Giorgio Caproni, l'essenziale1912-1990

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Giorgio Caproni, l'essenziale1912-1990

di Vittorio Esperia

Giorgio Caproni nasce a Livorno il 7 gennaio del 1912. Il padre di Giorgio, Attilio, figlio di un sarto che aveva fatto il garibaldino, era nato a Livorno e lavorava come ragioniere nella ditta dei Colombo, importatori di caffè. La madre, Anna Picchi, frequentò da ragazza il Magazzino Cigni, una delle case di moda allora in auge a Livorno. Fu donna d'ingegno fino e di fantasia, sarta e ricamatrice abilissima, suonatrice di chitarra. Gli anni tra il 1915 e il 1921 sono “anni di lacrime e miseria nera”: “dopo il richiamo alle armi di mio padre. Caproni impara a leggere da solo, a quattro anni, sulle pagine del Corriere dei Piccoli. È affascinato dai treni e sogna di fare il macchinista “con mio fratello trascorrevo ore, nei nostri liberi pomeriggi livornesi, sul cavalcavia nei pressi dell'acqua della Salute, gli occhi incantati sul rettifilo del binario dove, fra poco, o come per prodigio, sarebbe apparso il direttissimo delle 16 e 17 o il rapido (l'espresso, si diceva, allora) tutto vagoni-letto delle 19, che fascinosamente veniva chiamato Valigia delle Indie". Un trenino elettrico Rivarossi resterà, testimone di questo amore, per sempre in bella vista nel suo studio e con i suoi allievi, a scuola, userà i trenini per farli imparare giocando. Le prime letture “a Livorno, quando ancora facevo la seconda elementare, e anche il primo incontro con la Commedia dantesca che il padre comprava a dispense in “edicola, nella edizione Nerbini di Firenze con le splendide illustrazioni di Doré”. Su Livorno scriverà: “esisterà sempre, finché esisto io, questa città, malata di spazio nella mia mente, col suo sapore di gelati nell'odor di pesce del Mercato Centrale lungo i Fossi e con l'illimitato asfalto del Voltone ”. Dopo la nascita della terza figlia, Marcella, nel marzo del 1922 i Caproni, dopo una breve sosta a La Spezia, si trasferiscono a Genova, dove il padre, rimasto senza lavoro in seguito al fallimento della sua ditta, era stato assunto dall'azienda conserviera Eugenio Cardini, con sede nel palazzo Doria. "La città più mia, forse, è Genova. Là sono uscito dall'infanzia, là ho studiato, son cresciuto, ho sofferto, ho amato. Ogni pietra di Genova è legata alla mia storia di uomo. Questo e soltanto questo, forse, è il motivo del mio amore per Genova, assolutamente indipendente dai pregi in sé della città. Ed è per questo che da Genova, preferibilmente, i miei versi traggono i loro laterizi". Tra gli hobbies più curiosi coltivati in questi anni è da rilevare la passione per l'allevamento di piccoli rettili (tritoni, salamandre, lucertole). Finisce le elementari alla scuola Pier Maria Canevari e frequenta le complementari alla Regia Scuola Tecnica Antoniotto Usodimare, studiando contemporaneamente violino e composizione all'Istituto musicale Giuseppe Verdi, in Salita Santa Caterina (ottiene anche una medaglia d'oro per il solfeggio), dove si diploma nel 1925. Proprio studiando composizione Caproni racconta di avere scritto per la prima volta dei versi: "Da ragazzo studiavo armonia musicale, tentavo di comporre dei corali a quattro voci. Normalmente al tenore si affidano dei versi, che io attingevo dai classici più musicabili e piani, come Poliziano, Tasso o Rinuccini, finché un giorno mi accorsi che il mio maestro - questi versi - non li leggeva nemmeno. Da allora mi feci vincere dalla pigrizia e cominciai a scriverne di miei. È così che ho iniziato; poi il musicista è caduto ed è rimasto il paroliere, ma non è un caso che tutto questo sia accaduto a Genova, città di continua musicalità per il suo vento. Andavo al ponte dell'Alba, dove alla ringhiera ci sono dei dischi che fischiano una musica straordinariamente moderna. I miei versi sono nati in simbiosi con il vento". All'età di diciotto anni, Caproni abbandona le ambizioni di violinista, dopo aver molto faticato sul bellissimo violino Candi, prestatogli dal maestro Armando Fossa: «Ormai ero un giovanotto. Studiavo di giorno e la notte suonavo nell'orchestra di una balera. Le canzoni in voga erano "Noi che siamo le lucciole", "Adagio, Biagio"...Intendiamoci: suonavo anche nelle opere. Violino di prima fila. Tutti dicevano che avevo un brillante avvenire. Ma una sera, chiamato a sostituire il primo violino in un a solo della Thaïs di Jules Massenet, me la cavai abbastanza bene, però ebbi un'emozione tale che capii di non essere tagliato per quella professione. E a casa spezzai lo strumento. Avevo diciotto anni». I suoi interessi letterari