Genesi del canto più famoso di Salò6/11/2021

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Genesi del canto più famoso di Salò6/11/2021

di Giovanni Curatola

Alla generazione che dopo l'8 settembre 1943 rifiutò l'armistizio e poi aderì alla Repubblica Sociale appartenne l’allora 19enne Mario Castellacci, futuro giornalista, commediografo e autore televisivo, che negli anni ’60 fonderà la famosa compagnia teatrale “Il Bagaglino” (poi approdato in tv), metterà in scena spettacoli teatrali di successo come “Forza venite gente”, e che collaborerà fra gli altri con Oreste Lionello, Gabriella Ferri, Gigi Proietti, col programma tv “Fantastico”.

Toccò a lui, nel lontano 1943, scrivere quasi per caso le parole di quello che resterà il canto di Salò non più bello, ma certamente il più famoso e cantato. "Le donne non ci vogliono più bene" sarà la colonna sonora di una generazione incompresa, che poi farà della propria emarginazione una bandiera di sprezzante distinzione dall'Italia opportunista passata, al momento opportuno, dall'altro lato della barricata. Ecco, da uno stralcio del suo diario di quei giorni e di come nacque la canzone:

"Le donne non ci vogliono più bene" disse, barcollando ubriaco, il caporale Chiorba al rientro in camerata. E abbracciò, non per amore ma per reggersi in piedi, il pilastrino anteriore del suo letto a castello. "E' vero!" esclamò solidale il legionario Castellacci, che tra sé considerò sorpreso: "Toh, un endecasillabo: Le-don-ne-non-ci-vo-glio-no-più-be-ne". Anche il camerata Castellacci si era ubriacato quella sera, insieme agli altri della squadra. Avevano bevuto insieme per giocare ai soldati che bevono. Si era agli ultimi di ottobre di un anno disastroso: il 1943. Si stava tra il finire e il ricominciare. Troppo pochi giorni erano passati dall'inizio dell'avventura della Repubblica Sociale, ma il teorema romantico di questi giovani camerati aveva una sola conclusione: essere disperatamente incompresi. Faceva quasi parte della divisa, al pari della camicia nera, del fez o del pugnale. Alla trattoria del Bersagliere, ad esempio, la ragazzotta che serviva ai tavoli si dimostrava allegra con tutti tranne che con loro. E fuori, per le viuzze della cittadina, due ragazze sorprese dal vociare del branco erano scappate a rinchiudersi in un portone. Un'altra la vide Castellacci occhieggiare da una finestrella del primo piano, ritirandosi poi in fretta e sbarrando le imposte al loro passaggio.

"Le donne non ci vogliono più bene" ribadì sempre più convinto il Chiorba, alitando alcol puro e stravaccandosi sul lettino. "Sì, ma perché?" domandò retorico Raoul. "Perché portiamo la camicia nera!" rispose soccorrevole Castellacci. E così - notò fra sé - gli endecasillabi erano due. "Ma chi c**** credono che siamo?" Che accidenti pensano di noi?" incalzava il Chiorba. "Hanno detto che siamo da catene" rivelò Castellacci con la certezza spaccona dell'ubriaco. E tre! "Hanno detto che siamo da galera" spiegò Cannella. La prima quartina era fatta. Il Chiorba, che sempre meno badava al rigore poetico eccedendo in parolacce per sentirsi più uomo, urlò quasi ruttando: "Brutte tr***!". "L'amore coi fascisti non conviene" tradusse Castellacci sbronzo ma sornione. "E certo! Preferiscono quei vigliacchi (i partigiani) sulle montagne!" esclamò il Chiorba. "Meglio un vigliacco che non ha bandiera" rifinì Castellacci, che stava ora pericolosamente in piedi sulla branda. "Uno che non ha sangue nelle vene" disse ancora Raoul, mentre Castellacci rifletteva su come le rime delle quartine si stavano succedendo nello schema A-B-A-B. "Già - concluse il Guidone - uno che porterà a casa la pellaccia!". "Uno che serberà la pelle intera" corresse ancora Castellacci, sempre in cerca di rime e di equilibrio. Il verso gli sembrò striracchiato, ma ormai era detto. Il Chiorba, affossato sulla branda, iniziò a russare. "Ce ne freghiamo! Che vadano a dare il c***!" urlò spavaldo un altro camerata ubriaco. Il proposito fu accolto con entusiasmo da tutta la banda sbronza, che in coro ripeté: "Ce ne fottiamo!".

