Casale e quella rovina chiamata Eternit
25 August 2016
di Mariangela Mombelli
<<Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – “tienitelo, caro: ripasserò tra otto o dieci mesi!>>. Sono le parole che l’uomo dal fiore in bocca, nell’omonima commedia di Pirandello, dice all’avventore incontrato in un caffè notturno, raccontando della morte che ha addosso. Mesotelioma si chiama a Casale Monferrato, dove la morte è continuata a passare in tutti gli anni di attività dell’Eternit (dal 1907 al 1986) e ha ficcato i filamenti cristallini dell’amianto, il cosiddetto “polverino”, nelle cellule che rivestono le cavità sierose del corpo (pleura, peritoneo, pericardio, ecc.) dei casalesi dando loro appuntamento a distanza di molti, molti anni 20 – 25 - 30... E non importa essere stati esposti professionalmente all’amianto, basta aver vissuto e respirato a Casale negli anni di attività della fabbrica per essere potenzialmente a rischio di sviluppare il mesotelioma, tumore che, una volta diagnosticato, lascia poche speranze di vita. E’ proprio di questi giorni la notizia della morte di Giuseppe Manfredi, presidente di Afeva (Associazione Familiari e Vittime Amianto), che a fine 2014 raccontava a un cronista de La Stampa: <<Guardi, laggiù, al fondo della strada. Lì c’era l’Eternit. Quando tirava vento, la polvere bianca si incanalava dentro questa via stretta e sbucava proprio qui, fra le case del centro storico. Qui hanno iniziato ad ammalarsi e a morire i primi che non avevano lavorato in fabbrica. Quelli come me. Tutti, identicamente, passati da un calvario inutile. Chemioterapia. Analisi. Liquido di contrasto. Mi hanno fatto in tutto 46 iniezioni di cortisone. Sono arrivato a pesare 92 chili….>>. Quella dell’Eternit è una lunga storia strettamente legata allo sfruttamento minerario della prima Rivoluzione Industriale. Il brevetto del fibrocemento è del 1901 ad opera di un ingegnere austriaco; poco dopo, Alois Steinmann acquisisce i diritti di produzione del materiale e fonda in Svizzera la Schweizerische Eternitwerke AG. La licenza italiana è affidata all’ingegnere Adolfo Mazza che nel 1907 fonda lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato su un’area di 94.000 mq. Alla produzione iniziale di soli elementi di copertura, viene via via affiancata la realizzazione di tubi a pressione in cemento-amianto largamente utilizzati per la costruzione delle reti idriche, ma è con la ricostruzione del dopoguerra che l’utilizzo dell’Eternit, che ha eccezionali proprietà di resistenza al fuoco e di isolamento termico ed elettrico, oltre che un basso costo, vede un vero e proprio boom anche nella produzione di oggetti di uso comune e di design come le poltrone e le sedie in cemento-amianto. Il materiale viene anche impiegato su larga scala in campo ferroviario per la sostituzione a scopo ignifugo delle vecchie coperture in sughero dei vagoni. L’Eternit, che nel corso della sua attività ha registrato più di 5000 assunzioni, per molti anni è il volto operaio della città di Casale, “il posto sicuro” dove trovare lavoro. Solo verso la fine degli anni Settanta la tossicità dello stabilimento comincia a essere messa in relazione al verificarsi di un numero sempre maggiore di patologie quali l’asbestosi e il mesotelioma. La prima causa civile contro l’Eternit che accertò la pericolosità degli ambienti dello stabilimento di Casale è del 1981 e per tutti gli anni Ottanta si susseguirono manifestazioni e proteste per la chiusura e la bonifica dell’area dello stabilimento, che cessò l’attività nel 1986. La legge 257 del 1992 mise al bando definitivamente l’utilizzo dell’amianto e iniziarono le opere di bonifica dall’amianto dei siti pubblici e privati nei quali il materiale era stato ampiamente utilizzato, tra cui scuole, ospedali, cinema. Non meno lunga è la storia della lotta per la giustizia per le morti per amianto. Nel 1993 ci fu un primo processo che si concluse con pene molto miti per l’inosservanza di disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. L’inchiesta successiva ha inizio nel 2004 e dopo cinque anni di indagini viene chiesto il rinvio a giudizio per disastro doloso ambientale per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne (morto nel 2013), ritenuti responsabili della fabbrica fino alla sua chiusura. Nel dicembre 2009 ha inizio il processo, che diventa immediatamente simbolo