Gianfranco Chiti - Il soldato francescano2/12/2020

Memoria per Gianfranco Chiti - Il soldato francescano

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Gianfranco Chiti - Il soldato francescano2/12/2020

di Giovanni Curatola

Un ottimo militare divenuto poi altrettanto ottimo frate cappuccino. Al punto da meritarsi, in divisa, diverse decorazioni al valore e successivamente il grado di generale, e col saio, nientemeno che una causa di beatificazione. Parliamo di Gianfranco Chiti, nome oggi sconosciuto ai più ma degno di essere preservato dall’oblio. Novarese, classe 1921, Chiti uscì già a 18 anni dall’Accademia Militare di Modena col grado di sottotenente di fanteria (1939). Nel 1941, in piena guerra, entrò a far parte della divisione “Granatieri di Sardegna (3° reggimento) e assegnato al fronte jugoslavo prima e russo poi. Da tenente del 32° battaglione anticarro si distinse nella battaglia di Karkov (che fruttò agli italo-tedeschi il bacino del Donez) e soprattutto durante la tragica ritirata dell’ARMIR dalle rive del Don (dicembre ‘42/gennaio ’43). Qui, semicongelato alla gambe, si conquistò una croce di ferro tedesca di 2° classe e una medaglia di bronzo al valor militare con la seguente motovazione: “Comandante di un plotone di cannoni da 47/32 attaccato da ingenti forze nemiche, respingeva più volte col tiro preciso dei suoi pezzi le masse avversarie attaccanti…. Esaurite le munizioni, ricevuto l'ordine di ripiegare coi resti della compagnia e trovata la strada sbarrata da superiori forze avversarie, si metteva alla testa di un gruppo di animosi, le attaccava decisamente, aprendo la via al proprio reparto e facilitando il movimento delle altre forze che seguivano. Ansa di Verch-Mamon, mercoledì 16/12/1942". Rimpatriato, dopo l'8 settembre aderì alla Repubblica Sociale, sempre in seno ai Granatieri, e fu destinato a missioni anti-partigiane in Piemonte. Impedì sempre ai suoi di compiere atrocità, salvando così la vita a numerosi partigiani catturati (quasi 200, come riconoscerà don Bernardino Restagno, cappellano partigiano).

Dopo la fine del conflitto, il Tribunale militare lo scagionerà totalmente non ravvisando in lui alcuna colpa. Nel 1948 rientrò col grado di capitano nel ricostituito 1° reggimento “Granatieri di Sardegna” di cui, dopo una lunga missione in Somalia, divenne Aiutante in Capo (ossia vice-comandante) col grado di tenente colonnello. Dal 1969 al maggio 1970 fu vice-comandante della Scuola Allievi Sottufficiali dell'Esercito Italiano di Viterbo, quindi comandante, col grado di colonnello, dal 1973 al 1978. Sempre nel 1978 entrò nel convento dei Cappuccini di Rieti e nel 1978, dopo essersi congedato dalla Forze Armate, fu ordinato sacerdote. Nel 1990 su sua iniziativa fu ricostruito e adibito a luogo di culto l'antico convento di S. Crispino a Orvieto.

Chiti morì all'Ospedale militare del Celio (Roma) il 20 novembre 2004. Subito la città di Orvieto gli intitolò un giardino, mentre nel 2005 è stata aperta la causa di beatificazione, chiusasi 9 mesi fa (marzo 2019) nel Duomo di Orvieto. Agli attestati ricevuti in vita e da morto nei luoghi della sua azione pastorale (Orvieto. Pesaro, Gignese, Roma, Rieti, Viterbo e Villa Bartolomea, che gli concesse la cittadinanza onoraria, per meriti speciali) si somma il ricordo dei suoi ex allievi della Scuola Sottufficiali di Viterbo: …I suoi insegnamenti sono stati come un faro nella notte... Nessuno come noi, giovani appena svezzati dall’adolescenza, sognatori alla ricerca della strada giusta da seguire, ha potuto cogliere la genuinità di un grande uomo, un comandante che come un padre ci ha guidato, rincuorato, protetti. Siamo stati come suoi figli, egli ha riposto in noi ogni speranza di vederci forti, sicuri e leali verso la patria… I suoi insegnamenti vivono in noi, per diffondere le sue gesta, la sua fede, il suo pensiero di Santo

