BREXIT: CHE COS’È?
05 October 2019
di Jon Jonson
L’Irlanda! Cacchio, ci siamo dimenticati dell’Irlanda!
Quei simpatici amanti di rugby, Guinness e San Patrizio! Quelli dal governo che ha deciso di opporsi all’idea che Google e Apple dovessero pagare le tasse per paura che se ne andassero incazzati in Lettonia. Quelli che nel 2008 hanno accettato di versare alle banche una cifra sufficiente per affondare l’economia nazionale per una generazione.
Non ci crederete, ma una volta quelli si tiravano le bombe! Sì, proprio loro!
Senza entrare nei dettagli (perché un romanzo sulla Brexit è già più che sufficiente), il conflitto tra repubblicani e unionisti si concluse nel 1998 con il Good Friday Agreement (GFA), un accordo tra la Gran Bretagna e l’Irlanda che definisce una serie di soluzioni per rendere accettabile l’esistenza dell’Irlanda del Nord per tutti quelli che ci abitano. Tra le molte cose belle e importanti contenute nel GFA per garantire tranquillità a tutti i popoli delle isole britanniche c’è un dettaglio importante: il confine tra l’Irlanda del Nord e il resto dell’isola (la Repubblica, Eire) di fatto non esiste più, non ci sono controlli doganali, non ci sono posti di blocco militari, l’Irlanda è ora una specie di mini area Schengen.
Il più grave problema pratico della Brexit è proprio quel confine tra la GB e l’Irlanda.(13) Non potrebbe rimanere senza controlli sia per le regole della WTO sia per quelle della UE, sia per quelle del buonsenso.(14) Che fare? Se torna a essere un confine vero all’interno dell’isola, con controlli di merce e persone, si rischia di far incazzare tutti quanti, non solo quelli che potrebbero andare a ripescare i mitra nascosti nel fienile; perché si sta tanto meglio senza una pistola puntata alla testa quando si devono portare le proprie mucche da un campo all’altro.
Sostanzialmente la Brexit senza un accordo fa saltare il Good Friday Agreement, un esito che – a parole almeno – non vorrebbe nessuno. La soluzione, voluta (ironia!) proprio dal governo britannico, si chiama backstop,(16) ed è la cosa più controversa di tutta la trattativa, l’elemento che più di qualsiasi altro ha generato la situazione ridicola in cui oggi si trova la Gran Bretagna. Il backstop significa, in breve, che non solo l’Irlanda del Nord rimarrebbe dentro il mercato unico (Single Market), tutta la Gran Bretagna resterebbe nella unione doganale (Customs Union) fino al momento in cui si trova una soluzione condivisa. Non solo: la Gran Bretagna non potrebbe disdire unilateralmente questo accordo. Cioè, si esce davvero dalla Unione Europea solo quando si risolve questo problema. (17)
Se questo argomento non fosse già sufficiente per far venire i brividi, e al di là dei problemi all’interno del proprio partito, la May ha avuto pure un altro grosso scoglio da superare. Per arrivare a una maggioranza dopo le elezioni disastrose nel 2017 in cui è riuscita – con la peggiore campagna elettorale mai vista – a perdere la propria maggioranza, ha dovuto fare un’alleanza con il Democratic Unionist Party (DUP), che è costato al contribuente pure una quantità notevole di sterline.(18) Il DUP è un partito irlandese filobritannico, diciamo “tradizionalista”, di orientamento religioso protestante (presbiteriano), che si oppone al matrimonio omosessuale, è contrario all’aborto, a favore della pena di morte… vabbé, avete capito, non è LEU. Ed è anche ferocemente contrario al Good Friday Agreement, più precisamente è l’unico partito irlandese a non averlo mai approvato.
La prima proposta per il backstop era diversa: si sarebbe applicato soltanto all’Irlanda, non all’intero Regno Unito. Ma questo avrebbe significato che il confine vero (quello dei controlli alla dogana, ciò che viene chiamato hard border) si posizionasse tra l’isola dell’Irlanda e il resto del Regno Unito. Di fatto così, benché in modo temporaneo (almeno in teoria), si staccava l’Irlanda del Nord dal Regno Unito e si unificava l’Irlanda: vi rendete conto? Una delle conseguenze della Brexit – battaglia della destra inglese – sarebbe stata l’unificazione dell’Irlanda. Guarda caso, ciò non era accettabile per il DUP. (19) E senza i voti del DUP sarebbe crollato il governo della May. Quindi il backstop presente nel WA si applica a tutta la Gran Bretagna, punto.
