India anno zero: l'arrivo a Gokarna, nel Karnataka10/1/2019

Memoria per India anno zero: l'arrivo a Gokarna, nel Karnataka

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India anno zero: l'arrivo a Gokarna, nel Karnataka10/1/2019

Testo e foto di Adriana Saja

Avevo concordato col taxista che del giorno precedente il tragitto da Bogmallo all’aeroporto di Goa, per prelevare il bagaglio, e poi andare a Gokarna, nel Karnataka, stato a sud di Goa, distante circa 150 km. Sapevo che mi sarei dovuta recare al custom undici, perché così mi avevano detto le signorine della AirIndia. Ritornata dunque in aeroporto all’orario convenuto intorno alle due del pomeriggio, mi recai speranzosa allo sportello che mi era stato indicato. E naturalmente dopo interminabili minuti di attesa, decine di telefonate, vari addetti che si susseguivano per occuparsi del mio caso, ancora il mio bagaglio non era arrivato. Si trovava sempre sequestrato a Delhi. A quel punto ero davvero seccata. E malgrado avessi capito che protestare è cosa perfettamente inutile in India, il mio carattere occidentale prevalse e cominciai con una una serie di recriminazioni sempre più vivaci, dicendo che la situazione era di grave disagio per me e che non potevo certo cambiare i miei programmi di viaggio per un qualcosa di inesistente, non avendo io nel bagaglio alcun power bank. Supposi che forse il mio errore era stato uscire dall’aeroporto a Delhi per fumare la famosa sigaretta, perché se fossi rimasta all’interno nella zona transito dell’aeroporto forse non sarebbe successo nulla. Infatti sulla mia carta d’imbarco era segnata una T (transit), mentre l’ingresso alla zona imbarchi dove ero stata fermata e rimandata indietro, consentiva l’accesso solo a chi avesse segnata una D. Ma più riflettevo su questo fatto, più mi convincevo che non c’entrava nulla. I controlli al detector li avrebbero fatti in ogni caso e dunque l’intoppo si sarebbe verificato lo stesso. Forse chissà anche peggio, ignara, sarei partita e tutti i bagagli sarebbero rimasti a Delhi. Il che sarebbe stato tragico. Pur tuttavia il dubbio mi rimaneva. Insomma cercavo di trovare una spiegazione razionale, non avendo ancora appreso che in India è semplicemente impossibile. Non esiste una logica consequenziale, tant’è che il power bank non è ammesso nel bagaglio da stiva, ma permesso in quello a mano! E difatti io l’avevo portato con me nella borsa. Sapreste motivarvene la ragione?

La pazienza è una virtù degli Indiani, non mia

I minuti passavano e il conducente del taxi mi aveva raggiunto al custom, perché tardavo. Gli spiegai la situazione e lui reagì con un calmo e serafico sorriso, nulla di più. Come se fosse un fatto del tutto normale. Mi invitò anche a calmarmi, ma io non ne volevo sapere. Avevo prenotato la casa a Gokarna e l’host giustamente mi chiedeva, tramite WathsApp, quando sarei arrivata, giacchè aveva altre richieste, essendo cominciata la stagione turistica. Dunque il mio imbarazzo era notevole. Non potevo certo fermarmi ancora a Goa. Dovevo partire necessariamente. A qualsiasi costo e anche senza un bagaglio, seppure mi fosse necessario. Gliene dissi di tutti i colori! Che se mi fossi ammalata perché non potevo prendere le medicine che si trovavano nella valigia, loro ne sarebbero stati responsabili! Che essendo una scrittrice, tornata in Italia avrei scritto un articolo sui giornali su come in India venivano trattati i turisti! Che ero una donna anziana e mi stavano procurando, senza ragione alcuna, un grave disagio! Tutti mi guardavano straniti e con un certo sospetto. Accompagnavo le mie proteste a movimenti del corpo e gesti tipici di noi meridionali ma per loro inusuali. Mi allontanavo dal banco rivolgendomi a chiunque fosse vicino a me, in cerca di aiuto e sostegno. Ottenevo solo curiosità e stupore. Nessuno si mostrò solidale. Probabilmente appunto perché non comprendevano che cosa ci fosse di strano in un fatto che a me sembrava paradossale e privo di senso, a loro uno come un altro. Finalmente presi una decisione io, perché se aspettavo loro si sarebbe fatta notte. Chiesi un foglio ed una penna e firmai una dichiarazione nella quale sostenevo che nel mio bagaglio fermo a Delhi non c’era alcun oggetto illegale, chiedendone contestualmente l’immediato rilascio e spedizione a Gokarna, all’indirizzo nel quale sarei alloggiata. Li salutai e me ne andai, stanca, avvilita e nervosa.

