Diritto all’informazione - Scenari apocalittici8/3/2020

Memoria per Diritto all’informazione - Scenari apocalittici

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Diritto all’informazione - Scenari apocalittici8/3/2020

Avv. R. Patrizia Tripodi

In questo particolare momento in cui si sta consumando un universale paradosso per il quale siamo globalmente uniti dalla stessa preoccupazione e divisi dal forzato isolamento, una riflessione sulla circolazione delle informazioni è diventata un’esigenza. Per il tramite di false notizie si possono andare a stimolare i peggiori istinti e provocare reazioni incontrollabili nelle masse. Sono tanti i film di fantascienza che hanno prefigurato inquietanti scenari futuri, tra rischio di estinzione, vuoti di potere o il formarsi di una classe superiore a capo di un mondo schiavizzato, o la nascita di un potere assoluto al comando del pianeta nel quale un’oligarchia assumeva il controllo assoluto sulle menti e sui corpi. Film in cui la popolazione veniva fatta vivere in una finzione per meglio sfruttarla; molti sono i registi che hanno portato sulla scena la folla inferocita, le reazioni insensate delle masse, il linciaggio, ovvero esecuzione sommaria, perpetrata da privati senza previa condanna giudiziaria, di individui ritenuti colpevoli dall’opinione comune o di vittime abbandonate al furore della folla. È linciaggio morale la sistematica denigrazione dell’onorabilità di qualcuno o delle sue capacità da parte dell’opinione pubblica, specialmente tramite i mezzi di informazione.

Nel tempo il susseguirsi degli eventi ha reso concreti quegli scenari apocalittici che dallo schermo si sono tradotti in realtà dalla quale non raramente sono stati superati.

Penso a Orwell 1984 di Michael Radford, tratto dal Romanzo di George Orwell, a Fahrenheit451 di François Truffaut. L’occhio di Orwell si è concretizzato nell’occhio di migliaia di telecamere che ci circondano; i Vigili del Fuoco di Fahrenheit 451 (che è la temperatura alla quale brucia la carta) che bruciavano i libri sono rievocati da fatti di cronaca in cui piccoli e stupidi vandali danno fuoco alle librerie e dalla costante riduzione del numero di lettori; gli smartphone hanno prodotto una forma di controllo ancora maggiore; un minimo di nozioni tecnologiche sono sufficienti a farci capire che ogni momento della nostra giornata può attraverso questi apparentemente innocui ed utili quanto comodi oggetti, passare al setaccio; che un seppur piccolo apparecchio possiede un lato oscuro attraverso il quale ogni nostro spostamento, gesto, abitudine, comportamento, incontro, acquisto, interesse, viene costantemente monitorato e registrato da chi tali dati e informazioni può utilizzare per mille fini diversi anche a nostro scapito. La vita delle persone è soggetta a mille quotidiani condizionamenti capaci di provocare reazioni inimmaginabili e la circolazione delle informazioni false o vere, ma fornite con lo scopo di istigare, può portare all’esasperazione dei sentimenti più negativi racchiusi in ognuno di noi; rabbia, violenza, perdita di ogni forma di buon senso e induzione alla brutalità del pensiero, del linguaggio e delle azioni. Tali effetti se collettivi, sono devastanti. I casi di macabra cronaca trattati in maniera sconsiderata e le reazioni e i commenti che ne seguono sui social sono un triste esempio. Freud scrisse un trattato sulla Psicologia delle Masse e Analisi dell’Io, e oggi più che mai sarebbe utile rileggerlo integrando la sua analisi con le caratteristiche di quella massa senza un capo che è il Popolo dei Social.

