di Gaia Dallera Ferrario
In mostra, a Palazzo Reale e fino al 19 gennaio, una grande mostra su Giorgio de Chirico, uno dei più geniali e controversi protagonisti dell’arte del ventesimo secolo.
L’esperienza artistica di De Chirico esordì a cavallo tra due correnti. Da un lato il Razionalismo, che si diffuse ampiamente all’inizio del 900 in Italia, in correlazione con l’avvento del fascismo di cui si fece in qualche modo portavoce, dall’altro le nascenti correnti del futurismo e della metafisica, espressione di due differenti moti ascensionali: quello del progresso meccanico e quello dello spirito, inteso come inalienabile entità sensibile.
La pittura metafisica, alla quale si unirono, tra gli altri, anche Carrà, Morandi, De Pisis, nacque con il fine dichiarato di proporre un’indagine dell’uomo oltre l’apparenza fisica della realtà.
La nascita di questa corrente si deve ad un’inaspettata coincidenza: sia de Chirico che Carrà, nell’aprile del 1917, vennero inviati in convalescenza all'ospedale neurologico Villa del Seminario nella campagna ferrarese. Entrambi vi soggiornarono fino alla metà di agosto, quando Carrà fu esonerato dal servizio militare e poté fare ritorno a Milano, portando con sé alcune tele dell’amico, rimasto a Ferrara. Il 18 dicembre del 1917, a Milano, presso la galleria Paolo Chini, Carrà inaugurò una sua grande personale dove erano presenti diverse tele (Il gentiluomo ubriaco, La carrozzella, I romantici) in cui era molto evidente l'influenza di de Chirico, il quale aveva spedito a Milano alcuni suoi quadri (Ettore e Andromaca, Il trovatore, ecc.), che incredibilmente non furono esposti.
La prima mostra della pittura metafisica in Italia avvenne quindi senza la partecipazione del suo maggior esponente, che all'epoca, a differenza di Carrà, era praticamente sconosciuto. Solo due anni dopo, nel 1919, presso la galleria di Anton Giulio Bragaglia, a Roma, Giorgio de Chirico inaugurò la sua prima mostra personale.
L’esperienza metafisica italiana fu senz’altro un movimento di grande impatto, anche sulla scena europea: impossibile non cogliere le affinità con il movimento surrealista spagnolo che nacque nel 1924 intorno alla figura di Breton ma culminò nel 1938 con il manifesto “per un’arte rivoluzionaria e indipendente” scritto da Lev Trotskij e sottoscritto dal pittore messicano Riviera (marito di Frida Kalo) ed i cui principali esponenti furono Magritte e Dalì.
Questa lettura dell’espressione artistica, quale necessità di indagine psicologica dell’individuo, rappresentò una delle possibili risposte agli interrogativi complessi che, superato un primo conflitto mondiale, l’uomo si trovò ad affrontare. Altre risposte in questo senso furono date dal Dadaismo, nato nel 1916 in Svizzera grazie all’opera di Duchamp, o dall’Astrattismo, il cui massimo esponente fu Kandinskij, e che mirava a trasporre in forme e colori gli stati d’animo.
Quello proposto a Palazzo Reale è un viaggio nella complessità dell’opera di de Chirico, densa di enigmi e misteri pittorici e che si svela, come un ricco racconto di grande attualità. Un progetto espositivo quindi in grado di presentare la complessità e le molteplicità di un inventore instancabile che ha segnato la pittura internazionale del Novecento.
Gaia Dallera Ferrario | www.gaiafe.com
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