E Churchill andò a piazzale Loreto...11/8/2019

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E Churchill andò a piazzale Loreto...11/8/2019

di Giovanni Curatola

Il 1° settembre 1945 è un sabato. La II guerra mondiale in Europa è finita da quasi 4 mesi, e l’indomani cesserà definitivamente con la resa del Giappone. A Milano, in aereo militare da Londra, atterra il “colonnello Warden”. Il nome è di copertura, si tratta dell’ex primo ministro inglese Winston Churchill. Piomba sul lago di Como, ma prima ha un improrogabile appuntamento personale a piazzale Loreto, di cui parleremo più avanti. Lo aspetta la sua coscenza. E lui non si tira indietro. Poi sale sul lago, ufficialmente per dipingere, in realtà per recuperare quello scottante carteggio epistolare avuto con Mussolini prima e durante la guerra da cui il capo del fascismo non si separò mai fino al momento della sua cattura, appunto sul lago, e su cui nei giorni precedenti il crollo ebbe a dire a più  riprese ai suoi (intercettazioni telefoniche registrate servizio segreti tedeschi e tuttora presenti nei rispettivi Archivi di Stato):“Questi incartamenti sugli accordi con Churchill saranno l’inevitabile documentazione della malafede inglese. Valgono per l’Italia più di una guerra vinta, perché chiariranno al mondo le vere ragioni del nostro intervento a fianco della Germania”. Lettere scritte  “nel momento in cui tutto sembrava perduto per l’Inghilterra” quando “si è sperato che io potessi mitigare, nella vittoria dei tedeschi, lo smisurato potere di Hitler”. Lo stesso Churchill, in un suo articolo de 13 aprile 1939 (prima cioè dello scoppio del conflitto) ebbe d’altronde a scrivere che “In una guerra contro il nazismo, l’Italia da nemica costituirebbe per noi un vantaggio maggiore che averla militarmente alleata” e, dopo il conflitto, lasciò scritto nelle sue memorie: “Adesso che l’Inghilterra aveva forzato l’Italia ad entrare in campo, la Germania non era più sola”. Ma a che pro il preminente interesse inglese di quel tempo sarebbe stato quello di averci paradossalmente non come alleati, ma come nemici? Lo specificheranno gli stessi statisti inglesi in quei mesi, chi più o meno ufficialmente e chi più o meno confidenzialmente: attirare le forze armate tedesche fuori dal loro scacchiere difensivo nord-europeo, logorandole con scontri costanti ma tutto sommato periferici in una penisola lunga, vulnerabile e accidentata (quella italiana) e nei nostri scacchieri marittimi e africani. Facendo consumare quel petrolio e quelle materie prime indispensabili per la Germania. Ma soprattutto garantendosi al tavolo della pace ritenuta imminente (il conflitto era ritenuto da tutti di breve durata e con scontata vittoria tedesca) un avversario “morbido” (Mussolini), che già in passato aveva scongiurato più volte la guerra in Europa fungendo da equilibratore tra il rancore tedesco e le esigenze delle democrazie occidentali. L’unica persona, insomma, capace di ricondurre Hitler alla ragione.

Il gioco valeva, in fondo, la candela. Per tutti, anche per noi. Italia e Inghilterra si sarebbero fronteggiate solo in scontri di facciata, limitati, o comunque senza farsi male fino in fondo. Tale accordo sottobanco spiega perché nei primi mesi di guerra l’Italia fu scrupolosamente attenta a non colpire obiettivi strategici inglesi di primaria importanza come Malta, Suez e Gibilterra, sebbene Mussolini avesse dichiarato l’entrata in guerra proprio per spezzare questi lucchetti che ci “imprigionavano nel nostro mare”. Mussolini era ben cosciente che l’Italia non avrebbe potuto sostenere una guerra lunga. Non ne aveva fatto mistero né ai tedeschi, proprio per indurli a rinunciare ad averci a loro fianco, né a Churchill, che per indurlo ad entrare lo stesso in guerra da suo avversario ma in realtà secondo direttive concordate insieme, promise al dittatore italiano al termine di questo conflitto prospettato come breve, circoscritto, e guerreggiato con minime perdite e senza minacce agli apparati produttivi principali di entrambi, le isole del Dodecaneso e altri possedimenti mediterranei che l’Italia rivendicava e che l’Inghilterra sconfitta ci promise, togliendoli alla Turchia e all’alleato francese ormai in ginocchio e fuori gioco per girarli all’Italia vincitrice.

Eccola la malafede inglese: lusingare l'Italia con laute ricompense e garanzie di danni bellici limitati, per poi rimangiarsi ogni promessa e abbandonarle Mussolini al suo destino quando (e questo Churchill lo sapeva bene), gli Stati Uniti sarebbero prima o poi entrati in guerra a fianco degli inglesi. A quel punto, sotto il sicuro ombrello americano, l’Italia poté essere considerata da Churchill nulla di più di quello che ufficialmente era: una nazione nemica. Da cui non aver più interessi da trarre, e dunque da poter tranquillamente seppellire di bombe, alimentando la propaganda di un Mussolini guerrafondaio che aveva condotto il paese alla rovina alleandosi con quel pazzo del cancelliere tedesco per megalomania anziché (come effettivamente fu nelle intenzioni del capo del fascismo ma anche e soprattutto degli inglesi) per arginarne la spietatezza al tavolo della pace.

