Una città-fantasma per beffare Mussolini17/12/2019

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Una città-fantasma per beffare Mussolini17/12/2019

di Giovanni Curatola

C’è una città fantasma nella Sicilia sud-orientale, grossomodo fra Caltagirone e Gela, nel bel mezzo bosco di sugheri più grande d’Europa. Si trova a una ventina di km dalla costa, e ricade nell’estremo lembo meridionale della provincia di Catania. Ne hanno parlato pure Sciascia e Camilleri. Città fantasma non come le tante disseminate nel vecchio West americano, accompagnate da leggende sinistre e oggi abbandonate. Parliamo qui di una città fantasma in quanto mai nata, eccezion fatta per una manciata di edifici oggi ricadenti nella località Santo Pietro, frazioncina di nemmeno 100 abitanti del comune di Caltagirone. Il resto è rimasto per sempre nei progetti di ingegneri e architetti e in qualche falso fotomontaggio inviato a Mussolini, che pure era venuto a posarne la prima pietra.

L’idea fu partorita, sul finire del 1923, all’architetto di Caltagirone Saverio Fragapane, allievo di Ernesto Basile. Interpretando le istanze rurali del fascismo, propose una città-giardino da chiamarsi Mussolinia, con al centro una grande piazza circolare (piazza XXX ottobre) interamente sormontata da un porticato e da 16 torri a cupole, da cui si sarebbero dipartite a raggiera 7 strade. Se fosse riuscito, sarebbe stato questo il primo esperimento di quella politica fascista (rurale, sociale ed economica insieme) che animerà successivamente la bonifica integrale dell’Agro Pontino e di altre aree della penisola e delle colonie, dove sorgeranno città nuove, villaggi e borghi rurali (Pennacchi ne ha recentemente contate 140): ancorare i contadini e le proprie famiglie alla terra e a un podere con animali, stalla e attrezzi che dopo qualche anno avrebbero potuto riscattare passando dalla condizione di braccianti a quella di piccoli proprietari terrieri. In altre parole, attuare quella riforma agraria da sempre auspicata e fin li sempre rimasta lettera morta. Ma mentre altrove, fra espropri e indennizzi, il risultato del regime di vincere la resistenza dei grandi latifondisti e frazionare i loro fondi fu costellato da difficoltà ma comunque alla fine raggiunto, a vincere in Sicilia (almeno in questo primo momento) fu il parassitismo conservatore dei feudatari, con la connivenza di buona parte del Fascio locale.

Mussolini arrivò a Caltagirone in treno il tardo pomeriggio dell’11 maggio 1924. Una città in suo onore lo lusingava, tanto più se proprio in casa del suo acerrimo nemico Luigi Sturzo. Dopo i brevi saluti delle autorità cittadine alla Casa del Fascio, la sua nomina in Municipio a cittadino onorario di Caltagirone, un breve discorso alla popolazione e altre manifestazioni di rito, visitò una mostra di ceramica. Poi fui la volta della cena, con tanto di torta tricolore e assaggio di cassata siciliana, durante cui però si perse (o gli fu rubata) la bombetta. L’indomani alle 09.30, con una coppola in testa al posto della bombetta, giunse nel luogo dell’erigenda città-giardino a lui intitolata per la posa della prima pietra: contrada Piano Chiesa, nel Bosco di Santo Pietro. Lì esisteva già qualche struttura, fra cui la Stazione Sperimentale di Granicoltura. Degli 8 edifici porticati che avrebbero cinto la piazza, ce n’era in piedi solo uno (con 2 torri). Con grande sorpresa e imbarazzo, quando al Duce fu porto il tubo metallico contenente la pergamena che doveva prima firmare e poi murare dentro la prima pietra, appunto, si scoprì che era vuoto. Niente pergamena all’interno. Seguirono istanti di frenetica quanto inutile ricerca. Quindi Mussolini, visibilmente innervosito, strappò un foglio dal primo registro che gli capitò sottomano e gli scrisse sopra due righe: “Qui a Mussolinia sorge la Casa del Fascio, solida e quadrata come la fede e la tenacia degli Italiani. Nell’anno II (1924) dell’Era Fascista. Mussolini”. Infilò poi velocemente il foglio nella pietra, e alle 10.00 ripartì per Ragusa. Amen. La città era fondata. Ma non vedrà mai la luce.

