Pagine di stoicismo giovanile da preservare dall'oblio28/4/2021

Memoria per Pagine di stoicismo giovanile da preservare dall'oblio

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Pagine di stoicismo giovanile da preservare dall'oblio28/4/2021

di Giovanni Curatola

PREMESSA . “Per nuocere al fascismo, noi abbiamo fatto cosa pessima a danno dell’Italia...” (Francesco Saverio Nitti, Assemblea Costituente, 27 luglio 1947). Già…! La demonizzazione in blocco di un periodo per motivi politici ha dal 1945 ad oggi portato a minimizzare e condannare, se non addirittura sconoscere del tutto, ogni conquista e ogni progresso raggiunti al suo interno, tanto in campo sociale che economico, tecnologico che militare, agricolo, industriale o produttivo in genere che financo in settori che di politico avevano poco: sportivo, musicale, culturale, cinematografico, ecc. Il tutto, facendo ben attenzione ad includere, laddove si fosse realmente verificato, quel corollario di orgoglio e passione popolare che a tali successi fecero da contorno. Successi poi tutti rigorosamente ammantati, per far perdere loro valore, di un’aura triste, cupa, forzata, deplorevole, quasi estranea. Come se i “fascisti” che li compirono non fossero stati italiani, ma marziani calati da chissà quale pianeta.

Un gesto significativo, in questo clima di rimozione storica, è arrivato qualche anno fa dall’estero, dal sindaco di Chicago, che a chi lo pressava, indignato, per abbattere il monumento dedicato in quella città al “fascista” Italo Balbo, autore della temeraria e spettacolare crociera aerea Roma-USA del 1933, rispose: “Dimostratemi che a compierla è stato un altro, e intitolerò subito a lui il monumento oggi dedicato a Balbo”. Dal cilindro della memoria cancellata o sminuita di quel periodo, peschiamo qui un evento singolare che ha interessato, tra il 1940 e il 1943, prima 24.000 18enni in un ammutinamento senza precedenti, poi 2.000 di essi sul fronte africano. Al netto dell’enfatizzazione dell’allora retorica fascista, restano pagine di volontarismo e di coraggio uniche, degne di essere preservate dall’oblio perché scritte da ragazzi italiani, prima che fascisti, generazione dei nostri nonni, colpevoli solo del sentimento considerato - almeno allora, e ovunque nel mondo - naturale e ineccepibile: l’amor di patria e il voler contribuire alle fortune del proprio paese. Giovani volontari al fronte, esattamente come, quasi mezzo secolo prima, lo fu la classe ’99 (sempre di 18enni), che col suo entusiasmo e la sua freschezza contribuì alla vittoria del ‘15-‘18, nell’ultimo quarto d’ora di guerra.

LA “MARCIA DELLA GIOVINEZZA” E LA SOMMOSSA DI PADOVA. Rileggendo l’episodio, si stenta oggi quasi a crederci: una singolare sommossa giovanile per… andare a combattere. Fu messa in atto da 24.000 ragazzi dai 15 ai 18 anni contro i quadri del partito fascista, che in ogni modo, data la loro giovane età (allora si era maggiorenni a 21 anni), intesero boicottare, o quantomeno ritardare, il loro invio al fronte. Tutto ha inizio il 10 giugno 1940, quando Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia. I più entusiasti sono, ancora una volta, i giovani, che da quella stessa sera affollano i comandi della G.I.L. (“Gioventù Italiana del Littorio”), per chiedere l'arruolamento nei reparti destinati al fronte. Le autorità sono impreparate a una simile manifestazione, tanto imprevista quanto massiccia, tanto più che molti di questi giovani non mostrano alcuna intenzione di tornare a casa. In attesa di disposizioni, loro promesse per ammansirli, allestiscono bivacchi nelle palestre e nelle scuole. Il segretario del partito, Ettore Muti, alla fine cede e dà ordine ai comandi federali di aprire l'arruolamento per la costituzione di battaglioni pre-militari per i nati dal 1922 al 1925. Il fervore e l’ostinazione di questi ragazzi (quasi 24.000 in tutta Italia) porta così alla formazione frettolosa di 27 battaglioni, divisi in 3 raggruppamenti: nell'Italia settentrionale (10 battaglioni), in centro Italia (9), e 8 battaglioni da Roma (compresa) in giù. Si dotano i battaglioni di moschetti e uniformi (una grigioverde come i fanti e una di colore coloniale, in tela). L'addestramento militare (nella riviera ligure e adriatica) dura tutto a agosto e termina con una marcia su Padova attraverso città e paesi dell'Italia settentrionale, che inizia il 26 agosto. La “Marcia della giovinezza” è studiata per dare a questi giovani un contentino e un momento di gloria che, si spera, plachi il loro entusiasmo: di spedire al fronte ragazzi così piccoli, infatti, il partito non se la sente proprio. Il I° raggruppamento raggiunge Vicenza, da Albissola, il 17 settembre, il II° da Arenzano arriva a Padova nello stesso giorno, il III° parte da Ancona il 3 settembre ed è a Padova il 20. La distanza media coperta è di 420 Km (25 al giorno). Padova accoglie la massa imponente nell'area della Fiera.

