IL PACIFICO PENSIERO
19 December 2019
di Salvatore Taibi e Alessia Butini di www.paroleedintorni.it
7 SPETTACOLI UNICI E INDIMENTICABILI al TEATRO FILODRAMMATICI di MILANO CON 1 OSPITE SPECIALE OGNI SERA
Successo di pubblico e di critica per il cantautore PACIFICO che, dal 2 all’8 dicembre, ha emozionato il pubblico milanese con “LA SETTIMANA PACIFICA”: 7 unici e indimenticabili spettacoli in scena al Teatro Filodrammatici di Milano, con un ospite diverso ogni sera, una settimana di musica che è già diventata un “cult”!
Per “LA SETTIMANA PACIFICA” il cantautore ha voluto al suo fianco ogni sera un artista diverso con cui duettare e intrattenere il pubblico con la sua “descrizione dell’artista”. Non solo nomi importanti del panorama musicale, ma soprattutto grandi amici: MALIKA AYANE (2 dicembre), SAMUELE BERSANI (3 dicembre), GIANNA NANNINI (4 dicembre), FRANCESCO DE GREGORI (5 dicembre), GIULIANO SANGIORGI (6 dicembre), FRANCESCO BIANCONI (7 dicembre) e NERI MARCORÈ (8 dicembre).
Con ognuno di loro PACIFICO, all’anagrafe Gino De Crescenzo, ha condiviso momenti irripetibili di musica e parole, creato un’atmosfera intima e accogliente ed emozionato ogni sera il pubblico gremito del Teatro Filodrammatici, piccolo gioiello architettonico nel cuore di Milano. Con la sua particolare formula della “descrizione dell’artista”, PACIFICO ha anche rivestito perfettamente il ruolo di narratore e intrattenitore, curiosando con garbo e simpatia nelle vite dei suoi ospiti per divertire ed intrattenere il suo pubblico con fatti e aneddoti mai raccontati.
«Per la Settimana Pacifica devo ricorrere alla metafora abusata del sogno, questo mi sembra sia – specifica PACIFICO – Vedo uscire dai ricordi i sorrisi di tutti, vedo il pubblico che si sganascia o che si commuove, l’ombra della mia mano sul palco mentre gesticolo. Mi godo il momento mentre questo passa. Ma che fortuna è stata essere lì, a Milano, in queste serate di dicembre»
Il cantautore milanese, ormai parigino d’adozione, ogni sera ha alternato sul palco momenti di musica, presentando brani del suo repertorio, a raffinati momenti di intrattenimento parlato. Per tutta la settimana ha accolto sul palco anche LUCA ZAFFARONI, un cameriere milanese diventato l’incarnazione del brano “Il cameriere anziano”: il signor Zaffaroni, 71 anni e 60 di esperienza nelle sale dei ristoranti e degli hotel più famosi al mondo (tra cui l’Hotel Michelangelo a Milano), ha raccontato la sua lunga carriera e le incredibili esperienze vissute nel corso della sua vita. Nella serata di venerdì, inoltre, è salita a sorpresa sul palco la sua compagna CRISTINA MAROCCO, con la quale PACIFICO ha duettato sulle note de “L’ora meravigliosa” … definita da entrambi “la loro canzone”.
PACIFICO è stato accompagnato sul palco dai musicisti CARLO GAUDIELLO (piano), FRANCESCO ARCURI (polistrumentista) e SIMONA SEVERINI (chitarra e voce). Il 6 e il 7 dicembre ad accompagnare il cantautore sul palco anche FREY (in sostituzione di Simona Severini).
