9 novembre 1989 - Nella storia per errore 10/11/2020

Memoria per 9 novembre 1989 - Nella storia per errore

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9 novembre 1989 - Nella storia per errore 10/11/2020

di Giovanni Curatola

Erano sì giorni caldi e di grande fermento politico (l’Ungheria aveva già aperto una breccia nella “Cortina di Ferro” al confine con l’Austria, il sempre più collassato governo della Germania Est si trovava a reggere una spinta popolare sempre più massiccia e incisiva verso riforme ormai inderogabili) ma nulla lasciava presagire che quel tardo pomeriggio di giovedì 9 novembre 1989 sarebbe entrato con irruenza nei libri di storia. Che un cambiamento nei paesi europei del blocco sovietico fosse già in atto era – con più o meno apprensione o sollievo, a seconda dei casi - sotto gli occhi di tutti, politici e popoli. Ma che addirittura il Muro di Berlino sarebbe “crollato” quella sera stessa, abbattuto non dai picconi dei militari o dalla furia popolari, ma da un equivoco, o meglio una gaffe involontaria di un semplice portavoce di partito, era al di fuori da ogni immaginazione. Le picconate vennero solo qualche ora dopo, e proprio in conseguenza quella gaffe, così come gli squarci aperti al Muro, le sbarre alzate, la ressa e l’euforia della folla che preme e sfonda quello che per 28 anni era stato l’odiato simbolo di una divisione non solo di uno stesso paese, ma di due mondi, due blocchi militari, due sistemi politici e due concezioni di vita l’un contro l’altro armati.

Mancavano pochi minuti alle ore 18.00 di quel 9 novembre 1989 quando al funzionario del partito comunista Günther Schabowski, arrivato in ritardo alla riunione del Comitato Centrale del partito, fu consegnato il testo della proposta del Consiglio dei ministri per un allentamento delle restrizioni sui viaggi all’estero. La volontà del partito era di far entrare in vigore le nuove regole gradualmente, a partire dai giorni successivi, per dare così tempo e modo all’esercito, alla polizia e agli uffici interessati di organizzare questi passaggi nella maniera più pacata e controllata possibile. Il primo ministro e segretario del partito Erich Honecker era stato costretto alle dimissioni 2 settimane prima, e la leadership comunista, sempre più vacillante, cercava con quei provvedimenti di alleggerire la tensione e salvare se stessa.
Schabowski non ebbe il tempo di leggere bene il testo, lo fece frettolosamente e male in macchina mentre il suo autista raggiungeva l’International Press Centre di Berlino Est, dove poco dopo le 18.00 cominciò la consueta conferenza stampa internazionale (in quei giorni era diventata prassi quotidiana). Dopo quasi un’ora, quando la parola passa ai giornalisti, Schabowski rivelò il contenuto delle concessioni previste dal governo. Alla precisa domanda del giornalista italiano Riccardo Ehrman su quando le restrizioni delle norme sui viaggi all’estero e sul transito Est-Ovest sarebbero state revocate, un perplesso e confuso Schabowski diede un rapido sguardo alle sue carte e, non trovando risposta, le considerò qualcosa già in vigore anziché un progetto a breve, e rispose in buona fede: “Per quel che ne so io, se sono stato informato correttamente, da subito”. Erano le 18.54. Senza volerlo, il là al crollo del Muro era dato. In sala si capi subito l’entità della “bomba” lanciata, e pochi minuti dopo (19.05) la conferenza stampa era già finita. I giornalisti corsero a telefonare alle rispettive testate all’estero, prima che la polizia segreta dell’Est potesse bloccare le loro chiamate, e dare la notizia. Poter viaggiare, o comunque transitare tranquillamente dall’Est all’Ovest, per i berlinesi equivaleva a dire che il Muro non c’era più, che molte famiglie si sarebbero ritrovate e che nessuno avrebbe più tenuto divise le due parti della città sparando e uccidendo chi avrebbe tentato di andare altra parte. In sostanza, il Muro restava lì, ma con un semplice visto o un timbro sui documenti i suoi varchi erano aperti, per cui avrebbe perso ogni funzione.
Già mezzora dopo l’annuncio di Schabowski, in diretta mondiale, migliaia di persone si precipitarono verso i checkpoint più vicini. Le guardie di frontiera cercarono inutilmente di convincerli a ripresentarsi il giorno dopo. La folla si fece sempre più imponente, decine di migliaia a ogni punto di frontiera. Temendo che la situazione potesse sfuggire di mano, nella confusione di ordini e informazioni che le guardie non ricevettero perché chi avrebbe dovuto darle loro era stato colto parimenti alla sprovvista, fu deciso di aprire i punti di accesso e consentire l’attraversamento del Muro.

Una fiumana di persone si rovescia da Est a Ovest, accolta con calore ed euforia autentica dai berlinesi dell’Ovest. E mentre i bar dell’Ovest elargirono gratuitamente birra a fiumi, tra le 23,30 e mezzanotte le barriere di tutti i checkpoint della città erano già aperti.
In pochi, in quella notte di baldoria collettiva in cui molte persone diedero il via all’abbattimento del Muro con martelli e picconi (anche per ricavarne pezzi come souvenir) calcolarono che la Germania Est aveva ormai i giorni contati e che il progetto di una riunificazione tedesca, accelerata da un trattato economico abilmente confezionato, era già nel cassetto del cancelliere della Germania Ovest Ermut Kohl. La Germania di quei mesi, dalla caduta del Muro alla riunificazione, vedrà un curioso, ma non casuale, capovolgimento di rapporti cause-effetti rispetto alle comuni unificazioni o riunificazioni: non l’economia di una nazione che si crea a seguito della sua politica, ma il fattore politico (ossia la Germania Unita) che segue e consegue il fattore economico. Ma questa è un’altra storia…?

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