Alle 10.00 del 10 ottobre, Mussolini passa in rassegna i volontari. La sfilata si snoda lungo corso del Popolo. Ci sono anche rappresentanze giovanili delle nazioni amiche: Germania, Spagna, Ungheria, Romania e Bulgaria. L'euforia della giornata, tuttavia, finisce già al rientro negli accantonamenti, dove viene detto ai ragazzi di far “tesoro dell'esperienza vissuta, per essere pronti, domani, ad essere veri soldati”. E’ una doccia fredda, seguita il 13 novembre da questo telegramma: “Duce habet disposto che i componenti dei battaglioni Gil, dopo felice esperimento addestrativo, siano messi in congedo per dare modo at dedicarsi studio et lavoro durante prossima stagione invernale. Qualora vi siano giovani che abbiano compiuto 18 anni e intendano fare parte dei 3 battaglioni speciali, invito codesto comando ad inviarmi elenco nominativo entro 48 ore”. La comunicazione provoca sbigottimento. Nessuno si capacita di questo rifiuto così insensato. Si ordina così ai 24.000 giovani volontari, già amalgamati e militarmente addestrati, di spogliarsi della divisa e tornarsene a casa. Ma la cosa non avviene né subito né pacificamente. Molti di questi ragazzi, veri antesignani della contestazione giovanile, si abbandonano a tumulti e atti vandalici. Qualche reparto decide di non sciogliersi. La selezione per i 3 battaglioni speciali è dura, si valutano accuratamente sia le condizioni fisiche che morali e familiari. Si escludono senza appello quelli al di sotto dall'età minima, e alla fine risultano idonei in 2.000, tutti classe 1922. Ai 22.000 smobilitati, che fanno ritorno a casa col cuore gonfio di rabbia e delusione, il comando della GIL rilascia un attestato, una medaglia commemorativa e un congedo tipo militare.

 L’ADDESTRAMENTO DEI 3 BATTAGLIONI E LA PARTENZA PER L’AFRICA. I 2.000 selezionati raggiungono le nuove destinazioni: Montecchio, Arzignano, Illasi, Abano Terme e Montegrotto Terme, acquartierandosi nelle scuole, nelle vecchie filande in disuso, persino nelle stalle. Si riprendono marce ed esercitazioni, poi il 14 dicembre 1940 il I° battaglione (comandato dal maggiore Balisti) si trasferisce a Formia, il II° a Gaeta, il III° a Scauri. Marce in montagna si susseguono a quelle in pianura, ma la fatica quotidiana non spegne l'entusiasmo dei volontari, anzi, sembra alimentarlo. Alla lunga, però l’addestramento serrato porta i giovani al mugugno: sono stanchi di marciare e vogliono andare a combattere. Nasce, in questo clima, Abbi fede!”, il giornalino sulle cui pagine appare il malcontento generale. Balisti riesce a tenere a freno i suoi con discorsi infuocati, mentre ai 3 battaglioni è aumentato il ritmo delle marce sperando che la stanchezza freni il malcontento. Passano le festività natalizie e continuano visite, discorsi e promesse che rivelano solo la perdurante diffidenza ad utilizzare questi giovani in combattimento. Alle manovre militari del 5 aprile, a Gaeta, i vertici del partito esprimono il loro compiacimento, chiedendosi come si comporterebbero i volontari se la manovra fosse stata fatta con vere munizioni da guerra. Viene prontamente risposto loro che la manovra è stata eseguita tutta con munizioni da guerra, non a salve.