On the road…to Gokarna

Seduta nel taxi riconquistai la calma e la serenità. Volevo godermi il viaggio in macchina e osservare il paesaggio. Ormai non potevo fare più nulla, se non sperare nella buona sorte finalmente. Mi aspettavano dalle tre alle quattro ore di percorso, perché la strada non é delle migliori, solo a tratti larga, in altri si restringe o interrompe per frequenti lavori in corso. E poi c’erano le mucche. Ovunque presenti, ai bordi della strada o addirittura in mezzo per attraversarla senza il benché minimo timore delle atutomobili. E le mucche sono sacre. La loro possenza e l’eleganza con cui si muovono mi apparvero per la prima volta evidenti. Prima non ci avevo mai fatto caso. In India le mucche sono diverse, non solo come razza ma proprio come comportamento. Non così grasse come le nostre. Più snelle e longilinee. Davvero belle e persino vanitose, quasi siano consapevoli della loro importanza. Un po’ guardavo il paesaggio, un po’ mi intrattenevo a parlare col tassista del più e del meno, chiedendo qualche notizia sulla vita nel suo paese e facendo solo una sosta per comprare dell’acqua che avevo terminato. Quando arrivammo nei pressi di Gokarna era già buio, ma l’ingresso nel villaggio fu lo stesso accattivante. Numerose bancarelle, al solito coloratissime, esponevano le mercanzie più disparate, dal cibo agli oggetti d’uso quotidiano. Dai vestiti, agli elettrodomestici. Insomma di tutto e di più. E tanta gente in giro, che comprava o camminava per la sua strada. Mi piacque subito immensamente, sebbene non me ne rendessi pienamente conto, come se la mia coscienza razionale fosse sospesa per lasciare spazio solo alla percezione e quasi fossi una spugna che assorbe fin che può ogni goccia del fiume o del mare in cui è immersa.

Jayaram e il Bhagavan cafè

Ad accogliermi trovai il mio host, Jayaram. Un ragazzo giovane dal volto sereno e sorridente, che gestisce un ristorante sulla Middle Beach di Gokarna e affitta deliziose capanne di frasche e qualcuna, come la mia, di mattoni. Mi sentii subito a casa, sia per la sua gentilezza, sia perché ero arrivata alla prima meta del mio viaggio. Non sono mai stata una turista comune, ho sempre cercato nei luoghi oltre alle bellezze e prima ancora di esse, la vita delle persone. Il loro modo di pensare, l’impronta che nel tempo hanno impresso al loro territorio. Come lo hanno trasformato, anche negativamente. Mi incuriosisce più di una opera d’arte, da quella stessa vita per altro generata. Non amo viaggiare da un luogo all’altro, senza nemmeno avere il tempo di assaporare il gusto di un posto. Il suo sapore e i suoi odori, che non sono dati solo dagli edifici o dai templi, dai monumenti e architetture o da qualche fenomeno naturale seppure straordinario. Sono il risultato di esperienze agite e vissute, di scelte compiute dalle generazioni che si sono succedute nel tempo. Anche dalla vita animale e vegetale. La storia insomma di un luogo, non solo il suo essere nello spazio. Questo mi affascina e arricchisce molto di più dell’incanto che pure si prova di fronte a certi splendori artistici o naturali che esistono al mondo. Finalmente entrata nella mia nuova casa, una stanza con bagno e cucinino, molto graziosa e soprattutto nuova, appena costruita e mai prima abitata, mi lavai, cambiai d’abito e dopo aver predisposto l’occorrente per la notte e sistemato il grande letto in legno, uscii per andare a cenare nel ristorante più vicino, il Bhagavan cafè, costruito sulla sabbia proprio davanti l’oceano, con canne di bambù, frasche e pali in legno. Davvero accogliente e grazioso.