È Fritz Lang il Regista che ha dato vita alla pellicola più interessante sul tema del linciaggio causato da notizie false. Fury (il cui titolo originario era Il Potere della Folla, tratto dal racconto di Norman Krasna su un linciaggio realmente avvenuto a San Josè nel 1933), è il titolo del suo film, girato nel 1936 con protagonista Spencer Tracy e Sylvia Sidney; una coppia di fidanzati come tanti; lui, JoeWilson, un operaio di Chicago, lei un’insegnante costretta a trasferirsi a Capitol City. Nel viaggio per raggiungere la fidanzata, Joe viene fermato ad un posto di blocco; il numero di serie di una banconota e il sale delle noccioline di cui è ghiotto lo collegano al sequestro di una bambina. Viene arrestato e gli indizi ben presto vengono considerati prove certe per la folla che, ebbra di alcool e odio, inferocita raggiunge la prigione che viene incendiata  La notizia passa di voce in voce nella piccola cittadina fino a diventare un suono assordante. La capacità di Lang di catturare vividamente il dettaglio, rende il linciaggio di un orrore insopportabile; immagini che fanno trasalire come frustate; la risata orribile e la gonfia presunzione dei buoni cittadini; il giovane che afferra una sbarra gridando: “Facciamo qualcosa di divertente”; il reggimento di uomini e donne che marciano a braccetto e ridono eccitati come reclute esaltate il primo giorno di guerra; lo scherno di un ragazzo; il lancio della prima pietra; l’edificio in fiamme; l’uomo innocente che dietro le sbarre, circondato dalle fiamme sta soffocando e la donna che alza il bambino per fargli vedere quella terribile scena. Non può lo spettatore non sentire lo stesso senso di soffocamento del protagonista; dimenticando di essere al cinema si sente morire con lui. La colonna sonora in un crescendo rende quasi eccessivo il coinvolgimento e storia e musica arrivano a toccare i più profondi recessi dell’animo umano. La notizia della morte di Joe appare sui giornali insieme a quella della cattura dei veri responsabili del rapimento. Ma Joe non è morto, benché dichiarato ufficialmente tale, e decide di vendicarsi; nell’ombra egli orchestra la sua vendetta fornendo prove e testimoni della sua morte nonostante le resistenze dei fratelli e della fidanzata che intanto hanno scoperto che lui è vivo. Il processo contro gli autori del suo linciaggio prosegue e solo dopo la sentenzadi condanna egli appare in aula, salvando così gli imputati e riconquistando l’amore di Katherine.

L’informazione è alla base del vivere di una società, anche la più semplicemente organizzata. L’esigenza di informazione è stata sentita fin dal giorno in cui l’uomo ha iniziato a convivere e a combattere con altri uomini. Non a caso parlo di convivenza e combattimento, perché la necessità di informazione è in stretta relazione con la sopravvivenza e in specie con la guerra; nasce con essa quindi con l’uomo. La stessa evoluzione tecnologica è spesso asservita alle necessità belliche; basti pensare al Telegrafo Ottico dei fratelli Chappe, utilizzato nel 1793 per collegare le armate dislocate tra Parigi e Lilla. La ricerca scientifica è non di meno attuata in ambito militare, ciò che può risultare nefasto; dallabomba atomica alle armi batteriologiche, alle mine anti-uomo, dal cannone ai missili e perché no, dalla spada alla pistola, sono tutti primati tecnologici di cui l’umanità ha poco da vantarsi. La conoscenza di dati militari, politici ed economici che riguardano gli altri Paesi è per uno Stato garanzia della sua sicurezza, e questo non solo in caso di guerra ma anche per la conservazione della pace, al fine di mantenere gli equilibri preesistenti. In tutti i campi l’acquisizione del maggior numero di notizie è elemento imprescindibile sia per l’individuo che per lo Stato ed in ogni loro azione. Il “potere” è esso stesso informazione e oltre che acquisizione, divulgazione controllata e mirata di informazioni, laddove conoscere un popolo straniero e i suoi usi, tradizioni e potenzialità anche belliche, significava già nell’antica Roma, poterlo sconfiggere conquistando il suo territorio, ma che oggi sono fondamentali per il modo stesso in cui è strutturata la società moderna. La nostra epoca, la più fortemente caratterizzata da costante e globale informazione, è anche l’epoca in cui maggiormente dilaga la falsa informazione. Il prolificare dei Media, i giornali, le TV, le Agenzie di Stampa Internazionali, la comunicazione attraverso Internet, le trasmissioni satellitari, ci danno d’idea di vivere nel cosiddetto Villaggio Globale, terminologia felice che dà il nome ad un concetto illusorio quanto fuorviante. I cittadini del mondo informatizzato, tecnologicamente evoluto, economicamente sviluppato, credono di sapere tutto ciò che è da sapere e che accade in ogni luogo; credono che prendere informazioni equivalga a diventare esperti di qualunque materia nel tempo di qualche click e poco riflettono. Meno ancora sviluppano senso critico; non distinguono, non scelgono, pur nella convinzione di avere la più ampia possibilità di scelta.

