di Giovanni Curatola
Senza alcuna pretesa di riflessioni artistiche (di cui chi scrive confessa candidamente di non avere adeguata competenza per aver sempre mirato a scuola - in tale materia - alla sola risicata sufficienza e nulla più), l’immagine apparentemente fissa proposta da questa celebre tela del 1940 dal pittore americano Edward Hopper racchiude in sé movimenti naturali messi paradossalmente in risalto proprio dalle sfumature cromatiche del quadro stesso: il buio della sera che scende sulla scena, la filiera di alberi che pare mossa dal vento, le luci dell’edificio sulla destra del distributore di benzina che si riflettono sull’asfalto grigio, l’erba ai bordi della strada anch’essa movimentata da vento. Il tutto nello scenario malinconico di una strada deserta e di un benzinaio che a fine giornata armeggia tra le sue bellissime pompe prima di chiudere baracca e ritirarsi a casa (magari la stessa casupola del quadro, chissà…). L’aria di inquietudine dell’immagine potrebbe essere benissimo renderla una fotografia del quotidiano o - come ho letto qua e là - la scena d’apertura di un thriller. Per me, profano d’arte come detto, è una meraviglia. Una meraviglia i forti colori, una meraviglia la scena con annessa la solitudine che si porta dietro, una meraviglia la commistione tra l’elemento naturale sullo sfondo e quello umano (impiegato-pompe-lampione-casupola) in primo piano. Una meraviglia, infine, per un messaggio che magari il pittore non pensava neanche di dare, ma che, ricevendolo, aggiungo lo stesso: che, con adeguate doti di immaginazione, inventiva e curiosità, si può trarre poesia anche da cose e da oggetti apparentemente più freddi e anonimi, come le pompe di benzina per l’appunto. Poesia e senso di serenità, perché un simile scorcio restituisce quel senso di relax che lo stesso scorcio con le auto (qui fortunatamente assenti) o certi skyline anche di grattacieli ultra-maestosi - almeno personalmente - tolgono.
Hopper non dipinse questa tela perché ispirato dalla realtà. Il suo distributore di benzina non esisteva così come lo dipinse, se non nella sua mente. Non ce n’era uno simile fra Truro e Cape Cod, dove viveva. Fu dopo averlo dipinto che, al contrario, girò in lungo e in largo tutto il Massachusetts per trovarne uno con caratteristiche simili. Perdono così valore le testimonianze raccolte qua e là in internet di gente che, in buona fede per carità, riteneva di aver trovato il punto esatto, oggi modificato, ove sorgeva il famoso distributore che aveva ispirato l’artista. E’ invece tutto il contrario.
Il quadro, che l’artista chiamò “Gas”, è oggi esposto al 5° piano del MoMA di New York, il museo d’arte moderna più caro ma anche più vasto degli Stati Uniti (150.000 opere esposte, 300.000 libri e 22.000 film a disposizione). Di riproduzioni ne circolano in quantità, e farmene arrivare una da “Amazon” può essere l’idea per un auto-regalo da concedermi a Natale. Da mettere magari accanto al quadro di Brunate e riassaporare dal salone la stessa pace assaporata in tante passeggiate notturne all’estero, con al massimo la compagnia di una sola persona, alla luce di lampioni simili a quello della tela di Hopper e impregnata di quello stesso silenzio, quella stessa semi-oscurità e quella stessa solitudine trasmesse dalle sue sapienti pennellate.
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