I Beatles e quell'insolito concerto sul tetto23/1/2020

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I Beatles e quell'insolito concerto sul tetto23/1/2020

di Giovanni Curatola

Londra, giovedì 30 gennaio 1969. E’ quasi mezzogiorno quando, sul tetto di Savile row n.3 dove ha sede la Apple Corps da essi creata, i Beatles si esibiscono per l’ultima volta dal vivo. E’ un miniconcerto di 42 minuti, nato quasi per caso e interrotto dalla polizia al 13° brano (“Get back”). In realtà i brani veri e propri sono 5: oltre appunto “Get back” (proposto 3 volte: all’inizio, durante e alla fine), Don’t let me down e I’ve got a feeling (2 volte ciascuno), quindi “One after 909 e “Dig a Pony. In mezzo, 4 strimpellate di pochi secondi l’uno, fra cui l’inno inglese “Good save the queen. Ricorderà qualche tempo dopo il batterista del gruppo, Ringo Starr: «C'era l'idea di suonare dal vivo in qualche posto. Ci stavamo domandando dove saremmo potuti andare. Magari il Palladium o il deserto del Sahara. Ma avremmo dovuto portarci dietro tutta la roba, così decidemmo: "Saliamo sul tetto!».

Il gruppo, a quella data, è pur sempre ancora il più famoso del pianeta. Il successo e le vendite dei suoi prodotti musicali sono sempre all’apice, l’idolatria riservatagli dai - e soprattutto dalle - fans è sempre intatta. Ma da un anno, più o meno dal ritorno di un loro viaggio in India in cerca di meditazione trascendentale (primavera 1968), i 4 Beatles sono in crisi con sé stessi. Non sono più la squadra affiatata degli anni addietro. L’amalgama e la serenità di un tempo lasciano ora il campo a tensioni, battibecchi (dai più ai meno frivoli), dovuti un po' alla stanchezza, un pò all'assuefazione al troppo successo (può sembrare paradossale, ma quando a 20 o 30 anni ti piombano addosso una notorietà e una montagna di soldi spropositata, pur anche meritata, può anche essere così...), un po' per nuovi progetti non più comuni a tutti e 4 ma che aggiungerà pure contenziosi legali (John Lennon e Paul McCartney fondano in questi mesi una società di produzione, la “Apple” per promuovere all’insegna di un “comunismo occidentale” artisti e forme d’arte d’ogni genere, ma poi divenuta una dispendiosissima e quasi fallimentare etichetta per i soli propri album). Infine, come ciliegina sulla torta del disfacimento, la comparsa di Yoko Ono, nuova compagna di Lennon mal digerita dal resto del gruppo per la sua presenza ossessiva a tutte le sessioni di prove: presenza condita da interferenze e consigli non richiesti (ancor oggi la Ono è additata dall’opinione pubblica come il motivo di rottura del gruppo. Non fu l’unica causa, ma certamente ne diede una forte accelerata, portando il suo John sempre più lontano dal resto ella band e verso nuovi sentieri (d'arte, di musica, ma anche di droga pesante). Il risultato ottenuto da questo mix disgregante, a fine 1968, è l’uscita di un doppio disco (“The Beatles”, meglio noto come “White Album”) che, al di là dell’indubbia qualità e del successo all’altezza dei precedenti, denota come rispetto ad essi non si tratti più di un lavoro corale, bensì di 4 lavori indipendenti, registrati singolarmente e ciascuno secondo uno stile proprio, diverso ed autonomo rispetto agli altri 3. Frattanto il regista del gruppo, George Martin, infastidito dai continui litigi e capricci dei 4, li abbandona a se stessi nonostante un vaga idea in essere di ritorno alle origini, con musica più in presa diretta e meno elaborata elettronicamente. Un progetto chiamato non a caso “Get back” e di cui, i primi giorni del 1969, iniziano le prove.  

Si arriva così al concerto sul tetto del 30 gennaio (1969). Quando i Beatles iniziano a suonare, pochi minuti prima delle 12.00, per gli impiegati degli uffici e dei negozi è quasi pausa pranzo. L’insolito concerto, a cui assistono una ventina di persone in tutto inclusi gli impiegati delle “Apple” e gli addetti alle riprese video, catalizza ovviamente la curiosità e lo stupore dei passanti incuriositi, poi di sempre più gente richiamata da quelle note. In pochi minuti i tetti circostanti e la strada, 5 piani più in basso, si vanno così affollando. Ne risentono sia il traffico della zona che qualche direttore o titolare di negozio, che vorrebbero che i loro impiegati rientrino al lavoro. Arriva così la polizia, che dietro minaccia d’arresto entra alla “Apple” e sale sul tetto, trovandosi così al cospetto dei 4 musicisti più famosi al mondo: Lennon infagottato nella pelliccia della sua onnipresente compagna, Ringo Starr avvolto in un improbabile pastrano rosso fuoco, George Harrison coi suoi altrettanto improbabile pantaloni verde chiaro, quindi un McCartney dalla barba mai così folta ed impeccabile nel suo vestito scuro senza soprabito (evidentemente l’unico a non sentir freddo). Pur capendo subito il motivo della presenza di quei 4/5 agenti, il gruppo continua a suonare ancora. Finisce “Don’t let me down”, in corso al momento dell’irruzione dei gendarmi, e attacca per la 3° volta “Get back”, che sarà l’ultima esibizione dal vivo della storia dei Beatles. La polizia attende paziente: d’altronde non si tratta mica di far sloggiare quattro suonatori da strada. Sono le 12.35 quando, col manager del gruppo che stacca gli amplificatori e con la famosa battuta di Lennon: “Grazie a nome del gruppo, spero che abbiamo passato l’audizione”, cala il sipario su quest’esibizione improvvisata. Che, non solo perché l’ultima “live”, resterà scolpita nell’immaginario collettivo e nella storia della musica stessa.