L’immediatezza con cui una notizia viene catapultata da un capo all’altro del Pianeta, può far sì che un qualsiasi evento, reale o inventato, produca conseguenze del tutto imprevedibili all’origine, o anche strategicamente previste e calcolate in base ad un preciso disegno politico, economico o militare. Non mancano esempi nella storia anche recente. Il 7 dicembre 1989, l’Agenzia di Stampa ungherese MTI trasmise un dispaccio in cui si affermava che un viaggiatore cecoslovacco riferiva che sarebbero stati sparati colpi di arma da fuoco a Timisoara. La sera stessa, dalla televisione di Stato ungherese si disse che “una grande manifestazione si era svolta a Timisoara per impedire la deportazione del pastore protestante Toekes”. In effetti a Timisoara, città romena a 40 Km dal confine, c’era stata una manifestazione per difendere il pastore Toekes, minacciato d’arresto dalla Polizia del dittatore Ceausescu, poiché si batteva per i diritti della minoranza ungherese, e c’erano stati scontri in cui la Polizia aveva sparato contro la folla. Ma tutto ciò era avvenuto due giorni prima! Il 18 dicembre solo due giornali europei: Il Corriere della Sera in Italia e Le Monde in Francia, parlarono di “dure cariche della Polizia con numerosi arresti. Il 19 dicembre venne riportata da un quotidiano italiano la dichiarazione di uno scrittore romeno emigrato in Jugoslavia secondo cui i morti sarebbero stati tre o quattrocento. Il 21 dicembre, con la fuga di Ceausescu, si contano 4660 morti, 1860 feriti, 13000 arresti, 7000 condanne a morte. Le televisioni di tutto il mondo mostrano le immagini del massacro. La TV di Stato ungherese dà la notizia del ritrovamento a Timisoara della prima fossa comune con 4630 cadaveri. Tutte le televisioni e i giornali parleranno come della più grande strage dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, con immagini di corpi trucidati, con ferite che in alcuni vanno dal mento al bacino e, non poteva mancare, la descrizione di una donna incinta col ventre lacerato. Il 22 dicembre 1989, il quotidiano La Repubblica titola “Ceausescu si vendica col sangue”, cita la strage di Timisoara e racconta di un “nuovo eccidio dell’esercito romeno”, stavolta a Bucarest durante una manifestazione degli oppositori appartenenti al “Comitato per la Democrazia Socialista”. Due inviati italiani di un quotidiano di provincia vanno al Cimitero di Timisoara e notano che la maggior parte dei cadaveri è in avanzato stato di decomposizione, che la donna ha almeno una sessantina d’anni, e che il suo cadavere è peggio conservato di quello del “figlio” appoggiatole accanto. I cronisti parlando con il custode del Cimitero scoprono che i corpi sono di vagabondi e che quello è il Cimitero dei poveri. Dunque non si trattava di torture ma di autopsie. Solo dieci giorni dopo, un settimanale nazionale italiano pubblicò il racconto dei due cronisti ma ormai della Romania non si parlava più, non faceva più notizia, non attirava più l’attenzione. Nel 1990, una rete televisiva tedesca spiegò la falsità delle notizie date, ma venne ignorata da tutti i grandi organi d’informazione. Solo il quotidiano francese Liberatiòn ammise il proprio errore pubblicando un lungo editoriale sul falso massacro. Altro esempio di falsa informazione, affatto glorioso e non meno eclatante si ebbe durante la Guerra del Golfo. Il contenzioso tra Irak e Kuwait verteva sul prezzo del petrolio che quest’ultimo