Agli incidenti della bombetta e della pergamena seguirono poi truffe su più vasta scala, degne di un film comico di Totò. Un po’ per le forti resistenze latifondiste sopra accennate, un po’ per contrasti interni al Fascio locale, un altro po’ per l’effettiva esosità delle mole di opere mastodontiche previste rispetto alla modestia del luogo, e un altro abbondante po’ per dissidi tra chi aveva interesse a lucrare con spirito furbesco sull’affare e chi no, fatto sta che l’opera non decollò mai. Trascorso qualche mese, Mussolini iniziò a chiedere notizie sull’avanzamento dei lavori. Gli venne detto che procedevano a rilento, in realtà era tutto fermo. Irritato comunque da tale lentezza ebbe così a lamentarsi: “Quando partecipo alla posa di una prima pietra, constato che talvolta l’erba cresce su essa ancor prima che sia messa la seconda”. Sarà per fortuna smentito sia in Agro Pontino che altrove qualche anno più tardi, ma intanto la verità su Mussolinia gli continuò ad essere occultata tramite fotomontaggi di edifici e schiere di villette edificati altrove e spacciati per scorci della nuova città-giardino. Già sospettoso, ebbe conferma di tutta la messinscena quando arrivò sul suo tavolo (inviati dalla fazione del Fascio meno incline a tale truffa) un fotomontaggio di Caltagirone sul mare, accompagnato dalla dicitura sarcastica che Caltagirone, oltre alla sua città-giardino, aveva adesso anche il mare. L’inchiesta che ne scaturì porto a galla la verità (lavori fermi allo stato iniziale e falsi fotografici). Il Fascio di Caltagirone fu sciolto subito, e per intero. Al Comune di Caltagirone venne accollato tutto il debito precedentemente contratto dallo Stato col Banco di Sicilia e le personalità politiche più invischiate nella vicenda vennero allontanate per sempre dalla vita pubblica. Infine, cosa più importante delle altre, Caltagirone perse l'appuntamento con la storia. Nel 1927 infatti le fu preferita Enna come capoluogo della nuova provincia che era da anni deciso dovesse sorgere per ridimensionare i territori di quelle di Catania e Caltanissetta. Già erano pronte perfino le targhe automobilistiche (CG, Caltagirone), e nella sua sostituzione con Enna ebbe peso (certamente più della bombetta o della pergamena, e almeno quanto l'avversione per Don Sturzo e il bluff di Mussolinia) il celebre politico fascista ennese Napoleone Colajanni. Quanto alla città nuova irrealizzata, progetti simili saranno di lì in pochoi anni ideati e, stavolta, realizzati, altrove. E di Mussolinia di Sicilia non se parlò più (ne sorgerà una in Sardegna, oggi Arborèa).

Ma dove si sarebbe trovata esattamente Mussolinia? Dove sarebbe stata piazza XXX Ottobre, dove le strade, le abitazioni? Cos’è rimasto di quel poco che è stato costruito? Apparentemente, niente. Oggi per chi giunge a Santo Pietro da Caltagirone, lungo la provinciale 62, incontrerà per prima cosa sulla sinistra il Centro Sperimentale per la Granocoltura, portato a compimento nel 1927, dunque sempre in epoca fascista ma quando ormai il progetto di Mussolinia era già stato abbandonato. Si è comunque entrati in quella che doveva essere la grande piazza XXX ottobre, di cui non resta nemmeno quel poco edificato perché o buttato giù dalla bombe americane del 1943 o demolito negli anni ’50. A destra sopravvivono la chiesa di S.Paolo e 2/3 caseggiati con tipici porticati d’epoca. E’ la sovrapposizione fra la planimetria di Saverio Fragapane e le attuali mappe di “Google Maps” o “GoogleEarth”, (sovrapposizione perfetta grazie a particolari identificabili senza equivoco, come la chiesa di San Paolo, la stazione sperimentale di granicoltura e il sentiero che sale lungo le pendici Sud-Est del monte vicino) a dare l’idea precisa della posizione della piazza XXX Ottobre e del colonnato. Guardando le vecchie foto della parte realmente costruita, si scorge dietro di essa l’ingresso della Stazione Sperimentale di Granicoltura, così è facile comprendere dov’era la parte del colonnato con le 2 torri realizzata, che stando a testimonianze locali era in piedi ancora negli anni ’50. Esattamente di fronte la chiesa, più o meno dove oggi c’è una cabina telefonica, è il punto in cui sarebbe sorta la Casa del Fascio, e dove Mussolini murò quella pergamena improvvisata. Spalle alla chiesa, si trova sulla sinistra l’unico edificio ad archi ancora in piedi (allungato con un’ala più moderna dopo la guerra). Alcune delle vie che sarebbero dovute partire dalla piazza erano state tracciate e delimitate con la cordonatura dei marciapiedi, per cui ad occhi più attenti non può sfuggire il ciglio di quella che sarebbe stata via Vittorio. Infine, nelle vicinanze, si nota una struttura ovale bianca con l’effige del fascio ancora sulla sommità: era (o, meglio, sarebbe dovuto essere) il serbatoio per l’approvvigionamento idrico della città, la cui piazza sarebbe finita, dalla parte opposta a quella da cui si è entrati, prima dell’unico bar oggi della zona e della vecchia chiesetta del borgo, oggi chiusa e abbandonata. Di Mussolinia non resta null’altro, a parte le testimonianze orali, sempre più rare e stemperare con l’andar del tempo. E forse, se non spazzata via dai cacciabombardieri americani, una prima pietra con dentro un foglio rozzamente adattato a pergamena, sepolta qui da qualche parte a testimonianza di una presunta “fede e tenacia degli italiani”. Che non ci fu.

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