Finiscono i concerti dal vivo, ma la vita dei Beatles prosegue. Forzata, per ancora poco più di un anno. La “Apple” intanto, mal gestita, continua a divorare soldi su soldi, e sul nome manager che dovrebbe risanare il pauroso deficit si consuma il contrasto più acceso tra i 2 elementi più creativi del gruppo, un tempo inseparabili, concordi e solidali su tutto: Lennon e McCartney. Gli strascichi legali delle “Apple” si ripercuotono come fulmini sui già tesi rapporti interni del gruppo. Ringo prova a mediare come può, ma quando alle primedonne si aggiunge, con pari egocentrismo, anche la terza, George Harrison, che con Lennon condivideva l’uso dell’LSD, il giocattolo si rompe definitivamente. Fra continue accuse reciproche e reciproche insoddisfazioni di arrangiamenti altrui che portano all’accantonamento del progetto “Get back” si impone la EMI (la casa discografica londinese con sede ad Abbey Road) che avendo i 4 sotto contratto di fatto gli impone un ultimo disco entro l’anno. Così, praticamente da separati in casa, i Beatles lavorano e registrano fra luglio e agosto le loro ultime canzoni della loro storia. Per aiutare a riappianare temporaneamente i contrasti interni, viene richiamato il vecchio manager George Martin. E come quelle squadre di calcio che, pur con lo spogliatoio spaccato, ottengono buoni risultati sapendo che saranno gli ultimi, grazie all’ultimo moto orgoglio dei propri fuoriclasse, così la qualità dei Beatles permette loro di produrre, al di là dei contrasti interni, quello che una fetta di critica e di pubblico – e per chi svrive - sarà il loro album più bello, “Abbey Road” (per un’altra fetta è invece “Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, 1967). “Abbey Road”, album sublimato dalla celebre copertina dei 4 che attraversano, in fila indiana e con passo quasi sincronizzato, le strisce pedonali dell’omonima strada dove la EMI ha i suoi studi, risulterà anche per la biografia del gruppo di “wikipedia” il testamento artistico del gruppo. E il fatto che la “camminata sulle strisce” avvenga con la EMI alle spalle e non in direzione opposta verso la EMI, non è casuale: il gruppo, nato 10 anni prima a Liverpool, forgiato nei primi anni ’60 alla “Kaiserkeller” di Amburgo (Germania), dove si esibiva anche per 7/8 ore al giorno, e approdato a metà del decennio, con “Help!” (1965) e “Revolver” (1966) a un successo internazionale strepitoso e senza precedenti nella storia della musica, annuncia di fatto la sua fine. Da qui in avanti, ognuno continuerà il suo percorso artistico singolarmente, da solista o (come nel caso di Lennon e McCartney) fondando altre band.

A fine 1969, John Lennon e George Harrison consegnano infine al produttore Phil Spector il lavoro di “Get back”, precedente ad “Abbey Road” ma che non ha ancora visto la luce. Il tutto all’insaputa di McCartney, che saputolo si infuria doppiamente: per il colpo basso ricevuto e per il fatto che Spector ha appesantito notevolmente di effetti (fino a distorcerne la melodia, secondo Paul) i brani in questione, che vedranno l’uscita nel maggio 1970 nell’album dal titolo “Let it be” (proprio il brano composto da McCartney 2 anni prima, e col quale si era forse illuso di tenere ancora unito il gruppo). “Let ibt be” è dunque cronologicamente l’ultimo album dei Beatles, sebbene esca quando questi non esistano già più (l’atto di morte può considerarsi l’annuncio ufficiale dell’uscita dal gruppo di Paul McCartney, aprile 1970)  e senza l’approvazione di quest’ultimo, che 30 anni dopo riproporrà gli stessi brani da solista, “ripulendoli” dall’elettronica di Spector e riportandoli ai suoni originari col cd "Let it be...naked". Un conto rimasto in sospeso col passato che uno dei due Beatles superstiti (l’altro è Ringo Starr, mentre John Lennon finirà assassinato da un mitomane e George Harrison dilaniato da un tumore al cervello) ha comprensibilmente voluto saldare.

A proposito di Paul, oggi a 78 anni suonati se ne va ancora a tenere concerti, riproponendo tra il suo vasto campionario i brani più graditi al pubblico: quelli dell'era Beatles. Nel 2010 si esibirà un'ultima volta in Italia, a Napoli e a Lucca. Ma non è detto che la sua lunga carriera sul palco finisca qui. Inossidabile. Come quel giorno di 51 anni fa sul tetto di una Londra avvolta dalla nebbia e dall'inverno, quando col collo della camicia aperto e senza soprabito era l'unico a non sentire freddo...

Due link del concerto sul tetto del 30/01/1969:

https://www.youtube.com/watch?v=NCtzkaL2t_Y

https://www.youtube.com/watch?v=DhiGuAVHcfI

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