Il lato oscuro della maternità 7/11/2019

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Il lato oscuro della maternità 7/11/2019

di Avv. R. Patrizia Tripodi

Se c’è un luogo eletto, in senso lato, per parlare del senso maternoquesto sembra essere proprio l’Italia. Senz’altro il luogo in cui esso è più sbandierato e dove più che in altri luoghi si esercita il “Mammismo”.

Ma davvero vogliamo credere che la sensibilità femminile, il senso di maternità, abbiano radice in un unico e specifico luogo? Siamo disposti a credere che nel resto del mondo, nelle culture diverse dalla nostra la maternità abbia un significato diverso che sia da considerare di serie “B”? Il rapporto problematico madre/figlio è stato più volte considerato e narrato nella cinematografia. Se ne ha uno splendido quanto inquietante esempio in “Il Cigno Nero”, film del 2010 diretto da Darren Aronofsky, sull’ossessionante rapporto morboso con una madre onnipresente. Protagonista è una donna fragile che vive a 30 anni ancora con la madre e dorme in una camera da adolescente, che non ha risolto il suo rapporto con una madre apprensiva e ingombrante. Siamo costantemente circondati da un esercito di Cigni Neri di cui abbiamo imparato a sorridere ma che rappresentano, con il loro essere mammoni, un malessere più profondo di quanto non si creda. 

Non di rado si sentono discorsi dispregiativi sulle modalità in cui si manifestano le relazioni familiari fuori da questo Paese o semplicemente nelle altre famiglie. Quasi impossibile che il Tribunale indaghi sui rapporti familiari e sulle capacità genitoriali se non nel momento critico in cui si giunge davanti ad esso per regolarne il funzionamento. Tante sono però le problematiche che coinvolgono genitori e figli nelle famiglie apparentemente serene e considerate sane ove sono comprese quelle nelle quali non si arriva alla rottura ufficiale ma ove sono presenti tutti i presupposti per essa, eppure sono situazioni famigliari e condizioni di minori su cui mai nessuno andrà ad indagare. Non di rado una madre ritiene di essere più madre delle altre in generale. La parola madre è sui vocabolari definita come la donna che concepisce e partorisce un figlio; simbolo di dedizione e affetto incondizionato. Ma forse anche questa definizione andrebbe rivista. Troppo spesso le madri cosiddette biologiche sono quelle capaci di abbandonare il proprio bambino, di gettarlo in un cassonetto, di affidarlo a qualcun altro che se ne occupi perché per loro è impossibile farlo. Anche questo, un po’ come tutti i fenomeni sociali vede le sue radici in tempi atavici. Nel medioevo molti pargoli venivano lasciati dinanzi alle chiese. Perfino la Bibbia contempla la possibilità che un genitore abbandoni i propri figli, anche se viene vista come una cosa assurda e se ne parla come qualcosa di impossibile.  Isaia 49-15° recita: “Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta, smettere di avere pietà per il frutto delle sue viscere”? E ancora: Isaia 49-15b: “Anche se le madri dimenticassero, non io dimenticherò te”.  La questione però si poneva in passato come si pone oggi e d’altronde in natura,  accade che in molte razze animali, le madri uccidano i propri piccoli perché troppo deboli per sopravvivere. Gli umani sono sicuramente più crudeli degli altri esseri che popolano il pianeta. La differenza rispetto agli animali è che tale debolezza si riscontra nella madre che abbandona e indipendentemente dalle caratteristiche del bambino abbandonato.

A testimonianza dell’antica pratica dell’abbandono dei bambini esiste ancora a Roma, in Via delle Zoccolette, al civico 22 , inserito nel muro rossastro, un rilievo ovale raffigurante due bambini in fasce addormentati. Nel 1576 questo indirizzo ospitava una residenza per i francescani. Nel 1751 parte dell’edificio venne adibita a ricovero per l’infanzia dove potevano essere lasciati gli orfani trovati in città o i bambini di cui i parenti volevano disfarsi e che venivano qui accuditi fin tanto che qualcuno in cerca di forza lavoro a buon mercato non arrivasse a prelevarne uno a propria scelta.

