Giorgia Tribuiani - Scrittrice per amore29/10/2020

Memoria per Giorgia Tribuiani - Scrittrice per amore

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Giorgia Tribuiani - Scrittrice per amore29/10/2020

di Roberto Dall’Acqua

Giorgia Tribuiani, colta e fine scrittrice, ha lasciato a Il Giornale del Ricordo le sue parole emozionanti e sincere.

- Come nasce il tuo amore per la scrittura? Parlaci dei tuoi libri.

Se dicessi che ho sempre scritto e che ho sempre provato per la scrittura una forte passione non mentirei: a fare la differenza, però, credo sia la “consapevolezza”, e la mia è mutata due volte. La prima volta avevo sedici anni e il desiderio di “essere guardata”. O amata, per essere più precisi. Mi trovai di fronte a Misery di Stephen King, completamente avvinta dall’immaginazione di qualcun altro, completamente rapita da ciò che l’autore aveva da dire, e pensai che anche io avevo tante cose da dire e il desiderio che qualcuno si fermasse a guardarle. Cominciai a scrivere tutti i giorni; a studiare. Qualche anno dopo arrivò la prima stesura di Guasti, che per me è in fin dei conti un romanzo sul senso di inadeguatezza.  

La seconda volta che il mio amore per la scrittura acquisì consapevolezza fu anni dopo, di fronte a un altro libro: Il male naturale di Giulio Mozzi. Capii che non solo potevo fermare lo sguardo di qualcuno su ciò che avevo da dire, ma potevo anche, attraverso la scrittura, provare a trasformare il dolore in qualcosa di bello; in qualcosa di utile per me, e – se ne ero in grado, se avevo fortuna – anche per il lettore. Scrissi Blu, il libro che uscirà a gennaio per Fazi Editore. L’obiettivo adesso è riuscire, per dirla parafrasando David Foster Wallace, a dare sempre più voce alla parte di me che ama, anziché a quella che vuole soltanto essere amata.

- La scrittura è il tuo unico lavoro?

A marzo di quest’anno, dopo dieci anni di lavoro nel ramo del marketing e dopo le esperienze negli uffici della Honda, della Ducati e della Polar, ho abbandonato il lavoro in azienda per dedicarmi completamente alle “scritture”: lo dico al plurale perché il mio lavoro si divide oggi tra la mia personale scrittura e la cura di quella degli altri (insegno alla Bottega di narrazione, diretta da Giulio Mozzi, e al Penelope Story Lab, che fa capo a Ivano Porpora). Da quando mi dedico completamente ai testi e alle storie sento certamente di somigliarmi molto di più.

- Come ti rapporti con i social? Li usi?

Uso Facebook; uso un po’ più di rado Instagram. Lo faccio principalmente per condividere riflessioni sulla scrittura creativa e consigli di lettura, ma in alcuni periodi – specie se non sono impegnata con la scrittura di un mio testo – su Facebook mi trovo anche a tenere una sorta di “diario dello sguardo”: posso condividere le impressioni su una passeggiata, su un luogo, su un gesto, sulle vite che scorrono oltre le finestre accese, e mi piace sempre molto leggere poi nei commenti gli sguardi degli altri. È una delle cose belle della scrittura, in fondo, no? Quando un’impressione o un ricordo, attraverso le parole, finiscono per generare un’impressione o un ricordo vicini e diversi nella mente di qualcun altro.

- Che parte hanno i ricordi nella tua vita?

Sono un posto in cui torno spesso: attraversando un odore o un brano musicale, per esempio, o un sapore. Se mi sono innamorata a prima vista di Proust, è perché il mio modo di vivere il ricordo è davvero come viene descritto già in Dalla parte di Swann: basta un piccolo particolare a riavvolgere il nastro e a farmi tornare indietro, a farmi sentire vividissime tutte le sensazioni del passato e poi a riportarmi indietro con una stretta di malinconia, quella delle cose che non possiamo recuperare e che lo sguardo della memoria ha reso molto più belle – ma “belle” non è il termine giusto: molto più poetiche, forse, o solo più amate – di quanto non lo fossero state sotto lo sguardo dei sensi.

D’altra parte, proprio per questo modo intenso di sentire il passato, proprio per la forza di questa malinconia, quello dei ricordi è anche il bacino a cui attingo spesso per scrivere. A volte magari li trasfiguro, i ricordi, quello sì, ma sono certa che contribuiscano, con la loro vita, a rendere appunto più vive, più profonde, anche le mie narrazioni.

- Alejandro Jodorowsky afferma: «Il tempo asciuga il superfluo e conserva l’essenziale». Che ne pensi?

È una domanda complessa, perché forse prima di tutto dovremmo essere d’accordo sulle due accezioni di “superfluo” ed “essenziale”, e sulla loro complementarietà. Poco fa parlavamo dei ricordi, e a volte mi rendo conto che spesso se finiscono per restare in memoria dei dettagli, dei particolari, che in un primo momento sembravano superflui ma che negli anni si sono ammantati di un significato più profondo, fino a diventare essenziali. La tua domanda – con la frase di Jodorowsky che istintivamente mi viene da sottoscrivere – ne fa nascere quindi una seconda: come possiamo stabilire cosa è superfluo e cosa essenziale se non dal futuro; se non dalle conseguenze e dai frutti? il tempo che asciuga e che conserva non è lo stesso tempo che definisce e categorizza?

- Come vedi il tuo futuro? Obiettivi personali e professionali.

A gennaio, come accennavo, il mio secondo romanzo Blu uscirà per Fazi: sono molto felice e ansiosa del momento in cui questa storia, a cui tengo profondamente, smetterà di essere solo mia per diventare dei lettori. Nel frattempo ho già iniziato a lavorare a un nuovo romanzo. Quest’ultimo anno è stato per me un periodo di grandi cambiamenti: da quello lavorativo, di cui ti parlavo e che mi permette oggi di dedicarmi interamente alle storie, a un cambiamento personale, che con il trasloco da Bologna a Pescara mi sta portando a riavvicinarmi al mio adorato mare. Si stanno concretizzando alcune cose che desideravo da tanto e l’obiettivo principale è di continuare su questa via: scegliere una vita di cui amare tutto.

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