Val d'Aosta difesa da fascisti e partigiani. Insieme...24/10/2019

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Val d'Aosta difesa da fascisti e partigiani. Insieme...24/10/2019

di Giovanni Curatola

Quando, nel 481 a.C., la Grecia fu minacciata dal re persiano Serse, che con un esercito e una flotta mai viste si apprestava ad invaderla e sottometterla, Sparta e Atene misero per l’occasione da parte la loro atavica rivalità e decisero di far fronte comune contro l’invasore. Fu quella passata alla  storia come l’alleanza di Corinto. Stessa dinamica, con le dovute proporzioni, si ebbe in Val d’Aosta nell’aprile del 1945, quando fascisti e partigiani unirono gli sforzi per contrastare l’avanzata dei francesi di De Gaulle. Questi ultimi, approfittando del comprensibile sbando sociale e di un’autorità (fascista della RSI) sempre più latitante con l’approssimarsi della sconfitta finale, si spinsero oltreconfine per occupare quanta più valle possibile e farsi trovare possibilmente a Cuneo e Ivrea al momento del cessate il fuoco, per legittimare l’ennessione alla Francia della Val d’Aosta da essi appena occupata. Fu così che già dalla fine del 1944 De Gaulle ammassò al confine italiano un numero altissimo, dunque altamente sospetto, di propri soldati, che lo stesso De Gaulle giustificò di fronte ai suoi alleati anglo-americani col pretesto di tener pronte truppe francesi a collaborare da Ovest, se richiesto, alla spallata finale alleata in Nord Italia. Fu così che, il 7 aprile 1945, i francesi furono autorizzati a sconfinare e penetrare in territorio valdostano per 20 chilometri. Il loro generale Paul-André Doyen, tuttavia, nonostante l’insolito prolungarsi dell’inverno che rendeva ancora poco transitabili i passi alpini, spinse ben oltre le proprie avanguardie, che col pretesto di un pacifico pattugliamento giunsero fin quasi a Ivrea e Cuneo. Il 26 aprile iniziò l'invasione militare vera e propria: le truppe francesi di Doyen oltrepassarono il Colle del Piccolo San Bernardo, conquistando l’indomani la Val di Rhêmes, agevolati dalla contemporanea ritirata delle truppe tedesche. I francesi furono però fermati tra Courmayeur e La Thuile (allora si chiamava Porta Littoria) dai partigiani cattolici alpini della Fiamme Verdi e dal fuoco del Gruppo "Mantova" del 1º Reggimento artiglieria della Divisione "Monterosa" (anch’essa composta da alpini ma della… Repubblica Sociale).

Si trattò di un'insolita alleanza tra partigiani italiani e soldati della RSI, che in nome del maggior pericolo nazionale accantonarono ogni rivalità interna. Tale alleanza sarebbe potuta benissimo crearsi pure in Istria e nel Friuli, in quei mesi minacciati (e occupati) dagli slavi di Tito, se non fosse che lì la componente comunista del movimento partigiano era non solo maggioritaria e contraria a ogni fronte comune col nemico fascista, ma soprattutto complice in primo piano dei massacri e degli infoibamenti che i partigiani slavi di Tito stavano compiendo a danno di migliaia di italiani. Ulteriore dimostrazione, questa, che a differenza non solo dei militi della RSI ma anche delle “Fiamma Verdi” e di diverse altre componenti moderate della Resistenza, i partigiani comunisti subordinavano il bene la nazione alle proprie mire politiche, che erano quelle di contribuire non certo per amore della libertà e della democrazia alla fine di una dittatura (quella fascista) ma unicamente per sostituirla con un’altra ben più dura e sanguinaria (quella sovietica). Per un quadro politico-militare di quei giorni più veritiero di quello fuorviante e superficiale che ancora si impara a scuola, e che in Italia vede ridursi sia la guerra mondiale che quella civile a due sole opposte fazioni coese al loro interno (partigiani e alleati da un lato, fascisti e tedeschi dall’altro), vanno considerati sia le varie correnti e i contrasti interni a ciascuno di questi due blocchi (se abbastanza noti sono gli attriti tra tedeschi e autorità della RSI in tutti i 20 mesi di Salò, un po' meno lo sono le rese dei conti tra partigiani e l’elevatissimo numero di vittime che la Resistenza non comunista lamenterà proprio ad opera dei suoi “alleati” rossi), sia le tante proposte venute sul finire della guerra in varie località e da entrambe le parti (fasciste e partigiane non comuniste) per un alleanza momentanea. Questa avrebbe dovuto mantenere l’ordine pubblico evitando saccheggi, fughe dalle carceri e barbarie indiscriminate nei giorni del trapasso di potere dalla RSI all’amministrazione anglo-americana: tutti tentativi naufragati per l’opposizione comunista che impose ovunque e a ogni costo i propri bagni di sangue.

Tornando alla Val d’Aosta, quella singolare coalizione tra fascisti e partigiani bloccò per ben 13 giorni i soldati francesi: dal 26 aprile all'8 maggio, quando finalmente arrivarono gli americani. Questi ripristinarono i vecchi confini, minacciando addirittura presso Pré-Saint-Didier di far fuoco con le autoblindo sui francesi se questi anziché voltare i tacchi e riguadagnare il confine avessero perseguito l’intenzione di aprirsi il passaggio verso Aosta, dove il nuovo prefetto partigiano Alessandro Passerin d'Entrèves aveva preparato la difesa della città ricorrendo anch’esso sia a partigiani che a 700 soldati della Repubblica Sociale.

Si può dunque affermare che la Val d’Aosta restò Italiana grazie all’intervento e al sacrificio dei partigiani delle “Fiamme Verdi” unite alle ben più consistenti unità fasciste (battaglioni alpini "Varese" e "Bergamo" del 1° Reggimento Divisione "Littorio")? Probabilmente si, perché se gli americani al loro arrivo si fossero trovati tutta la Valle già occupata e presidiata dai francesi, sarebbe stato ben più difficile (anche se comunque non impossibile) imporre loro il ritiro entro i vecchi confini. Trattandosi poi pur sempre di loro alleati, ed essendo la Val d’Aosta pur sempre territorio italiano, dunque nemico e sconfitto, la faccenda sarebbe stata alquanto imbarazzante a livello politico e diplomatico, E’ probabile, anche se non certo, che si sarebbe a quel punto accettato la situazione di fatto, e magari oggi l’Italia anziché sul Monte Bianco finirebbe a Bard. Ad ogni modo, senza perderci tra gli infiniti “se” e “ma” con cui si pretende a volte di fare storia senza mai riuscirci seriamente, resta l’esempio di due forze opposte che, avvertito un pericolo comune (e straniero) ancor più grande, uniscono le proprie forze per combatterlo. Al Piccolo S.Bernardo come alle Termopoli, sulle Alpi valdostane come nella Magna Grecia.

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