E veniamo così alla distinzione che si tende a fare tra madre biologica e madre adottiva. Si è spesso propensi a considerare il concetto di adozione dal punto di vista degli adottati e innumerevoli sono i trattati sulle difficoltà dei figli adottivi, sui loro problemirelazionali, sui loro disturbi di personalità, sul loro senso dell’abbandono, sulle adozioni internazionali, con tutte le relative conseguenze. Tutto giusto, ma forse in qualche modo ci si dimentica che nelle adozioni le parti sono due: i figli e i genitori. Per quanto su questi ultimi sia necessario fare un gran lavoro di preparazione, ilsistema non sempre consente il rispetto dei giusti tempi e modalità. Le madri adottive, spinte da una forte sensibilità e da un grande desiderio di maternità si immergono in una esperienza di cui però molte volte ignorano le mille sfumature e le problematiche connesse. La spinta all’adozione può provenire da un grande “egoismo” così come da un grande “altruismo”. Ma né l’uno né l’altro garantiscono una vera consapevolezza su ciò che si dovrà affrontare. Il percorso, giustamente lungo, previsto dalla legge al fine di arrivare all’adozione è espressione di una più che giustificata cautela. Le persone sono molto critiche circa l’iter da seguire quando si attua una scelta così importante e delicata. Le difficoltà sono numerose così come numerosi sono i motivi per cui un bambino viene dichiarato adottabile.  L’adozione è regolata dalla Legge n. 184/’83; essa stabilisce che affinché vi si possa dare luogo è necessaria la dichiarazione dello stato di abbandono del minore e l’idoneità dei coniugi ad adottare. L’adozione vera e propria è preceduta dall’affidamento preadottivo. Una volta intervenuta l’adozione, si spezza ogni vincolo di parentela tra il minore e i suoi familiari naturali ed egli acquisisce lo status di figlio legittimo degli adottanti. Il Tribunale per i Minorenni dispone l’esecuzione di indagini volte ad accertare la capacità di educare il minore; la situazione personale ed economica; la salute; l’ambiente familiare dei richiedenti e i motivi della domanda. Tali indagini vengono effettuate ricorrendo ai Servizi socio assistenziali degli enti locali e alle competenti professionalità delle aziende sanitarie locali e ospedaliere. I Tribunali hanno ampia libertà organizzativa e potranno quindi essere svolti colloqui con il Giudice e con equipe di specialisti. Durante il periodo di affidamento il Tribunale ha non solo funzioni di controllo ma anche di sostegno e l’affidamento in caso di gravi difficoltà può essere revocato. 

Le madri adottive sono considerate da molti, come un surrogato e non madri nel vero senso del termine. Come se solo il parto desse diritto a questa definizione. Non si pensa che chi adotta fa una scelta più potente e impegnativa di una qualunque madre naturale. Il desiderio di maternità è così forte da portare ad occuparsi di un bambino concepito da altri e questo proprio per il grande amore che per i bambini si prova e per la forza di accettare di affrontare un percorso non facile e pieno di incognite pur di salvare un bimbo da una situazione di solitudine e abbandono accettando l’arrivo di un figlio che porta già in sé un ingombrante bagaglio di sofferenze; pur di donare una famiglia a chi non ha alcuna responsabilità per il fatto di essere al mondo. Una scelta ricca di implicazioni emotive, psicologiche e sociali che quando viene fatta in piena consapevolezza può essere espressione massima di puro amore, solidarietà, sensibilità, senso dell’accoglienza e impegno sociale. Ma così come le madri naturali molte volte si ritrovano ad essere tali pur non possedendo alcun senso materno, accade anche che chi adotta lo faccia per ragioni del tutto egoistiche. Accade che si pensi di adottare un bambino con lo stesso criterio con cui si decide di fare un acquisto e perfino che dopo un breve periodo di convivenza si riporti indietro il figlio come fosse un reso merci avariate. Poi c’è la pretesa di prendere in adozione esclusivamente un neonato, possibilmente somigliante nei caratteri estetici ai nuovi genitori. Come sempre in ogni situazione le variabili possono essere molteplici. Una cosa però è certa: essere madre vuol dire essere disposte al sacrificio più grande per il proprio figlio; vuol dire amare incondizionatamente; saper rinunciare ad una parte di sé nell’interesse e per il bene del bambino e accettarlo in tutte le sue particolarità, con tutti i suoi eventuali problemi a prescindere da quanti ne possa creare ai genitori. Poco, anzi nulla conta che il figlio sia stato concepito da altri o meno. In natura anche l’adozione non è nulla di strano. Sono molti i casi di animali che accudiscono, allattano e trattano come propri figli, con le medesime attenzioni, i cuccioli addirittura di altre specie rimasti senza le loro madri naturali. In natura non esistono madri di serie A e di serie B, chissà se anche gli umani un giorno lo capiranno.

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