Il 12 Aprile 1941 una disposizione del Ministero della Guerra decide la trasformazione dei 3 battaglioni speciali nella 301° Legione Camicie Nere “Primavera” e il loro impiego in Albania. Il clima è elettrizzato, negli accantonamenti s'odono canti. Arrivano le nuove uniformi spedite dal comando generale della Milizia, e col nuovo corredo vengono distribuiti i fez neri, i pugnali e gli elmetti col fregio della G.I.L. Il giorno di Pasqua, 15 Aprile, i battaglioni sono radunati nel cortile della scuola di Formia per la S.Messa. La resurrezione di Cristo sembra coincidere con quella morale dei volontari. L'euforia per l'imminente partenza è però è nuovamente stemperata dal ritiro di tutto il materiale precedentemente consegnato.

Per l'ennesima volta, i volontari si ritrovano in mezzo a ordini e contrordini che ne mettono a dura prova entusiasmo e fiducia. Stavolta il motivo è burocratico: si scopre che “...essendo la Milizia un apparato post-militare di cui si può far parte solo dopo aver assolto gli obblighi di leva” e che “non avendo i volontari della GIL ancora compiuto il periodo di ferma a causa della loro età...“, l’impiego al fronte è insomma rimandato. ancora. Davanti una seria minaccia di tumulti e disordini peggiori di quelli di Padova, rimedia lo stesso Ministero della Guerra decretando, in sostituzione della 301° Legione Camicie Nere, la costituzione del Gruppo battaglioni Giovani Fascisti”, alle dirette dipendenze del regio esercito. Ancora una volta, ci si spoglia per rivestire altri panni. I nuovi sono quelli dei reparti di fanteria, con l’eccezione del fez nero e delle fiamme rosse e gialle (i colori della G.I.L.). Nuovamente, i volontari devono richiedere ai genitori una dichiarazione scritta di consenso all'arruolamento, poi questa nuova unità prende fisionomia. Il 19 aprile 1941 i battaglioni giurano fedeltà al re e ricevono le fiamme di combattimento. Seguono altri 20 lunghi giorni di marce, esercitazioni con le armi e allenamenti, poi il 4 maggio giunge l'ordine di trasferimento a Napoli.