Non sto a raccontare tutte le vicissitudini parlamentari che hanno portato all’uscita di scena della May. Basti dire che il Withdrawal Agreement, rimasto l’unico accordo sul tavolo della trattativa, di fatto non è riuscito a soddisfare nessuno: la destra conservatrice ha sostenuto che tradiva l’esito del referendum e non accettava il backstop (per loro, si capirà più avanti, qualsiasi accordo con la UE sarà sempre un tradimento); per i laburisti, un misto di remainers (che sperano ancora che prima o poi salterà la Brexit) e di desiderosi di un’uscita talmente soft che non la si noti nemmeno, l’accordo non soddisfaceva alcuni requisiti importanti, anche perché i Tory non hanno mai pensato di risolvere la questione in modo collegiale, consultando tutte le parti sociali o partiti.(20) Per la UE invece, l’accordo offerto nel WA rimane l’unico possibile se la posizione della Gran Bretagna non cambia. Stallo totale. May ci rinuncia, vicino all’esaurimento fisico e psicologico totale.
Veniamo (finalmente!) agli eventi più recenti. Dopo May, prende il comando – per così dire – Boris Johnson, con la promessa che, “costi quel che costi”, la GB uscirà dall’UE il 31 ottobre del 2019. Elimina dal governo tutti quelli che considera remainers e si circonda di uomini di fiducia, in particolare persone disposte anche a uscire dalla UE senza accordo: Jacob Rees Mogg, Dominic Raab, Michael Gove, Priti Patel, Sajid Javid. Senza tener conto dell’orientamento politico di queste persone, è difficile immaginare un’accozzaglia peggiore di gente senza scrupoli e – purtroppo o per fortuna – incapace. Un esempio per capirci: Raab dopo diversi mesi da Ministro responsabile per la Brexit si è dichiarato “stupito” di scoprire quanto sia importante il porto di Dover per il commercio britannico. Nessuno ha avuto il coraggio di dargli la notizia che il Papa si è convertito al cattolicesimo.
Oltre a questa ammucchiata di fedelissimi – un’alleanza di comodo tra cinici e imbecilli – Johnson ingaggia come direttore dell’ufficio stampa e principale “cervello” strategico tale Dominic Cummings, l’uomo che ha diretto la campagna per Leave nel 2016. Il metodo adoperato da Johnson diventa presto molto evidente: vuole uscire senza accordo. Farà finta di trattare con l’UE per un nuovo accordo, ma come alibi insisterà sull’abolizione del backstop (cosa di fatto impossibile perché incoerente e illegale, e tutti sanno che è inaccettabile per la UE), quindi darà la colpa all’UE stessa per “intransigenza”; riterrà qualunque opinione diversa dalla sua come un “tradimento della nazione”, perché a suo dire l’opposizione interna indebolisce la sua posizione nella trattativa con l’Europa (che in realtà non esiste e non ha intenzione di avviare).
Johnson considera due ipotesi: se la sua strategia funziona, si esce il 31 ottobre, come ha promesso, lui diventa eroe nazionale, scioglie le Camere subito e stravince prima che il disastro sia troppo evidente; se non ci riesce, cercherà invece di indire elezioni.(21) Alle elezioni, che sosterrà di non volere, si presenterà come Difensore della Volontà Popolare (vi ricorda qualcuno e qualcosa?) contro un Parlamento “antidemocratico”. Si sosterrà, addirittura, che minacciando in modo credibile di uscire senza accordo si costringerà l’UE a cambiare posizione e offrire l’accordo nuovo che lui si desidera (nessuno ha mai specificato in che cosa consisterebbe questo accordo nuovo, oltre all’idea di “abolire il backstop”, ma pazienza).
Boris Johnson affronta questa nuova fase come uno che tiene in mano la pistola e dice “datemi quello che voglio o sparo!”. Con la pistola puntata alla propria testa. Merkel, Macron e Barnier fanno finta di nascondere la propria perplessità. Ma poco importa, è un gioco per uso interno, loro sono solo delle comparse nella tragedia che sta consumando il partito conservatore e l’intero paese.
