matrimoni. Possiamo immaginare quanto più difficile ancora possa essere allevare un bambino in situazioni di assoluta precarietà sentimentale tra due persone che si sono frequentate giusto il tempo per diventare genitori. La questione però è legata all’esito di scelte e comportamenti poco responsabili o casuali. Ci si chiede quindi che genere di adulto sarà il bambino nato o allevato da una non coppia; quali ulteriori problematiche dovrà affrontare nella sua crescita; quali ostacoli incontrerà oltre quelli che in qualche modo possono considerarsi “naturali”; cosa comporterà il non aver vissuto in un nucleo composto dai figli e da entrambi i genitori. Soprattutto che genitore sarà a sua volta. E nel caso tendesse a costruire esattamente il modello di non famiglia in cui è cresciuto, quali saranno le conseguenze sociali. C’è da sperare che, come a volte accade. chi proviene da coppie non strutturate e stabili cerchi da adulto di creare il modello opposto rispetto a quello in cui ha vissuto oppure credere che questa attuale forma di solitudine dei fanciulli possa produrre degli adulti migliori ed una società meno individualista?
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