DAVIDE BRANDI RACCONTA LA SUA STORIA NAPOLETANA
10 February 2017
di Clelia Moscariello
Davide Brandi “La storia che non conoscono i napolitani è la stessa che non conoscono tutti gli italiani.”
Davide Brandi, scrittore, poeta ed attivista politico per l’associazione “Lazzari e Briganti” organizza corsi di lingua napoletana. www.ilgiornaledelricordo.it ha scoperto un po’ di più di questa associazione e le idee che la supportano.
Davide Brandi, nasce a Napoli, a maggio del 1967. Sin dalle scuole elementari si è rivelato scrittore in erba componendo poesie e poi "contestatore logico" ma pacifico alle scuole medie inferiori e superiori allorquando gli imponevano di studiare testi quali il libro “Cuore” ed i “Promessi Sposi, ritenendoli ben lontani dalle "essenze" vitali del territorio natio. Frequenta l'ITC A. Diaz, nel cuore dei Decumani a Napoli, la stessa scuola dell'alunno Pino Daniele, e di lui ne vive, assaporando le canzoni e condividendo le emozioni con la città. Insieme ad altri amici "diazzini" formano un gruppo e si fanno chiamare "Lazzari Felici". Dopo il diploma decide di partire volontario nella Folgore, dove si brevetta paracadutista, ma dopo un anno di servizio lascia l'esercito perché non ne condivide le ideologie. Torna a Napoli e si iscrive all'Università che lascia poco dopo perché ritiene il sistema scolastico italiano arcaico (impone insegnamenti "noiosi" anziché esaltare le doti dei singoli). Comincia a lavorare come informatico in un Ente privato e poi come amministrativo. Durante gli anni non smette mai di scrivere. Poesie, racconti brevi, romanzi. Ma inesorabilmente finisce tutto nei cassetti e poco dopo nei cassonetti, quasi a voler nascondere quella parte di sè. Poi i social network. I vecchi amici ritrovati, quelli di Lazzari Felici, e con loro si decide di riformare un gruppo per chiamarlo "Lazzari e Briganti - la banda del principe". E si ricomincia a lavorare per Napoli, per riportare dignità ad un popolo schiacciato dal peso di un'unità mai chiesta. Le manifestazioni culturali, i corsi di lingua napoletana, la riscoperta del patrimonio artistico e storico di Napoli. Ed insieme a tutto ciò l'incoraggiamento a pubblicare le poesie ed i primi libri. www.ilgiornaledelricordo.it intervista questo scrittore, poeta ed attivista dell’associazione “Lazzari e Briganti” , associazione, che tra le altre cose organizza corsi di lingua napoletana in tutta la città di Napoli.
Quale è la storia che i napoletani non conoscono e che tu ti proponi di far conoscere ? <<La storia che non conoscono i napolitani è la stessa che non conoscono tutti gli italiani. Ma non sono io che “propongo” di farla conoscere. Ci sono ricercatori storici che già da tanti decenni hanno scovato negli archivi di Stato documenti che testimoniano che l’unità d’Italia non è andata proprio come ci hanno insegnato nelle scuole. Anzi, per molti aspetti è proprio l’esatto opposto. Ci sono movimenti così detti “meridionalisti” (termine orribile) che da anni diffondono le verità sul brigantaggio, sulle infami congiure che portarono alla fine non solo del Regno delle Due Sicilie, ma anche di Stati con una propria identità quali lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana. I numeri sui primati del Regno delle Due Sicilie e dello splendore di una capitale quale era Napoli, sono oramai evidenti ma non noti. Basta fare qualche ricerca utilizzando il web. Quel che faccio io e quel che fa tutto il gruppo “Lazzari e Briganti – la banda del principe”, non è altro che il riportare l’eco di tali ricerche e diffonderle attraverso i social network ed attraverso una serie di iniziative culturali>>.
Organizzi dei corsi di lingua napoletana, la lingua napoletana è riconosciuta come lingua dall’Unesco ma non costituisce il patrimonio dell’Unesco, sei d’accordo ? <<La lingua napolitana (scritto con la lettera “i” e non con la “e”, perché si è sempre detto e scritto così e lo si scrive così in quasi tutte le lingue del mondo tranne che in italiano, quasi come a portar un marchio a vita, un’ennesima umiliazione) è riconosciuta dall’Unesco ed anche dagli standard internazionali ISO per la classificazione delle lingue attraverso i codici ISO 639-2 e ISO 639-3. Ha origini antichissime e non deriva dall’italiano come qualcuno vuol far credere. Ma è una lingua romanza e quindi derivata dal latino. Conserva anche tracce dal greco e dalla lingua osca. Nel corso dei secoli inoltre, ha subito diverse contaminazioni dal francese ed in particolare dallo spagnolo, ma anch’esse derivate dal latino. Non è patrimonio Unesco, come è giusto che sia, altrimenti anche la lingua navaho e tante altre dovrebbero esserlo. Patrimonio Unesco è invece il Centro Storico di Napoli, i decumani>>.