della lotta per la sicurezza negli ambienti di lavoro e che termina nel 2012 con la condanna degli imputati a 16 anni di reclusione. Nel 2013 il processo d’appello riconosce il disastro colposo e condanna Schmidheiny a 18 anni. Ma a novembre 2014 la Cassazione riesce a scrivere una delle pagine più vergognose e ingiuste della giustizia in Italia cancellando il reato dichiarato prescritto. Purtroppo gli effetti dell’esposizione all’amianto non cadono in prescrizione e a Casale Monferrato e negli altri siti italiani in cui si è lavorato l’amianto si continua a morire. La Procura di Torino avanza quindi una nuova richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Schmidheiny per omicidio volontario continuato, ma per supposte ragioni di costituzionalità il nuovo processo subisce un stop di un anno in attesa del parere della Consulta, che nel luglio scorso fa finalmente ripartire il processo per omicidio volontario lasciando aperte molte porte per l’esito sia per quanto riguarda i nuovi casi che per quelli già oggetto del primo processo. La scia delle morti per amianto a Casale Monferrato ha le caratteristiche di un genocidio: <<Il fatto è che non c’è gruppo familiare a Casale che non sia stato toccato dalle conseguenze dell’inquinamento da amianto: tutti hanno avuto almeno un parente, almeno un amico morti per mesotelioma – ci racconta il dott. Massimo Miglietta, da trent’anni medico di base a Casale Monferrato - . A Casale quando si sente un dolore al torace, si ha una tossetta insistente o magari manca un po’ il fiato il pensiero corre subito lì : ho vissuto nella città dell’Eternit, ne ho respirato la polvere avrò mica il mesotelioma? Si va al più presto dal medico: ho questi disturbi, mi può mica “sentire” ? Non visitare, fare la diagnosi, prima di tutto escludere che si tratti del tumore della pleura, che ci sia “l’acqua nei polmoni”, poi va bene (quasi) tutto : bronchite, artrosi, dolore intercostale ma anche un’ernia del disco o un “fuoco di Sant’ Antonio", tutto accompagnato da un sospiro di sollievo, per fortuna nella maggior parte dei casi. A volte no, si sente qualcosa, nel modo più tranquillizzante possibile si prescrive un Rx del torace “facciamo una lastra, così vediamo e stiamo tranquilli”, si mette l’urgenza, a Casale nessun radiologo la contesterà e d’altra parte ci sono ben poche persone che resisterebbero i 10-15 gg canonici per la prenotazione. Il giorno dopo si sa già : magari tornano dopo aver già fatto la visita pneumologica perché effettivamente “qualcosa” c’era, e a quel punto anche senza la diagnosi certa si sa che le probabilità della neoplasia qui sono rovesciate rispetto agli altri posti, potremmo dire 20 a 1, per indicare una cifra vicina alla realtà. Inizia una trafila che molti conoscono già, hanno già vissuto da vicino o ne hanno sentito parlare. Si cerca di accedere alle ultime cure, a volte accettando la roulette russa della sperimentazione: non sapendo se riceverai il nuovo farmaco dall’efficacia non ancora provata o un placebo. Si fruga nella memoria per cercare qualcuno che sia sopravvissuto più di 2-3 anni e non trovandolo si spera di essere tra i primi ad avere quella sorte, per ora una speranza.>> Casale Monferrato è una comunità resiliente, capace di autoripararsi e che non può rinunciare a resistere perché la sua gente continua a morire. <<Spesso parlando di città o paesi si usa il termine comunità, - ci dice ancora il dott. Miglietta, - Casale Monferrato non lo è ne’ più ne’ meno di altre, ma ha saputo esserlo in modo tangibile e condiviso quando si è mobilitata all’epoca del processo Eternit. Quando il sindaco e la giunta di centrodestra, con il tacito accordo di buona parte dell’ opposizione di centrosinistra in consiglio comunale, avevano deciso di ritirarsi quale parte civile dal processo contro il proprietario dell’ Eternit Stephen Schmidheiny in cambio di un risarcimento in denaro, a migliaia i cittadini hanno gridato il loro no, davanti al municipio, in strada, in televisione con una voce che si faceva forte non della certezza di vincere ma del diritto a veder riconosciuta la propria sofferenza con una condanna che puntualmente c’è stata, riconosciuta giusta in tutti i gradi di giudizio, “solo” non perseguibile perché prescritto il reato, perché la fabbrica è chiusa da troppi anni…>> .
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