Gli stranieri indiani

Avevo appuntamento con una coppia di amici italiani, che da anni frequentavano questo tratto di costa indiana e mi avevano prenotato la casetta, dandomi anche tutta una serie di indicazioni utilissime per chi, come me, arrivava per la prima volta e non sapeva nulla dell’India. Ero loro molto grata perché le informazioni ricevute erano state davvero preziose. La torcia elettrica, necessaria per il cammino di notte sulla spiaggia o negli stretti sentieri tra i campi coltivati dell’entroterra, la copertina termica per l’escursione notturna della temperatura, il catenaccio di riserva per chiudere l’abitazione e persino la carta igienica che in Italia pare sia più morbida e probabilmente molto più igienica di quella indiana! Io avevo seguito alla lettera tutte le istruzioni e così mi sentivo abbastanza sicura di poter affrontare ben equipaggiata il mio soggiorno a Gokarna.
Prem, così si fa chiamare Roberto da quando ha preso il sannyas, è davvero un personaggio. Un po’ sulle sue, l’aria sempre distaccata, come di chi appunto preferisce starsene per i fatti propri. Ha un ego molto sviluppato e determinato, un atteggiamento di concessione della propria presenza che mi infastidiva, quasi gli altri fossero poco rilevanti rispetto alla sua esistenza. Non facile il mio rapporto con lui, giacché litigavamo spesso per certe sue affermazioni che mi lasciavano interdetta. Come quando, la prima sera a cena, alla mia richiesta di una cortesia, dopo due giorni di viaggio stressanti per la disavventura dei bagagli, mi rispose che lui non era certo venuto a Gokarna per svolgere le mie faccende, ma per le sue vacanze! Davvero pesante, sgarbato e “scucivolo”, diremmo noi siciliani per indicare una persona poco socievole e affatto disponibile. Ci rimasi malissimo, mi alzai dal tavolo e me ne andai. Dopo qualche giorno venne da me per scusarsi di questa sua sgradevole esternazione. Ma non ho mai sentito sincere quelle scuse. Come se nel suo agire avesse sempre un secondo fine o un interesse. Impossibile fidarmi senza trasparenza.

E poi io non sopporto le persone troppo sicure del loro modo di pensare e vedere la vita e la realtà delle cose. Quelle persone tutte certezze e zero dubbi. Che hanno un riposta su e per tutto. Che sanno sempre loro cosa sia bene e meglio anche per te. Che persino decidono loro, al posto tuo. Unica eccezione Matilde. La mia amica spagnola che ho conosciuto al Rudrapada, il ristorantino di Jayaram. Alta, magra, bionda è nata nel mio stesso anno e solo qualche mese prima di me. Insegnante di yoga, ha un’energia dirompente che trascina e affascina. Ecco a lei sola, probabilmente in tutta la mia vita da adulta, ho permesso di decidere per me, quando una sera in giro nel mercato di Gokarna, dove mi aveva accompagnata per le prime spese necessarie alla mia sistemazione, io avrei comprato tutto e di più, e vedendomi stanca e appesantita da svariati sacchetti pieni pieni di oggetti fra i più disparati, letteralmente mi prese ed infilò in un richshaw perchè me ne tornassi a casa e lei potesse finalmente liberarsi di me, che continuavo a trascinarla nelle varie bancarelle, non avendo ancora esaurito la lista lunghissima delle cose che ritenevo necessarie. “Piddicusa” come sono. Cioè estremamente pignola. Non feci in tempo a capire cosa stesse succedendo, che mi ritrovai dentro il veicolo con lei che dava le indicazioni al conducente sul luogo della mia destinazione. Dovetti poi ammettere che aveva ragione. E accettai di buon grado la sua decisone. Sorridendo tra me e me. In fondo era stato un modo per prendersi cura della sua nuova amica. Nulla di diverso e di più.

 

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