di Giovanni Curatola
Ci sono persone a cui basta poco per lasciare un segno. Non occorrono lunghe frequentazioni o conoscenze decennali. E quello lasciato dal sig. Fabio, conosciuto 4 anni or sono, visto neanche una decina di volte e scomparso qualche ora fa, è di una lietezza inversamente proporzionale al poco tempo trascorso insieme. Vecchietto perbene e garbato, coniugava al meglio un’educazione sana e un’incrollabile fede religiosa a una carica di simpatia, originalità e vivacità tanto fisica (a dispetto dell’età) che intellettuale (amante com’era della musica e della cultura in genere).
E siccome su questa terra pare davvero che Dio li fa e poi li accoppia, nulla di più naturale che la sua allegria e il suo spessore morale siano confluiti, nella maniera più rapida, automatica e briosa possibile, in quelli della nostra famiglia, dove sia lui che suo figlio Marco, unito in matrimonio con una mia cognata, hanno trovato altrettanta fede in Dio, altrettanta onestà intellettuale, altrettanto amore per la musica ed altrettanta solarità, leggasi voglia di ridere e sorridere.
Indelebili, resteranno del sig. Fabio alcuni frammenti di memoria. Su tutti, le lunghe passeggiate in comitiva tra le “sue” montagne valdostane, dove, in considerazione dei chilometri che percorrevamo e del dislivello di alcuni sentieri intrapresi, chi scrive si interrogava spesso, tra sé, fino a che punto questo arzillo vecchietto potesse spingersi a chiedere al suo fisico, non più giovane. Fisico che lui sottraeva spesso al riposo anche per tirare due calci a pallone coi nostri figli, o per spingerli sull’altalena o per assisterli in attività per lui ancor più impegnative.
Resteranno i canti serali che il sig. Fabio, storpiandone a volte volutamente i testi, accompagnava con la fisarmonica. Resteranno le battute a tavola, specie quando voleva spacciare il suo bicchiere di vino come eternamente bucato per celare i centilitri già ingurgitati. Resteranno le composizioni a metà fra il poetico e il teatrale che aggiunsero frizzantezza e originalità ad un pranzo di Natale qui a Palermo. Resteranno le tante chiacchierate sul “suo” Milan e sul “nostro” Palermo, per il quale lui pure simpatizzava e di cui si informava sempre per telefono.
Resteranno infine, e questi sono ricordi esclusivamente personali, la mangiata di un'ottima fontina a un caseificio fuori Antey, il suo incantevole "buen retiro" valdostano, dove una mattina mi volle assolutamente portare e la caparbietà e l’orgoglio con cui, la prima volta che misi piede nella “sua” Magenta, mi portò a “Casa Giacobbe”, illustrandomi lì, davanti la facciata dell'edificio che riporta ancora le tracce di quell’avvenimento, tutto sulla battaglia risorgimentale del 1859 lì avvenuta. Fu una raffica inesauribile di notizie, manco un mitragliatore Stern, ma sapeva che il mio amore per la storia mi impediva di annoiarmi.
Se il seminato del sig. Fabio in campo lavorativo ha già dato i suoi frutti (e la conferma la dà lo studio che lui, avvocato, ha messo su e che ora, ben solido, ha potuto trasmettere ai suoi figli), quello in campo umano rimane .adesso patrimonio morale di Marco e di Donata, fortunatissimi nell’aver avuto rispettivamente un padre e un suocero così. Pensare più alla fortuna per quello che si ha avuto rispetto al vuoto per quello che si è perso, aiuterà a superare prima il dolore. Con chi scrive, poco tempo fa ha funzionato.
Buone camminate lassù fra le montagne celesti, sig. Fabio. Quaggiù le volevamo tutti bene. Queste righe, nel loro piccolo, spero contribuiscano a testimoniarlo.
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