Cosa pensi del Regno Borbonico? <<Il Regno di Napoli, e poi Regno delle Due Sicilie, fu uno Stato che raggiunse un livello internazionale di primordine. Ci sono studi di esperti in vari settori che lo pongono all’avanguardia in tutti i campi: dai servizi sociali a quelli lavorativi, dall’istruzione alla sanità, dalla ricerca scientifica alla produzione industriale, dal commercio internazionale alla flotta mercantile (seconda solo a quella inglese) e militare. Per non parlare poi dell’economia. Una recente ricerca del Sole 24 Ore ha considerato il Regno delle Due Sicilie con la stessa forza economica dell’attuale Germania. Si pensi che al momento dell’unità d’Italia, nelle banche del Regno c’erano i due terzi di tutte le ricchezze degli altri Stati. La Campania e la Calabria erano le regioni più ricche ed industrializzate d’Italia, mentre ora la stessa Calabria, da recenti statistiche risulta la più povera d’Europa. Dove sono finite tutte le industrie meridionali dopo l’unità? Pensiamo ad esempio alle 80 filande siciliane, che dopo il 1861 scomparvero misteriosamente per riapparire poco dopo nei pressi di Biella, in Piemonte. Pensiamo all’industria ferroviaria di Pietrarsa, a Napoli, che produceva locomotive e vagoni, chiusa con la forza del nuovo Stato liberatore per trasferirla al nord (nota la strage degli operai che furono sparati dai bersaglieri perché manifestavano contro la chiusura). Pensiamo ai fiorenti cantieri di Castellammare di Stabia, notevolmente ridimensionati per trasferire la produzione a Genova. Pensiamo all’imponente acciaieria di Mongiana, in Calabria, avanguardia industriale che dava lavoro a 1.500 operai. E pensiamo alle inestimabile riserve auree presenti nei caveau del Banco di Napoli, interamente “trasferiti” a Torino. Bene. Mi dica Lei. A chi ha giovato l’unità d’Italia? Dal 1861 il popolo duosiciliano ha conosciuto un fenomeno sino a quel momento sconosciuto: l’emigrazione. Milioni di persone, che sino a quel momento vivevano senza problemi, furono costrette ad andar via ed il territorio perse la cosa più preziosa: il capitale umano. Ed insieme a questo le memorie, la lingua, le tradizioni. Ed oggi giorno non è che la situazione sia molto dissimile da quanto detto. Migliaia e migliaia di ragazzi sono costretti ad andar a vivere nelle regioni del Nord e all’estero per sperare in una vita più dignitosa. E qui continuiamo a perdere i “migliori”, la forza umana necessaria a far cambiare le cose nel proprio territorio. Gli attuali investimenti statali non sono da meno. Basti guardare, ad esempio, alle ferrovie, le strade ed autostrade, i collegamenti aerei. Basta osservare una cartina geografica. Anche un bambino capirebbe subito il divario tra nord e sud. Gli investimenti statali finiscono tutti al nord, e pure, secondo i dati pubblicati recentemente dalla CGIA di Mestre, le città d’Italia dove si pagano più tasse sono proprio quelle del sud. Non vi pare che ci sia qualcosa che non torni?>>.
Cosa ti proponi di far comprendere diffondendo la cultura della lingua napoletana con i tuoi corsi? <<Nel libro del riso di Milan Kundera si legge: "Per liquidare i popoli si comincia col privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E, intorno, il mondo lo dimentica ancora più in fretta. "E la lingua? Perché dovrebbero togliercela? Non sarà più che folclore, e prima o poi morirà certamente di morte naturale". Ecco, mantenere viva la lingua equivale a mantener in vita un popolo. Attraverso i corsi di lingua napolitana cerco solo di ridare dignità ad un popolo che in questa globalizzazione incontrollata che ci vuole tutti uguali, rischia di perdere la propria identità. Essere napolitano non vuol dire chiudersi ideologicamente dentro le mura della città e rinnegare tutto ciò che è diverso da noi. No, niente di questo, anzi, esser napolitano vuol dire aprire gli occhi, esser libero di pensare e mostrarsi fiero, stringendo la mano ed imparando e scoprendo anche da tutti gli altri>>.
Tu scrivi poesie in lingua napoletana, è una scelta ideologica ? <<Scrivo anche poesie in lingua napoletana, vero. Ma semplicemente perché è la mia lingua, e poi perché il napolitano si sposa alla perfezione con l’arte, con la musica, con la poesia>>.
Cosa ti ha ispirato per il tuo libro “Buongiorno amore”? <<"Buongiorno Amore", edito da Edizioni Eracle, è una raccolta di poesie scritte in lingua italiana. Si parla dell’amore a 360 gradi. I primi battiti dell’innamoramento, la passione, la delusione, l’abbandono, il ritrovarsi, la noia del rapporto di coppia. Sono emozioni vissute sia in prima persona che “catturate” nelle vite e negli occhi degli altri>>.
Infine, cosa vorresti per migliorare la città di Napoli ? <<Napoli è una città con tremila anni di storia, culla di civiltà, quindi con radici profondissime e conserva un’identità ben marcata. Ma tutto questo non lo scopro io.Vorrei che ci fosse più presenza delle istituzioni centrali, perché Napoli non può e non deve andare in giro nel mondo col marchio di “Gomorra”, proprio perché Napoli è anche e soprattutto ben altro. Io son convinto che se ci fosse davvero volontà ferma delle istituzioni nell’eliminare le mafie, e non solo da Napoli, ma da tutte le città d’Italia, basterebbe un’azione mirata che parta dai vertici politici e giunga sino nell’ultimo buio vicoletto della città, e nel giro di un mese si risolve il problema. Si dovrà poi intervenire nel far funzionare seriamente la scuola, esaltando le singole personalità degli studenti e non “imponendo” inutili percorsi didattici e valorizzando e gratificando gli insegnanti. Si dovrà intervenire nell’agevolare il “sano” sviluppo economico e turistico affinché crei posti di lavoro e possibilità per i giovani. Non sono utopie, ma questione di volontà, che a quanto pare risiedono solo negli Enti locali e non in quelli nazionali. Sarebbe il caso di “governarsi” da soli ?>>.
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