IN AFRICA. A Napoli i battaglioni restano 2 mesi e mezzo, in attesa di essere inviati sul fronte russo, appena “aperto” dall’Asse. A fine giugno, il comando supremo dell’esercito scrive a Mussolini che “le unità che dovranno operare sul fronte russo non possono essere composte da ragazzini”. “Sta bene – risponde il Duce che, supplicato di non mortificare ulteriormente il commovente patriottismo dimostrato da questi ragazzi, aggiunge “andranno in Libia!”. Sotto una pioggia battente, si sale così sulla tradotta. In stazione c’è il saluto caloroso della folla: fazzoletti, fiori e tanta commozione. Ci scappa anche qualche lacrima. Nascerà nell’occasione l’inno di questi 3 battaglioni: “E' partita una tradotta / tutta piena di diciott'anni, / visi freschi, cuori spaccati / dalle granate dell'allegria. / Hanno preso la via del mare / questi giovani in grigioverde / col prurito nelle mani / e l'amore nei tascapani… / …Mamma mia, ma col pugnale, / ché la guerra non è finita, / scaglio l'anima nella partita, / lasciala andare dove vorrà! / I diciott'anni li consumiamo / tra la gavetta e le scarpinate, / poi verrà l'ora che batte il cuore, / quell'ora santa delle legnate. / Oh, battaglione di Primavera, / dove si ferma? Nessun lo sa. / Per ora andiamo oltre i confini, / battaglioni di Mussolini!”. Giunti a Taranto il 27 luglio, i “Giovani Fascisti” si imbarcano lo imbarcano la stessa sera per arrivare a Tripoli 2 giorni dopo. Trapelata fra gli Alleati e negli ambienti antifascisti, la notizia diventa speculazione della propaganda nemica, che la strumentalizza: “Mussolini manda a morire i ragazzini”. Ma la verità è ben diversa: i ragazzi sono risparmiati alla prima linea proprio dal partito fascista, che li destina a compiti di presidio presso Bir-El-Gobi, dove si trovava la divisione “Trieste”. Passano oltre 4 mesi, con l’avanzata inglese Bir-el-Gobi diventa prima linea e i “Giovani Fascisti” ottengono finalmente ciò che sognano da 1 anno e mezzo: vedere il nemico in faccia. Dal 3 al 6 dicembre l’attacco inglese è furibondo, le forze dell’Asse ripiegano ma un solo battaglione italiano, a quota 182, non cede, ma anzi infligge ingenti perdite a un intero Corpo d’Armata nemico. A riconoscerlo, ammirato, è lo stesso generale inglese Claude Auchinleck. Questi 18enni che per fermare un suo carro armato gli si scagliano contro sacrificando chi un gamba, chi la stessa vita, non possono certo passare inosservati. Certe azioni sembrano favole, sono reali e restano certificate dai bollettini e dai riconoscimenti nemici.

Ad agosto, i 3 battaglioni sono trasferiti prima nell’oasi di Siwa (Egitto), poi a novembre ad Ageabia. I 1.100 km di piste del deserto, attraversate per buona parte a piedi, vedono questi ragazzi cedere solo all’aviazione inglese, che li bombarda dal cielo mietendo diverse vittime. Ad Agedabia, in previsione del massiccio sfondamento inglese, i ragazzi sono impiegati come retroguardia a copertura delle restanti forze italo-tedesche e nel gennaio del 1943, persa la Libia, si attestano in Tunisia, sulla linea fortificata del Mareth, dove dal 17 al 30 marzo contengono la pressione inglese. Nelle due battaglie di Enfidaville, infine, la 69° brigata della 50° divisione di fanteria inglese e la 6° di quella neozelandese sono duramente contrastate dai “Giovani Fascisti”, che anche all’arma bianca rioccupano temporaneamente capisaldi perduti. Soprattutto “quota 141”, che resterà in mano ai volontari fino alle cessazioni delle ostilità. Il 10 maggio la 90° divisione tedesca si arrende e abbandonano le posizioni, i “Giovani Fascisti” le occupano al loro posto e continuano a combattere. Il 12 maggio, il diario storico della 2° divisione neozelandese afferma: “Oggi finalmente il fronte tace. Solo su quota 141 il nemico è ancora attivo”. Il giorno dopo, giunge da Roma l’ordine di ripiegamento generale. L’Africa è definitivamente perduta. Contrariamente alle disposizioni, i “Giovani Fascisti” superstiti distruggono armi, munizioni e documenti del reparto. Le bandiere di 2 battaglioni sono seppellite lì, l’altra è divisa in 17 pezzi, consegnati ai volontari perché fosse ricomposta una volta rientrati in Italia (e così sarà).

Questi giovani in Africa persero quasi il 70% dei loro effettivi. Tornarono in 525. Riteniamo che il loro  sacrificio e il loro valore, testimoniato sia da 87 medaglie al valor militare (2 d’oro, 31 d’argento e 54 di bronzo) e 105 croci di guerra, che dal fatto di essere stati l’unico reparto dell’esercito italiano nella II° guerra mondiale composto unicamente da volontari, tutto meriti tranne che finire nel dimenticatoio. A prescindere dal nome “Fascisti” che portava il loro raggruppamento.

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