Paolo Rossi - Era un ragazzo come noi10/12/2020
Paolo Rossi - Era un ragazzo come noi10/12/2020
di Giovanni Curatola
Di Paolo Rossi, chi scrive ha un brevissimo ma dolce e indelebile ricordo. Mondello (Palermo), hotel “Palace”, ore 02.00 delle notte fra sabato 13 e domenica 14 novembre 1999. Nel pomeriggio erano sbarcati a Palermo tanti campioni di calcio ex compagni di Scirea nella Juve e nella nazionale (Zoff, Platini, Collovati, Boniek, lo stesso Rossi, ecc.) che l’indomani avrebbero ricordato l’ex campione scomparso 10 anni prima con un’amichevole alla Favorita. Quel pomeriggio ebbi forse la più bella gratificazione di giornalista sportivo appena patentato: un’intervista breve ma esclusiva con Platini. Io e il mio grande idolo 10 minuti accanto, a tu per tu, su un divanetto della hall di quell’albergo. Appagato come non mai, restai poi a cenare a Mondello con un inseparabile amico, ma le sorprese non erano finite. A notte inoltrata, prima di rientrare a casa, tornammo in quell’albergo, nella remota speranza che qualche giocatore fosse ancora in piedi. Senza grosse aspettative, ci provammo. In fondo, che ci costava?
E lì, sulla scale d’ingresso, trovammo lui, Paolo Rossi. Che colpo! Era con un altro signore, a noi sconosciuto. Avevano fatto due passi in spiaggia e ora stava finendo di consumare una sigaretta prima di salire in camera. Per evitare di infastidirlo a quell’ora con domande giornalistiche, mi presentai da semplice ammiratore.
Fu cordialissimo, scambiammo pochissimi minuti di conversazione sul cui contenuto ho ricordi assai vaghi (di sicuro il mare e il Mundial ’82, forse anche, ma non potrei giurarci, il suo rapporto con la città di Palermo). Cinque minuti, forse qualcosa in più ma a che a 10 non arrivarono: tanto bastò a confermarci quell’idea di uomo gentile, educato, rispettoso ed alla mano che la tv aveva sempre dato di lui. Il calciatore, non lo scoprimmo certo quella notte. I suoi 6 gol al Mondiale spagnolo del 1982 (3 al Brasile, 2 alla Polonia e 1, il primo, nella finale con la Germania Ovest) sono leggenda. E per me, che proprio da quel Mundial prese avvio il mio stretto feeling con il calcio, il miglior biglietto da visita per uno sport che allora faceva veramente battere i cuori – complice forse la tenerissima età – e che oggi, come ha di recente affermato Platini, non riesce a divertire più né il pubblico né se stesso.
Quando, nel 2002, uscirà il libro di Paolo Rossi “Ho fatto piangere il Brasile”, divorerò quelle righe da cui emergevano non polemiche, rivelazioni eclatanti o scoop solitamente scritti ad arte per vendere di più, ma quella semplicità, quell’umiltà e finanche quella tenerezza che avevo assaporato di lui quella notte a Mondello. Ma se il capolavoro di Pablito restano i 6 gol che diedero all’Italia quel Mondiale e per i quali fu proclamato santo lì, in terra di Spagna, a lui restano legati la caparbietà di chi ha creduto in lui, e che lui ha ampiamente ripagato: la Juventus nell’acquistarlo in piena squalifica e Bearzot nel dargli fiducia dopo la squalifica stessa e il primo, disastroso turno di quel famigerato mondiale. Lo aspettava al varco il buon “vecio”, andando incontro a critiche feroci. D’altronde, 4 anni prima in Argentina, il giovane Paolo Rossi era risultato uno dei migliori di quel Mondiale, e Bearzot non smise mai di dargli fiducia.
In pochi giorni, il mondo del calcio perde così due campioni. Con tutto il rispetto dovuto Maradona, a cui nessuno si sogna di togliere il gradino più alto in condominio con Pelé, la scomparsa di Pablito – almeno per quel che riguarda chi scrive - si porta dietro, se vogliamo, una sfumatura di amarezza in più. Sia perché (e mi si perdoni la venatura “nazionalistica”), era un calciatore “nostro”. Sia perché, col lato umano non ci fai i gol ma completi inevitabilmente il giudizio che gli altri si formano di te. E fra i tanti saluti e riconoscimenti all’onestà intellettuale e alla rettitudine di Pablito, chiudiamo riportando quello che ci appare più bello commovente, quello del suo vecchio mister Giovanni Trapattoni ai tempi dei 4 anni alla Juve: “Ciao Paolo… I calciatori non dovrebbero mai andarsene prima degli allenatori”.
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