Cantautore e autore tra i più stimati del panorama italiano, PACIFICO ha all’attivo 6 dischi (“Pacifico”, “Musica Leggera”, “Dal giardino tropicale”, “Dentro ogni casa”, “Una voce non basta”, “Bastasse il cielo”), ha vinto il Premio Tenco per l’opera prima e numerosi altri riconoscimenti, ha partecipato al Festival di Sanremo in qualità di interprete nel 2004, vincendo il premio per la miglior musica, e ha duettato con alcuni dei più grandi artisti italiani e internazionali (Gianna Nannini, Ivano Fossati, Malika Ayane, Marisa Monte, Ana Moura). Nell’aprile 2015 ha scritto e interpretato con Samuele Bersani il brano “Le storie che non conosci”, con la partecipazione straordinaria di Francesco Guccini. Il brano si è aggiudicato la Targa Tenco 2015 come Migliore canzone dell’anno. Ha scritto per il cinema (da Gabriele Muccino a Roberta Torre), e ha scritto e portato in scena il monologo teatrale “Boxe a Milano”. Ha pubblicato per Baldini e Castoldi, il romanzo “Ti ho dato un bacio mentre dormivi”. Come autore collabora con i più importanti artisti italiani. Oltre al decennale sodalizio con Gianna Nannini, ha scritto per Andrea Bocelli, per Gianni Morandi, per Adriano Celentano, per Malika Ayane, per Eros Ramazzotti, per Zucchero, per Giorgia, per Antonello Venditti e molti altri. Pacifico ha partecipato al 68° Festival di Sanremo in duetto con Ornella Vanoni e Tony Bungaro con il brano “Imparare ad amarsi”, di cui è anche autore del testo. Oltre che come artista in gara, Pacifico ha partecipato al Festival di Sanremo 2018 anche in qualità di autore con il brano “Il segreto del tempo” (scritto per il duo Roby Facchinetti e Riccardo Fogli) e il brano “Il coraggio di ogni giorno” (scritto per Enzo Avitabile e Peppe Servillo). A marzo 2019 esce il suo sesto album “Bastasse il cielo”.
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PACIFICO
BASTASSE IL CIELO
Informazioni e pensieri
BASTASSE IL CIELO
Scritto da Pacifico
Produzione artistica: Alberto Fabris
Produzione esecutiva: Titti Santini
Registrato da Tim Oliver presso Real World Studios (Bath, Uk)
Registrato da Pacifico e Max Faggioni presso Pippapà Studio (Parigi, Fr)
Registrato da Scott Petito presso Mike’s Home Studio (New York)
Registrato presso Candyland North Studio (New York)
Registrato presso Noble Studio (New York)
Registrato presso Green Studio (New York)
Registrato presso Palm Studio 33, Bangalore, India
Registrato in Istanbul, Turchia
Registrato da Valerio Daniele presso Chora Studio (Monteroni, Lecce, It)
Registrato da Luca Martegani presso La Sauna Recording Studio (Varano Borghi, Varese, It)
Registrato da Cristian Bonato presso Numeri Recording Studio (Coriano, Rimini, It)
Registrato da Alberto Fabris presso Marmite Studio (Comerio, Varese, It)
Mixato e masterizzato da Tim Oliver presso Real World Studios (Bath, Uk)
Foto copertina: Titti Santini
Ritratti fotografici: Daniele Coricciati
Artwork e grafica: Carlo Cappuccini - Capdesign studio
Booking: Ponderosa Music & Art Srl - giuseppe@ponderosa.it
I musicisti di Bastasse il cielo, e la sintesi delle loro collaborazioni:
Michael Leonhart, tromba, flicorno: Steely Dan, Plastic Ono Band, Mark Ronson, Bruno Mars, David Byrne, Brian Eno, Caetano Veloso
Alan Clark, pianoforte, mellotron: Dire Straits, Trevor Horn, Bob Dylan, Tina Turner
Amedeo e Simone Pace, chitarre, batterie, programmazioni: Blonde Redhead
Mike Mainieri, vibrafono: Dizzy Gillespie, Billie Holiday, Steps Ahead, Paul Simon, Dire Straits, Billy Joel, Pino Daniele
Cochemea Gastelum, tenor sax: Amy Winehouse, Archie Sheep, Paul Simon, Beck, Public Enemy, The Root
Gli altri, magnifici, musicisti coinvolti:
Göksel Baktagir
Redi Hasa
Simona Severini
Antonio Leofreddi
Federico Mecozzi
Demian Dorelli
Valerio Daniele
Mauro Brunini
Andrea Andreoli
Alfredo Pedretti
Gio Rossi
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Note e pensieri
Il disco è stato pensato, scritto e realizzato a Parigi.