insieme all’Arabia Saudita intendeva abbassare, quando invece l’Irak, dopo il conflitto con l’Iran, aveva maggior bisogno di risorse. Inoltre l’Irakrivendicava l’appartenenza a un suo giacimento, del petrolio estratto in alcuni pozzi Kuwaitiani. E così, per la prima volta nella storia, i telespettatori di tutto il mondo assistettero, o meglio, credettero di assistere, a quella che venne definita la “Guerra in diretta”. Ed uno pseudo-giornalista si sentì persino orgoglioso, forse per la prima volta nella sua vita professionale, per aver dato la notizia dell’attacco irakeno anticipando gli altri TG. Circolò la notizia (poi dimostrata falsa) che l’Irak fosse tra le prime potenze militari del mondo, circolò meno quella che tra le nazioni che lo condannarono e lo combatterono, vi erano i suoi fornitori di armi. Mentre credevamo di assistere alle immagini della guerra, in realtà eravamo spettatori di spot televisivi tratti dagli archivi delle industrie militari utilizzati per pubblicizzare le proprie armi davanti al Congresso USA, o anche di immagini, come quella del cormorano con le piume intrise di petrolio, girate in altri tempi e circostanze, tese a scuotere la nostra sensibilità con lo scopo di farci vedere Saddam come un folle massacratore di uomini e di bambini e distruttore della natura. Il trionfo della propaganda da un lato e della censura dall’altro che hanno raggiunto la loro apoteosi. Ne è riprova il fatto che la successiva guerra in Jugoslavia (terra povera e sfornita di petrolio) non ha prodotto il medesimo turbamento negli animi e lo stesso interesse a intervenire; mentre qualcuno coglieva l’occasione per rivendicare l’Istria, la gente assisteva annoiata e distratta a un déjà vu, la guerra in TV, come a un film senza trama, con diversa scenografia, diversi attori e un po’ più di sangue, parteggiando per chi veniva dipinto come il “buono”. Non c’era da porsi domande perché tanto non v’era nulla di più da sapere e da capire, era tutto lì, in ciò che si vedeva. Quanto espresso, non per negare l’alto valore sociale dell’informazione, che però viene troppo spesso data e percepita senza considerare il suo legame con il passato e la storia, senza scrutarne le cause, le premesse e le conseguenze. Sia la distanza tra informazione e realtà, sia le oscure trame e in qualche caso solo più complesse, che possono talvolta celarsi dietro ad una notizia, sono ben rappresentate da un brano di Jean Giono, autore francese, che recita: …Essi costruiscono con pietre e non si accorgono che ogni loro gesto per posare la pietra nella calcina, è accompagnato da un’ombra di gesto che posa un’ombra di pietra in un’ombra di calcina. Ed è la costruzione d’ombra che conta”. Pensando alle malattie in circolazione, difficile non fare riferimento a quella virulenta patologia sociale: l’Infodemia:termine coniato da David J. Rothkopf in un articolo pubblicato sul Washington Post nel 2003 dal titolo When The Buzz Bites Back, che definisce la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti attendibili e che può comportare la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della Comunità Globale su fatti reali o inventati. È composta dalle parole informazione ed epidemia. Epidemia che dobbiamo fermare per evitare di continuare a scivolare verso lo stato di decadente inefficienza intellettiva nel quale stiamo affondando.

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