Naturalmente gli avversari di Johnson in parlamento – sia l’opposizione sia i deputati conservatori a lui ostili – impiegano circa un minuto e mezzo per capire il gioco, e si crea presto un’alleanza in Parlamento per opporsi a no deal. Johnson annusa tutto e manda a puttane l’intera farsa cercando di sospendere il Parlamento (il cosiddetto prorogue), in modo che i deputati non abbiano più il tempo materiale per ostacolare il suo progetto. Una mossa esplicitamente autoritaria e offensiva nel contesto istituzionale inglese, dove la costituzione non è un documento scritto con regole precise, è un insieme di prassi consolidate. E Johnson ha pure la faccia tosta di fingere innocenza e definire la sua mossa come “nulla di eccezionale”. Ormai le opposizioni, anche all’interno del suo partito, non si illudono più, è chiaro che si ha a che fare con un vero pericolo per le istituzioni del paese. Si trova il modo di fare in tempo a bloccare il suo piano e Johnson reagisce con l’espulsione di venti deputati, mandando in frantumi la propria maggioranza con il primo voto parlamentare del suo governo. Una mossa politica altrettanto geniale si è vista solo al Papeete. Non è riuscito a costringere il Parlamento a sciogliersi, perché nessuno si fida più della sua buona fede. (22) In questi giorni Johnson pare sull’orlo di una crisi di nervi, i suoi interventi sono francamente imbarazzanti e sta perdendo alleati importanti. Ma ogni battaglia è nuova, la guerra per la Brexit è ancora in corso.
Chiudo con l’appunto più importante: che la Gran Bretagna uscirà dall’UE è assodato, prima o poi uscirà, è un esito ormai generalmente accettato anche da chi lo considera un errore madornale. Pensare di uscire senza accordo con il principale partner commerciale è invece una mossa talmente idiota che se ne può soltanto dedurre che paese abbia perso l’uso della ragione. Non sono mancate analisi delle conseguenze di no deal, indipendenti, governative (a volte messe a tacere, poi pubblicate) e istituzionali, e parlano tutte di conseguenze estremamente negative, a volte apocalittiche (disordini, mancanza di medicine, di cibo…).
Ma tutto ciò non influisce molto sul dibattito interno pubblico: i sostenitori del no deal liquidano queste analisi come l’ennesimo tentativo di Project Fear (terrorismo psicologico) da parte di sedicenti esperti.(23) Questi fautori di no deal citano addirittura la resistenza del popolo britannico durante la Seconda guerra mondiale, come se fosse un’analogia utile per capire il rapporto con l’UE (che sarebbe, ma davvero, equiparabile al nazismo?) (24).
Una domanda lecita a questo punto sarebbe: perché mai una persona sana di mente dovrebbe volere questo no deal? Le risposte più ciniche – ma confermate da alcune dichiarazioni e quindi credibili – sono essenzialmente due: 1) c’è chi ci guadagna, soprattutto nella City, per il fatto che così si evitano le nuove regole europee sul riciclaggio (25); 2) la libertà totale offerta, almeno in teoria, da no deal aprirebbe le porte agli americani e alla liberalizzazione completa dell’economia, soprattutto alle corporation interessate alla privatizzazione della sanità o al mercato alimentare attualmente inaccessibile per colpa delle più stringenti regole europee, con conseguente abbandono totale degli standard alimentari e ambientali dell’Europa.
Ora Johnson è in difficoltà. L’avvio del suo governo è stato forse il più disastroso della storia, una serie di sconfitte con le quali ha perso il controllo del Parlamento. Quindi dovrà dimettersi? Molto improbabile. Prima o poi avrà quello che desidera, cioè le elezioni. Saranno probabilmente le elezioni più penose, sporche e disoneste mai viste, perché Johnson ha già dimostrato di essere senza principi morali: non esiste una balla così grossa da non poter essere sparata. Finora ha avuto il sostegno di gran parte della stampa e la BBC è stata occupata da giornalisti allineati o impauriti, spesso dichiaratamente di destra. Johnson cercherà un’alleanza con Farage e punterà su un messaggio chiaro: usciamo dall’Europa subito e torniamo a parlare di altro. La gente è stufa di sentire parlare di argomenti oggettivamente complicati. Vuole soldi per le scuole, per la sanità, per i trasporti. Lui (o chi lo sostituirà) prometterà qualsiasi cosa a chiunque pur di vincere. Non è detto che non ci riesca.
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