E se al di fuori della cerchia di chi l’ha conosciuto, la vita di Gianfranco Chiti è oggi poco nota, ancor meno lo è un episodio singolare che lo ha visto protagonista nel dopoguerra e con cui ci piace concludere queste righe: una rivincita morale che lui, vinto di Salò, è beffardamente riuscito a prendersi dalla posizione scomoda in cui era stato cacciato. Dunque, siamo alla fine degli anni ’60. Un 24 aprile sera, al reggimento “Granatieri di Sardegna” dove Chiti è vice-comandante, arriva dal Ministero della Difesa il seguente ordine: “Domani anche vs reparto dovrà commemorare il 25 aprile. At fine cerimonia, comunicare l’eseguito”. In assenza del comandante effettivo, fuori sede per missione, tocca al più alto in grado, Chiti, prendere la parola ed esaltare in quella data la Resistenza e la lotta di Liberazione.  Non può certo rifiutarsi, ma non vuole nemmeno andare contro i suoi sentimenti e gli ideali di quel passato che non ha mai rinnegato e per cui aveva combattuto. Come può parlare della Resistenza senza far torto ai suoi tanti camerati caduti a suo fianco? Uscire in poche ore dall’impasse non è facile, ma Chiti nella notte trova la soluzione. Così l’indomani, quando il reggimento è già schierato e le autorità tutte presenti, gli danno la parola. Diversi ufficiali e civili, alle sue spalle, già sghignazzano: Ecco, l’hanno incastrato! Ora deve per forza rinnegare il suo passato. Vediamo come se la cava…”.  E Chiti inizia ricordando, in generale, le glorie dell’Italia e dei suoi artisti, soldati, navigatori, scienziati ed inventori che tanto hanno dato all’umanità, per poi proseguire: “…Noi italiani dobbiamo essere orgogliosi di tutto questo, e in particolare della data del 25 aprile…”. Si sente qualche risata goffamente contenuta, ma Chiti non si scompone e prosegue: “… perché oggi, 25 aprile, ricorre la nascita di un grande italiano che con l’invenzione della radio ha rivoluzionato la vita di tutto il mondo: Guglielmo Marconi”.   Con la platea rimasta di stucco, si gira poi verso un suo ufficiale e gli fa: Ecco, puoi comunicare a Roma che abbiamo celebrato il 25 aprile”. Non passa neanche un quarto d’ora e la notizia esplode al Ministero come una bomba. I centralini impazziscono e la sede del reggimento di Chiti è tempestata di telefonate. Esigono spiegazioni per questo fatto così inaudito. “Ma chi ha parlato? Chi cazzo è questo Chiti? Da dove arriva?”Poi si viene a sapere: “E’ uno che ha militato nella RSI”. “Ah, e voi fate parlare uno così?”. Allo scambio di accuse segue l’ordine al comandante del reggimento di rientrare subito in sede. Questi si prende una bella ramanzina, poi convoca Chiti e con le mani sulla testa gli fa: “Figlio mio, ma che diavolo hai combinato?”. Con aria da finto ingenuo, Chiti risponde di essersi attenuto scrupolosamente a un'ordine ricevuto, che non specificava quale 25 aprile dovesse essere commemorato, e che comunque senza il genio di Marconi oggi non avremmo avuto la radio, bla bla bla... Basta Chiti!” - gli urlò infastidito il comandante - Io posso anche privatamente apprezzare il tuo passato, ma oggi non ne vuol sentir parlare più nessuno, specie in occasioni del genere!”. “Signor colonnello– risponde infine Chiti – lei capirà bene che mai e poi mai avrei potuto rinnegare la mia fede e i miei caduti”. E dal suo comandante, che sotto sotto capisce di non potergli dar torto, pur nel severo contesto di un rimprovero ufficiale Chiti riceve una velata, ma emblematica e gratificante, occhiata di stima.

 

Per chi volesse approfondire, sul sito https://www.granatieridisardegnapresidenza.it/la-nostra-storia/gianfranco-chiti si trovano video del frate, fra cui l'incontro con Giovanni Paolo II, la partecipazione a qualche programma televisivo e il suo processo di beatificazione.

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