Nel mio studiolo nel diciannovesimo arrondissement, il Pippapà Studio, nome inventato da mio figlio, una sua personale rivisitazione della frase che gli dicevo salutandolo sulla porta di casa:
«Papà va in studio a lavorare».
Questo è il mio sesto disco.
Dal disco precedente sono passati sette anni.
In mezzo c’è stato “In cosa credi”, una breve raccolta di brani non entrati nei dischi ufficiali.
È un disco rimbalzato da una parte all’altra del pianeta. Catapultato da un fuso orario all’altro grazie a una semplice pressione sul tasto Invio. Un disco transitato nei cloud, dove ha fatto anticamera nell’attesa di essere ascoltato. È partito da Parigi, ha atteso sopra India, Turchia, Inghilterra, Stati Uniti, Italia.
È stato ascoltato, manipolato, e alla fine me lo sono ritrovato famigliare ma trasformato nella mia casella di posta.
Come un adolescente che torna da una vacanza studio.
È un disco pieno di affetto.
Di attenzione. Di annotazioni e dettagli.
Non arrivo a dire un disco pieno di amore. L’amore nelle canzoni e nella vita si prende tutto. È facile da dire, è uno slogan. LOVE, è una parola semplice e comunicativa, bella per le magliette e per gli inni. Ma è, alla fine, una questione privata, intima. L’amore per la persona con cui vivi, per un figlio, l’amore che ti manca. Non può essere per tutti, nessuno ha tanto spazio dentro.
È l’attenzione il Caro Estinto.
Quella è una dimensione più pubblica dell’amore.
L’amore appaga un bisogno personale, l’attenzione è uno sguardo rivolto all’altro.
È di quello che sento la mancanza.
Della possibilità di sentire per immedesimazione.
Di non aver tempo per sentire cosa sentono gli altri.
Vedo come rispondo, come scrollo, come rispondo alla chiamata A me gli occhi del display. Vedo le risposte che si danno, tutte sbrigative e non verificate, tutte basate non sui fatti ma sulle sensazioni.
Ho messo tracce subliminali di questa consapevolezza, in vari pezzi.
In Semplicemente:
«...semplicemente non c’è tempo, non c’è tempo per capire.
Ogni risposta su ogni argomento mi sembra dica
Io non ho tempo…»
In Molecole:
«...a questo serve stare insieme.
Stringersi a qualcuno che può dirti:
ce la faremo…»
Non ho messo in queste canzoni la parola Bellezza.
Sento sempre che la bellezza ci salverà, ma diffido.
La bellezza non ci salverà. La bellezza passa.
Temo che il richiamo alla bellezza sia auto indulgente, sia la pigra reazione alla distruzione del patrimonio di bellezza che ci è stato lasciato. Le cupole dorate che si sbrecciano e franano, le biblioteche esposte all’umido e alle inondazioni, la cultura, che è un albero che cresce o si ripiega verso terra ad ogni generazione.
Niente che non curiamo ci e si salverà, temo.
A questo proposito, so per certo che il Cielo non basterà.
È un disco di attenzioni e gentilezza. Dovrei aggiungere «oserei dire», perché sono parole che bisogna osare dire, tanto sembrano svenevoli.
L’attenzione verso una madre e una figlia (A Casa), che vivono di stenti, che guardano nelle immondizie ogni mattina per riciclare capi d’abbigliamento, o ventilatori che per funzionare hanno solo bisogno di un cambio della spina.