Difatti, mentre in Italia prima dell’entrata in guerra, con la Germania a un passo dalla vittoria, Mussolini anche dal Re e da certe correnti antifasciste era visto come rammollito e ormai incapace di cogliere quest’occasione unica per il nostro paese (“Ma che ci siamo alleati coi tedeschi a fare? Per vedere lasciar prendere tutto a loro?”, "Chi aspira spara, chi non spara spira: che aspettiamo?".La preparazione bellica verrà dopo – parole di Vittorio Emanuele III - come nel ’15-’18. Coraggio Mussolini, decidiamoci a questo passo”), appena dopo l’entrata in guerra tale meraviglia fu tutta all’estero. In ossequio alle direttive impartite da Mussolini agli stati maggiori delle forze armate, infatti, ad eccezione dei fronti coloniali africani l’atteggiamento militare italiano doveva essere difensivo su tutta la linea. Davvero singolare per un paese che ha appena dichiarato guerra! Tanto da indurre Stalin (ancora neutrale) e altri statisti europei a domandarsi con stupore perché l’Italia fosse entrata in un conflitto che stava dimostrando a chiare lettere di non voler fare. La stessa Francia al collasso, che accuserà l’Italia di averla pugnalata alla schiena, vide le nostre truppe occupare solo Mentone, a una manciata di metri dal confine, e lì arrestarsi anziché affondare come lama nel burro.

Che la nostra entrata in guerra sia dunque stata non l’avventatezza di un dittatore ben conscio dei limiti militari del proprio paese, bensì il calcolo politico ritenuto assai conveniente, il migliore o comunque il male minore in quelle circostanze (la Germania guardava sempre più diffidente e minacciosa a un alleato che, contrariamente ai patti sottoscritti, anziché scendere in campo a suo fianco era paradossalmente tenuta proprio da Mussolini ancora fuori dalla mischia), lo sapeva dunque bene Churchill. Da che parte, in quella fine primavera del '40, sarebbe venuto per l'Italia il pericolo maggiore? Da una guerra tutto sommato garantita dallo stesso nemico, dunque "addomesticata" e breve a fianco della Germania, o da una ben più seria, distruttiva e sanguinosa mossaci dalla Germania ritenutasi tradita, e che l'Italia avrebbe non solo matematicamente perso, ma verosimilmente avrebbe sopportato senza l'aiuto anglo-francese, esattamente come nel '15-'18?

Mussolini non optò per un'incoscenza o un colpo d'azzardo. Fece una scelta ben ponderata, che a posteriori - e non sul momento - si rivelerà errata. Fidandosi di quel suo collega-ammiratore-rivale inglese che, come detto in apertura, dopo la guerra si precipiterà sul lago per recuperare (dietro lauto pagamento o concessioni politiche e tramite il lavoro dei servizi segreti inglesi e gli emissari dello Stato Italiano, del movimento partigiano e del Vaticano con cui ebbe contatti - tutti ben documentati – in quei giorni), quell’esplosiva corrispondenza privata avuta con l’ormai defunto dittatore italiano. Corrispondenza che, se resa pubblica, avrebbe riscritto la storia, gettando nel più profondo imbarazzo politico davanti agli alleati e al mondo lui e la stessa Inghilterra.

Ma se di quel carteggio usato come merce di scambio se ne parla da decenni (favoleggiando spesso anche a sproposito), a un piccolo ma significativo episodio durato una ventina di minuti in tutto non si è mai, volutamente, dato risalto: l’omaggio di Churchill a piazzale Loreto. Sceso dall’aereo quel 1° settembre 1945 a Milano, Churchill prese contatto all’hotel Continentale col sindaco Greppi, da cui a metà pomeriggio, prima di salire sul lago di Como, volle essere portato in incognito nel luogo dove il suo rivale, ormai cadavere, fu appeso per i piedi. La trave della pensilina del distributore di benzina c’era ancora, e dopo aver voluto indicato il punto esatto in cui fu appeso Mussolini, Churchill depose una corona d’alloro – ovviamente senza scritta – portata da 2 soldati inglesi lì convenuti con una camionetta. Dritto, con la mano destra sul cuore, lo statista inglese omaggiò per qualche minuto in silenzio l’avversario sconfitto che aveva tradito. “Quel gesto – si legge in “Mistero Churchill” di uno dei più obiettivi e capaci storici del nostro tempo, Roberto Festorazzi – fa parte dello stile degli inglesi. E’ l’omaggio al vinto: prima ti ammazzo e poi ti presento le armi”. Troppa stima nutriva l’ex premier inglese per il dittatore italiano, sin dal 1927 quando si precipitò a Roma per omaggiarlo e per poi definirlo il più grande legislatore vivente, il genio romano, commentando che se lui fosse stato italiano avrebbe senza indugio indossato la camicia nera. Se il soggiorno di Churchill sul lago di Como, benché sotto l’ufficiale motivazione di dipingere su qualche tela, fu subito di dominio pubblico, l’omaggio in incognito a piazzale Loreto restò sempre quella che per Churchill doveva essere: una questione profondamente intima e privata solo fra loro due: Winston e Benito. Questione della quale furono accuratamente evitate fotografie (tranne, a quanto pare, un paio scattate dalla piccola scorta inglese dell’ex premier), di cui dato preciso ordine al sindaco, presente al fatto e imbarazzatissimo, di non dare notizia alla radio e alla stampa e da cui gli stessi governi inglese e italiano, il movimento partigiano e le altre personalità che a vario livello si interfacciarono con Churchill in quei suoi giorni Italia, furono rigidamente tenuti all’oscuro.

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