Maria Rovida: le albe della nonna1909-1970
Maria Rovida: le albe della nonna1909-1970
di Rita Vecchi
Inverno 1972
Sono una bambina di dieci anni, che abita a Novara, in una zona di periferia e mi ritengo molto fortunata, perché la mia casa é circondata da giardini e da orti. Frequento la scuola in un Istituto del centro ed i miei compagni abitano quasi tutti in grossi palazzi, che si chiamano 'condomini', ma mi dicono che loro non mangiano le patate, o altra verdura, del loro orto: io invece sì, e sono molto contenta di questo!
Sono una scolara diligente ed amo molto studiare, anche se ogni tanto, a scuola, la severità della maestra mi spinge a mangiarmi le unghie, fino alle pellicine, che fanno così male quando sono strappate bruscamente dalle estremità delle dita; a volte, mi viene anche un po’ di male alla pancia! Ho sentito la mamma che si confidava con la nonna: “La Rita è troppo emotiva”! Non le ho chiesto nulla, ma, quando sono stata da sola con la nonna, con la quale mi trovo a mio agio, le ho domandato cosa volesse dire. La nonna mi ha spiegato che una persona emotiva è quella che si commuove facilmente in situazioni che, per la maggioranza della gente, sono quasi del tutto normali. “Ah… ho capito forse! Quando piango in Chiesa, a Natale, quando cantano “Tu scendi dalle stelle”, sono emotiva”- quasi mi vergogno nel pronunciare questa frase. “Sì, Rita, ma non ti devi preoccupare! Non è una cosa brutta…è un dono”- mi ha rassicurato la nonna, quasi sorridendo. Mi trovo proprio bene con lei, e quasi quasi non mi dispiace nemmeno che la mamma, a causa del suo lavoro, non possa occuparsi molto di me: la nonna ed il nonno mi bastano, perché sento che mi vogliono tanto bene.
La mattina comincia sempre molto presto, a casa mia: i miei genitori iniziano spesso alle sei del mattino il loro turno in Ospedale ed io mi preparo per la scuola insieme ai nonni. Mentre sistemo la cartella e ripasso la lezione della giornata, la nonna mi prepara la colazione e mi osserva, già intenta ai suoi lavori a maglia. “Sai, nonna, oggi vorrei proprio stare a casa con te. Ho guardato fuori dalla finestra: è tutto gelato. Si sta così bene qui, al calduccio! Potremmo dire alla mamma che sono ammalata…”- azzardo. “Rita…”- la nonna non deve nemmeno terminare la frase. Mi imbacucco bene e mi avvio verso l’uscita. La nonna mi ha già preceduta, per aprire il portoncino di casa, che è rivolto verso Est (ho imparato con una bussola costruita dal nonno ad orientarmi, utilizzando correttamente il nome dei punti cardinali, a soli quattro anni. Quando il nonno, che, secondo me SA tutto, mi insegna qualcosa di nuovo sono felicissima e non mi mangio nemmeno le unghie! La mia maestra dovrebbe essere come il mio nonno, quando spiega!).
“Guarda che alba! Osserva i colori... sono un incanto!”- esclama la nonna. Il cielo è di una bellezza commovente: il giallo, tenue e soffuso, sfuma in un rosa aranciato, che arriva ai miei occhi attraverso gli spazi lasciati liberi dall’intrico scuro dei rami del grosso albero di fico, che, nel gelo del mattino, sembra una creatura delle fiabe con le braccia alzate.
Guardo la nonna: ha saputo rendere meravigliosa anche quella mattina fredda e un po’ ostile! Le voglio proprio bene! Anche quando ero piccola, mi raccontava delle fate e delle creature fiabesche che abitavano le brughiere della mia pianura: adesso ho dieci anni e non credo quasi più alle favole, ma mi piace pensare che il cielo dell’alba sia dono degli Angeli. La nonna mi sistema la sciarpa e la cuffia, che naturalmente mi ha confezionato lei, e mi saluta con un sorriso. “Buona scuola e buon tornare presto”- è la frase rituale che, ogni mattina, mi porge il nonno, affacciato alla finestra, forse anche lui attirato da quel chiarore magico.
Da quella mattina in poi, la nonna ed io giochiamo al “gioco dell’alba”, per indovinare quale sfumatura prevarrà, là in fondo, verso l’indefinito e misterioso Est.
10 Dicembre 1993
Sono una donna di trentun anni. Non abito più a Novara; da sei anni vivo in Valle Vigezzo, nel paese di mio marito, ed ho un bimbo di cinque anni: il suo nome è Giovanni, come quello del mio nonno.
Ieri sera é morta la mia nonna Maria. Non ero al suo capezzale e mi sento tremendamente in colpa, oltre che annullata dal dolore. Oggi non vado a scuola; alle sei parto, anche se è buio: ha nevischiato e la strada è insidiosa. Durante il viaggio penso ai commenti idioti con i quali qualcuno ha voluto 'consolarmi': “Dai, era vecchia, aveva ottantaquattro anni. E poi ora non soffre più…”. Avrei voluto fulminarli. La mia nonna non era vecchia, non lo sarà mai: non può essere vecchia una persona che ti inonda il cuore con la luce dell’alba.
Guido con prudenza ed arrivo a Novara verso le sette e trenta. La cupola di San Gaudenzio si staglia nitida nei colori che accompagnano il sorgere del Sole: sono quasi gli stessi di quel mattino indimenticabile della mia infanzia.
La nonna è con me, non l’ho persa, non mi lascerà mai; il suo amore e forte, così come è impellente e imperioso il mio desiderio di scrutare i colori e gli aspetti del Cielo, a ogni ora, in ogni stagione.
Maria Rovida, Novara 25 Novembre 1909 - Novara 9 Dicembre 1993
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