Tramonto politico e calcistico dell'Unione Sovietica15/9/2019

Memoria per Tramonto politico e calcistico dell'Unione Sovietica

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Tramonto politico e calcistico dell'Unione Sovietica15/9/2019

di Giovanni Curatola

In quanto espressione del paese che rappresenta, una nazionale di calcio riflette più di qualunque specifica squadra di club le sorti politiche, sociali e militari del suo paese stesso. E quando guerre, trattati o rivoluzioni più o meno pacifiche hanno rimodellato la carta geografica del continente, il mondo del pallone non ha potuto che adeguarsi. Così le nazionali di Cecoslovacchia e Jugoslavia nacquero all’indomani della fine del I° conflitto mondiale, quando a Versailles sorsero appunto queste due nuove nazioni. Così la nazionale austriaca scomparve dalla geografia del pallone quando, a seguito dell’Anschluss del 1938, l’Austria fu inglobata nella Germania nazista. Così ancora dopo la II° guerra mondiale, con la rinascita della Polonia e la nascita della Germania Est e delle loro nazionali di calcio. Così ancora negli anni della Guerra Fredda, dove ogni partita tra squadre dell’Europa dell’Est ricadenti nel blocco sovietico e squadre dell’Europa “libera” dell’Ovest erano motivi d’affermazione della sua supremazia di uno dei due blocchi sull’altro (chi non ricorda “Rocky IV”, anche se lì si trattava di pugilato?). Così infine con la nascita degli stati (e delle relative nazionali di calcio) a seguito del terremoto politico 1989-91 e della dissoluzione di URSS, Jugoslavia e Cecoslovacchia.

La nazionale sui cui ci soffermiamo qui è quella sovietica, e la partita in questione è URSS-Italia del 12 ottobre 1991. A quella data, l’URSS di fatto non c’era già più. Alle riforme di Gorbacev e alla fine del Patto di Varsavia (che teneva uniti i paesi del blocco comunista) aveva già fatto seguito un fallito colpo di stato a Mosca, quindi il distacco dall’Unione di quasi tutte le repubbliche che per 70 anni avevano costituito appunto l’URSS, che restava formalmente ancora in piedi e ridotta a Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. La sfida di quel pomeriggio del 12 ottobre, allo stadio Lenin di Mosca, avrebbe decretato di fatto il primo posto nel girone di qualificazione per l’Europeo del 1992 e la conseguente qualificazione ad esso. Rispetto ai nostri azzurri, l’URSS era in vantaggio di 4 punti e lo 0-0 finale decretò in anticipo la sua qualificazione all’Europeo. L’Italia (vi giocavano Zenga, Vialli, De Napoli, Giannini e Mancini, per fare qualche nome) esaurì lì, nel freddo di Mosca, il ciclo di Azeglio Vicini, quasi lo stesso di Italia ’90, e cui da lì in poi subentreranno Arrigo Sacchi e altri giocatori. Per la nazionale sovietica, e già c’erano tutti i presagi politico-sociali per capirlo, si trattò dell’ultima gara casalinga della sua storia. L’ultima in assoluto, le maglie rosse con la scritta CCCP al centro e lo stemma con falce e martello a sinistra, la disputeranno a Cipro un mese dopo, 13 novembre, vincendo 3-0 l’ormai ininfluente ultima gara del girone. Fu il canto del cigno di una nazionale che in 70 anni aveva vinto un Europeo e 2 Olimpiadi, ottenendo un 4° posto ai Mondiali (1966 in Inghilterra) e 3 secondi posti ad altri Europei.  Una nazionale dal blasone medio-alto, temibile soprattutto in casa, che aveva esordito nel lontano settembre del 1922 a S.Pietroburgo (allora Leningrado) in un’amichevole contro la Finlandia (finì 4-1).

La fine della storia della nazionale sovietica precedette di una quarantina di giorni quella del proprio paese. L’8 dicembre infatti i capi di Russia, Bielorussia e Ucraina convennero che l’era dell’URSS era definitivamente tramontata e si accordarono in sua sostituzione per una Comunità di Stati Indipendenti (la C.S.I. che c’è tuttora), ciascuno autonomo, senza più partito unico e regolato da libere elezioni. Quattro giorni dopo (12 dicembre) fu la stessa Russia a staccarsi ufficialmente dall’URSS, che priva pure del suo membro più importante restò come una scatola vuota, un pallone ormai totalmente sgonfio fino al giorno di Natale. Quel 25 dicembre, alle ore 18.00, Gorbacëv si dimise dalla presidenza dell'URSS, dichiarandone aboliti organi e uffici e trasferendo ogni potere legislativo, esecutivo e giudiziario al presidente della Russia Boris Elstin. Erano le 18.35 quando la bandiera rossa sovietica sopra il Cremlino fu definitivamente ammainata, sostituita il giorno dopo dal tricolore russo a bande orizzontali. Ad assistere alla scomparsa di quella bandiera e di un regime che per oltre 70 anni aveva come mai nessun altro nella storia condizionato (e insanguinato) il pianeta, quel pomeriggio di Natale sull’innevata Piazza Rossa del Cremlino erano - a quanto pare - solo in 6: un cameraman, un fotografo, un ubriaco, due passanti occasionali e un cane. Non c'era neanche l'inno, quel meraviglioso inno sovietico che, con parole modificate, traghetterà nella Russia attuale. A differenza di com'era nata, l'URSS adesso scompariva nel buio e nel silenzio.

Quanto alla nazionale sovietica, la sua qualificazione non andò perduta. A raccoglierne l’eredità per l’Europeo del 1992 fu un’astratta selezione della C.S.I. (da non confondersi con la nazionale russa) che tuttavia non fece molta strada, arenandosi al primo turno. Dopo quell’Europeo, ognuno dei 15 stati ex componenti dell’URSS, in quanto politicamente autonomo, avrà anche la propria nazionale di calcio, Russia in primis. E anche l’effimera nazionale della CSI, durata l’interregno di pochi mesi, cesserà di esistere.

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