L’attenzione verso i piccoli gesti che compie mia madre, in Il destino di tutti; gesti ogni anno più complessi, come infilare il filo di cotone nella cruna dell’ago.
L’attenzione per tutte le minuscole tracce sparse in una storia d’amore, in Canzone Fragile. Le vecchie guide turistiche, che con la destinazione sul dorso richiamano a altri momenti, altre possibilità. Le liti, le frasi sconce, i risvegli con la neve.
L’attenzione verso tutti gli inizi di mio figlio, camminare, calciare, nuotare, scrivere.
Ogni giorno un inizio, e come dico in ElectroPo:
«...le cascate, le rapide
Attento Attento Attento
che ti porta via la corrente
Il fiume non ritorna indietro…»
L’attenzione per tutti gli oggetti che stavano nel cassetto dei miei genitori, in Salto all’indietro. Gli spiccioli di altri paesi prima della moneta unica, gli orologi dorati, il mistero delle calze di seta. E i riti dell’infanzia, le lucertole imprigionate in una buca riempita d’acqua, le VHS.
L’infanzia, la famiglia, le crudeltà da cortile…eppure, in queste canzoni non sento nostalgia, sentimento di cui invece ho abusato in precedenza.
Stranamente ero nostalgico più da giovane.
L’amore c’è, inevitabilmente.
I due che parlano e ancora si cercano fino a sfinirsi in Molecole.
La resa ai propri limiti in Quello che so dell’amore.
Ma questo è l’amore dei Grandi e Grossi, dei Professionisti direbbe Conte. È complesso, necessario e stritolante, una costruzione imponente che ingombra la vista ma che pare sempre sul punto di crollare.
Ho scritto le parole e la musica. Ma nel disco è entrata molta musica imprevista, che avevo desiderato ma non scritto.
In questo senso è quasi un disco fatto in due.
Alberto Fabris, amico fraterno e collaboratore storico di Einaudi, ha riunito intorno al nucleo delle canzoni da me realizzate alcuni musicisti preziosi. Di quelli rari, ancora in gioco, incasinati con la famiglia e con la ricerca. Di quelli che ancora pensano in maniera complicata per poi arrivare a soluzioni naturali. Di quelli che a pagarli non c’è il budget, basta scorrere la lista di collaborazioni. Ma che se trovi il linguaggio giusto - fatto di educazione, rispetto e sensibilità - suonano e ripetono le parti finché tutti non sono contenti.
Musicisti che lui conosce personalmente, che ha invitato, convinto a partecipare per poco e niente, che ha diretto artisticamente.
Quindi c’è una parte di costruzione solitaria, musica maniacalmente rifinita o allegramente strimpellata in uno stanzino nel diciannovesimo arrondissement. E poi c’è questo assemblatore d’orchestra, Alberto, che riunisce intorno ai brani musicisti americani, turchi, trasferitisi a Goa, o in via Paolo Sarpi a Milano.
Il disco è diventato una session allargata. Arrangiamenti, batterie, archi, fiati, pianoforti vagamente intonati o gran coda impeccabilmente suonati, chitarre baritono, sassofoni, trombe con sordina, viole agili e sospese senza fatica, come colibrì.
Bastasse il cielo è stato un bellissimo viaggio da fermo.
Come quando da ragazzo orientavo l’antenna di una radio nel buio, di notte, cercando voci greche e albanesi. Come quando durante una scampagnata serale, nella notte di San Lorenzo, ti perdi a guardare il vuoto nero tra le stelle. E finalmente è bello e giusto tacere, e ti senti messo al tuo posto, tu come tutte le formiche del prato intorno a te.
Come quando suono e cerco ancora il mio meglio, e fantastico di sentire un pianoforte sul brano, magari suonato in uno studio distante migliaia di chilometri da me.
Lo fantastico. E ancora qualche volta succede.
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