di Giovanni Curatola
Il 24 agosto 1789 è un lunedì. All’“Hotel Des Menus Plaisirs” di Versailles, a poche centinaia di metri dalla Reggia, l’Assemblea Nazionale Costituente sta dibattendo sull’articolo riguardante la libertà religiosa da inserire nella “Dichiarazione dell’uomo e del Cittadino” che sarà approvata 2 giorni dopo. Nata 2 mesi prima col famoso “giuramento della Pallacorda”, l’Assemblea conta oltre ben 1.100 membri, perché da quasi subito per ordine di Luigi XVI i rappresentanti di clero e nobiltà si sono aggiunti a quelli del Terzo Stato, accettando e legittimando di fatto che questo nuovo organismo sostituisca quegli “Stati Generali” la cui apertura a maggio aveva dato il via a uma catena di grandi eventi che, in un crescendo in parte conseguenziale e in parte imprevisto passeranno alla storia col nome di “Rivoluzione Francese”.
Tornando al 24 agosto, quella tarda mattina il tono delle discussioni in seno all’Assemblea è più alto e concitato del solito. Il tema religioso è tra i più delicati e, di fatto, spacca l’Assemblea in due. Come riporta lo storico francese Marcel Gauchet, a un certo punto le urla e le ingiurie degli estremisti più nemici dichiarati della religione e dell’assolutismo monarchico (da essi ribattezzato in quei giorni “Ancien Régime”), che per un fattore puramente casuale provengono più assordanti e minacciose dalla parte sinistra dell’aula, costringono diversi membri della fazione opposta (sostenitori del re e della chiesa) a trovar riparo fisico spostandosi alla destra del presidente dell’Assemblea. E lì resteranno anche nei giorni successivi, sicché questa nuova disposizione inizialmente accidentale diventa un’abitudine che si consoliderà finendo per divenire consuetudine nella successiva “Convenzione Nazionale”, dove l’ala giacobina, la più progressista e rivoluzionaria, si siederà sempre a sinistra, in contrapposizione alla fazione girondina che occuperà i banchi di destra.
I termini “destra” e “sinistra” entrano così dapprima in ogni organo assembleare francese, quindi nei Parlamenti europei e da lì nell’immaginario collettivo. Personificando così ciò che da allora è entrato nel comune sentire dell’opinione pubblica: da un lato il conservatorismo politico, la difesa del potere costituito, il mantenimento delle differenze sociali, degli interessi della classe politico-imprenditoriale dominante e, laddove ci sia, del culto religioso vigente (la “destra”). Dall’altro, la spinta più o meno radicale al progressismo, all’eguaglianza, a diritti collettivi più o meno legittimi e più o meno realizzabili, alla difesa dei ceti più svantaggiati, all’avversione verso lo status quo e, nei casi più estremi, all’impulso per il suo rovesciamento (la “sinistra”).
I due termini, conditi dove più e dove meno da più o meno violente e appassionate lotte politiche, attraversano così oltre 2 secoli per giungere ai nostri giorni. Portando però con sé, inevitabilmente, tutti quei limiti ideologici e quelle approssimazioni che da sempre ogni etichettatura generica, superficiale e sbrigativa comporta.
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