Il chiasso aveva prodotto l'arrivo del sergente Rignani. "Ve ne fottete di chi?" disse allarmato e minaccioso al tempo stesso. "Di tutti" rispose il Chiorba che, svegliatosi da due schiaffi, iniziò poi a intonare un inno legionario tra i più diffusi: "Ce ne fregammo un dì della galera, ce ne fregammo della brutta morte…". Poi, per lo sforzo canoro, crollò col sedere sul pavimento. Un ubriaco che canta aggrava la propria ubriachezza. Il legionario Castellacci raccolse la "brutta morte" al balzo. Era un'idea, la più facile. Essa poteva risolvere l'impasse letterario in cui si era messo. Fu così che, dopo pochi istanti, si rizzò sulla branda e declamò d'impeto: "Ce ne freghiamo. La signora morte / fa la civetta in mezzo alla battaglia, / si fa baciare solo dai soldati. / Forza ragazzi, fatele la corte…". E lì si fermò a pensare al seguito. "Perché fatele la corte? Fatele chi?" sbottò il sergente. "O bella! Voi" spiegò Castellacci, sempre in stato di ebbrezza. "E perché noi sì e tu no? - insinuò perfido il sergente – tu, nel frattempo, dove vai?". "A cag***!" urlò il Secchione dal fondo della camerata.

Gli altri protestarono a loro volta. Piovvero scarponi e pagnotte fresche, di quelle che venivano distribuite la sera per il rancio del giorno dopo. Perché un vero soldato, secondo una massima da fureria, deve mangiare il pane duro. Il sergente non mollò la polemica: "Forza ragazzi, facciamole la corte, devi dire. Così ci stiamo dentro tutti. Anche tu". L'ebbrezza di Castellacci piegò verso il piagnucoloso. "E no, così non vale. C'è una sillaba in più. E' una porcata, ecco…". "Ah! - tuonò nuovamente il sergente, puntandogli il dito contro il petto - Sicché tu preferisci passare da poetastro vigliacco piuttosto che da soldato?". "Beh - farfugliò il novello poeta - io rientrerei nel verso successivo, dove potrei dire: diamole un bacio sotto la mitraglia. Col diamole, implicitamente mi associo anch'io. O non basta?". "Fate un po’ come vi pare - sentenziò il sergente - ma ora tutti a letto!". "E poi? Come finisce?" chiese sottovoce Raoul a luci spente, singhiozzando per il tanto vino bevuto. Il legionario Castellacci mobilitò i residui lumi ancora non appannati dall'alcol e, dopo qualche secondo, sparò: "Lasciamo le altre donne agli imboscati!". "Beati loro!" esclamò il Chiorba prima di riaddormentarsi.

Il resto accadde il giorno dopo a mente fresca. Il sonetto fu messo in bella copia e passato al giornalino del battaglione, "Viva l'Italia!". Fu pubblicato col titolo incauto di "Canzone strafottente". Il brano saltò all'occhio di qualche colonnello degli alti comandi: se canzone era, bisognava musicarla. E così fu. Una settimana dopo il testo fu stampato in migliaia di manifestini, quindi trasmesso e imposto a tutti i battaglioni. Per la cronaca, passò la versione zoppa: "facciamole la corte". Gli alti comandi non potevano accreditare il sospetto che, anche per un solo istante, un legionario esitasse a corteggiare la "signora morte" e mandasse avanti gli altri. La cantarono in tanti. O meglio, tutti: dai legionari della Guardia Nazionale Repubblicana agli squadristi delle nasciture Brigate Nere, essendo il cantare l'attività principale delle schiere armate della R.S.I.

Va comunque detto che la pretestuosa asserzione iniziale circa l'indisponibilità delle donne, era venuta presto a cadere. I legionari si trovarono assediati da femmine, giovani e stagionate, tutte ansiose di provar loro in modo palpabile il contrario. Nell'estate del 1944, poi, un intero battaglione di Ausiliarie (il S.A.F. era sorto da appena due mesi) fece visita al comando del battaglione di Castellacci. Al cenno della comandante, ferme sull'attenti nelle loro uniformi nuove di zecca, piedi e tette ben allineate, le Ausiliarie levarono un canto su musica e argomento ben noti: "Le donne non vi vogliono più bene…". E giù una serie di risposte e smentite alla vecchia "Canzone strafottente". Le care figliole avevano parafrasato il sonetto, contestandolo. Si erano messe in gara con la "signora morte", offrendo ai fratelli in camicia nera il loro carnoso abbraccio. Non valeva la pena, a detta loro, crucciarsi per il mancato affetto delle altre, perché "…A voi fascisti, a voi non si conviene / chi rinnegò la patria e la bandiera, / chi si donò al nemico tutta intera, / chi ha stoppa in capo ed acqua nelle vene…". Il canto, noto come "La risposta delle donne", divenne anch'esso uno dei più diffusi del repertorio delle Ausiliarie.

Video: https://youtu.be/gTnZ5CMxZr4

Testo:

Le donne non ci vogliono più bene / perchè portiamo la camicia nera.
Hanno detto che siamo da catene / hanno detto che siamo da galera.

L’amore coi fascisti non conviene. / Meglio un vigliacco che non ha bandiera,
uno che non ha sangue nelle vene, / uno che serberà la pelle intera.

Ce ne freghiamo. La Signora Morte
fa la civetta in mezzo alla battaglia,
si fa baciare solo dai soldati.
Sotto ragazzi, facciamole la corte!
Diamole un bacio sotto la mitraglia!
Lasciamo l’altre donne agl’imboscati.

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