invece: "Fino a diciott'anni non sono stato che un solitario studente di violino, alle prese con l'Alare o il Mazas o il Kreutzer, e di letteratura altro non ho saputo che quella imparata a scuola o comprata sulle solite bancarelle. Non solo: ma anche quando mi decisi a sotterrare, per scrivere i primi versi, il piccolo feretro nero della mia prima illusione, amorosamente portato sotto il braccio per tanti anni, nemmeno allora mi introdussi nel cosiddetto mondo letterario, ammesso che a Genova ne esistesse, in quel torno di tempo, uno". Scrive intanto, e copia a macchina, le prime poesie, «vagamente surrealiste, o forse futuriste», influenzato dalle pagine dell'«Italia letteraria» («i versi furono per me il surrogato della musica tradita»). Si impiega presso lo studio dell'avvocato Colli, in via XX Settembre, dove scopre e sottrae l'Allegria di Ungaretti, «vero e proprio sillabario» poetico: «M'insegnava infatti a ritrovare in casa nostra il sapore perduto della grande - semplice - poesia parola per parola, silenzio per silenzio». Risale a questo periodo anche l'incontro con gli Ossi di seppia montaliani, comprati su una bancarella nell'edizione Ribet del 1928: "M'incontrai per la prima volta con Ossi di seppia intorno al '30, a Genova, e subito quelle pagine m'investirono con tale energia. Montale ha per me il potere della grande musica, che non suggerisce né espone idee, ma le suscita in una con l'emozione profonda, e posso dire ch'egli è uno dei pochissimi poeti d'oggi che in qualche modo sia riuscito ad agire sulla mia percezione del mondo". Legge poi Cardarelli, i poeti della «Riviera ligure», Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Giovanni Boine, Mario Novaro e soprattutto Camillo Sbarbaro, incontrato anche su «Circoli», di cui Caproni diventa assiduo lettore. Invia alcune poesie proprio alla rivista Circoli che però vengono respinte da Adriano Grande con parole non troppo incoraggianti. "omesticata a ritmi cantabili». Al 1932 Caproni ha sempre fatto risalire il proprio vero esordio poetico. Le prime raccolte, "Come un'allegoria"(nel 1936) e "Ballo a Fontanigorda" (nel 1938), escono per l'editore genovese Emiliano degli Orfini. Dal settembre 1933 all'agosto 1934 compì il servizio militare nel 42º reggimento fanteria di stanza a Sanremo. Nel 1939, dopo un breve periodo a Pavia, si trasferisce a Roma, dove abiterà per tutta la vita, pur trascorrendo le estati a Loco di Rovegno, dove aveva insegnato in gioventù e conosciuto Rina Rettagliata, la compagna della vita e moglie dal 1937. Dopo essere stato richiamato alle armi, nel giugno 1940 fu inviato a combattere la fulminea campagna di Francia, che molti anni dopo avrà a definire «un capolavoro di insensatezza». Tale esperienza lo condusse in una fase di profonda riflessione e ripensamento, che però non gli impedì di esprimersi con toni celebrativi verso il regime in alcuni articoli pubblicati nella rivista Augustea tra il 1938 e il 1940. L'8 settembre 1943 si trovava a Loco. Posto di fronte all'eventualità di arruolamento nelle brigate della Repubblica di Salò preferì entrare nella Resistenza, attiva in Val Trebbia, svolgendo, come commissario del Comune di Rovegno, compiti essenzialmente civili. Fu per molti anni maestro elementare, iniziando a Casorate Primo la sua esperienza di insegnamento. Caproni è stato un fine traduttore dal francese (e più raramente da altre lingue). In particolare si ricordano le sue traduzioni di "Il tempo ritrovato" di Marcel Proust, "I fiori del male" di Charles Baudelaire, "Morte a credito" di Louis-Ferdinand Céline, "Bel Ami" di Guy de Maupassant, "La mano mozza" di Blaise Cendrars, "Il silenzio di Genova" e "Non c'è paradiso" di André Frénaud, "Nostra Signora dei Fiori", "Miracolo della rosa", "Querelle" di Brest, "Pompe funebri", "Diario del ladro", "Le serve", "Il balcone", "Sorveglianza speciale" e "I paraventi" di Jean Genet, "Max e Moritz" di Wilhelm Busch, "L'educazione sentimentale" (versione del 1845) di Gustave Flaubert, poesie di Guillaume Apollinaire, Federico García Lorca, René Char. Alcune sue traduzioni poetiche sono state raccolte in Quaderno di traduzioni, a cura di Enrico Testa, con prefazione di Pier Vincenzo Mengaldo (Einaudi, 1998), su progetto dello stesso Caproni, che dichiarò di non aver «mai fatto differenza, o posto gerarchie di nobiltà, tra il mio scrivere in proprio e quell'atto che, comunemente, viene chiamato tradurre». È sepolto con la moglie Rina nel cimitero di Loco di Rovegno.

Giorgio Caproni, Livorno 7 gennaio 1912 – Roma 22 gennaio 1990

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