732 anni fa i Vespri Siciliani 25/3/2020
732 anni fa i Vespri Siciliani 25/3/2020
di Giovanni Curatola
Miccia ufficiale di tutte le rivoluzioni e le guerre è sempre un evento più o meno casuale (un “casus belli” appunto) necessario per legittimarle e consegnarle alla storia. Possibilmente, dopo averci infarcito pure un alone epico e eroico superiore a quella che ha circondato (sempre se ci sia stato) i fatti reali. Di fatto, però dietro tale evento improvviso e di facciata si cela un progetto lucido e soprattutto accuratamente pianificato da tempo e da pochi soggetti per succedere a chi detiene il potere. A tal scopo, è indispensabile o il consenso della folla o, laddove questo manchi, un suo uso strumentale per legittimarne l’azione a proprio vantaggio e contro l’ordine costituito.
Di tali lavori preparatori e clandestini, la casistica è sterminata. Relativamente alla sola Sicilia degli ultimi 2 secoli, si possono citare i casi dei moti del 1820 (scoppiati a Palermo e precursori delle grandi rivoluzioni che nel 1848 incendiarono l’intera Europa), dei Mille di Garibaldi nel 1860 (con la popolazione indirizzata dalla mafia locale all’insurrezione contro i legittimi governanti borbonici e ad agevolare quanto più possibile l’occupazione garibaldina dell’Isola), quindi dello sbarco angloamericano del 1943 (stesso “invito” di notabili e malavita a sabotare gli impianti militari di difesa dell’Isola e ad accelerare il rovesciamento del regime fascista).
In concomitanza dell’anniversario dei “Vespri Siciliani”, occupiamoci di quanto avvenne più di 700 anni fa (uomini e governi ovviamente diversi ma prassi identica agli esempi sopracitati). Il 30 marzo 1282 era un lunedì, il lunedì dell’angelo che segue la Pasqua. All’ora del tramonto (i famosi vespri che daranno nome all’evento) davanti la chiesa del S. Spirito di Palermo (oggi ancora in attività e incorporata cimitero di S. Orsola) dov’era appena finita la funzione religiosa un tale Drouet, soldato angioino, con la scusa di una perquisizione, avrebbe allungato le mani su una popolana. Immediata la reazione del marito, che sfilò la spada al francese e con la stessa lo uccise.
Questo narra la leggenda, ma, se non proprio con la stesse dinamiche, qualcosa di molto simile dovette effettivamente verificarsi quel giorno e in quel luogo. Da dove, in un baleno, divampò la rivolta palermitana contro gli angioini, classe dominante nell’Isola di allora e realmente mal digeriti dal popolo per via di continui soprusi. Impauriti, molti soldati si liberarono delle proprie divise tentando di mimetizzarsi fra i civili, che per scovare gli impostori obbligarono i sospettati a pronunciare la parola “ceci”, che in dialetto palermitano si dice (e pronuncia) “cìciri”. I francesi scovati perché traditi dalla pronuncia, venivano così uccisi. In poche settimane, tutta la Sicilia si liberò della dominazione angioina.
Ma, come detto in apertura, anche qui si trattò di un evento non casuale ma ben progettata. Casuale fu solo la scintilla da cui nacque (il palpeggiamento di una donna). Se non proprio quella, ce ne sarebbe infatti stata un’altra, o poco prima o poco dopo. La rivolta doveva comunque scoppiare: la nobiltà isolana, per disfarsi dei (pur arroganti) angioini e sostituirvisi nella gestione del potere secondo una suddivisione già pianificata, attendeva solo il momento buono per coinvolgere la popolazione, convogliandola verso i suoi obiettivi. E il popolo, come farà con Garibaldi e gli anglo-americani nei secoli a venire (e come, sempre e ovunque, è accaduto nella storia: dalle guerre persiane alla Rivoluzione Francese, da Giulio Cesare a Pearl Harbour) reciterà (inconsapevolmente, o in parte consapevolmente a suon di promesse o ricatti) un copione già scritto nell’ombra da altri. Così in un batter d’occhio, cacciati gli angioini, troveremo gli aristocratici più potenti dell’Isola spartirsi quest’ultima come 3 fette di una torta: ad Alaimo da Lentini la Val Demone, a Palmiero Abate di Trapani la Val di Mazara e a Guatiero di Caltagirone la Val di Noto. Tutti felici e contenti. Al modico prezzo di un palpeggio.