Cattelan, creatore di banane

06 January 2025

Le banane appese e il gusto di mangiarle

La “banana di Maurizio Cattelan” appesa con lo scotch al muro ha messo al centro del chiacchiericcio massmediale il tema di cosa sia arte nella società dello spettacolo continuo. Il dibattito è però inutile per come è stato impostato, cioè come gossip e non quale reale discussione culturale su quanto effimera sia la visibilità del pezzo venduto, anche se la sua semplicità e iconicità lo rende facilmente simbolicizzabile e quindi più pervasivo nella memoria sociale. Pure fra dieci anni chi ama l’arte potrà dire: ti ricordi di quella banana appesa al muro venduta per milioni di euro? Magari l’identità dell’autore sarà dimenticata ma il frutto tropicale, propinato per arte, si potrà ricordare quale esempio negativo e sommamente ridicolo.


GLI SGNUNZ DELL'ARTE

L'argomento, per chi voglia approfondirlo, è stato già trattato con ironia e importanza filosofico-ermeneutica da Angelo Crespi nel suo acuto saggio: Ars Attack. Il bluff del contemporaneo (Johan and Levi editore, 2013) dove l’autore chiama simpaticamente “sgunz” e non “arte” quelle trovate a effetto che esauriscono nell’efficacia della comunicazione e nella novità del concetto (concettino) o dell’idea (ideuzza) tutto il loro debole, effimero e vuoto esserci. Gli esempi che abbiamo dinanzi ai nostri occhi sono molti: la “Venere degli stracci”, l’Ade del Bernini rifatto in acciaio da Jeff Koons, fino all’opera d’arte “invisibile” - perché ci devi credere - con a fianco l’unica cosa visibile, cioè la sua didascalia.


L'EGO ARTISTICO AUTORIFERITO

Ci troviamo di fronte alla medesima sterile e tediosa ripetizione dei moduli aforistici e autoreferenziali di Piero Manzoni (“Base magica”, 1961) e di Andy Warhol (i celebri “15 minuti” di notorietà e “This is not by me”). Constatiamo che, da quel tempo, la retorica mercantile della “non opera”, e quindi non-arte, contrabbandata come opera d’arte grazie alla potenza dei media scatenati dal mercato dell’arte contemporanea, grazie a facili moduli di comunicazione performativa-spettacolarizzante, non si sia mai fermata. Ma è fuor di discussione che, oggi, a un occhio attento, mostri segni di strutturale sfinitezza e auto-logoramento. Non è sempre vero che “il potere logora chi non c’è l’ha” - Giulio Andreotti docet -, se il potere è prigioniero di un proprio sguardo unilaterale e semplificato. È palese a tutti, anche a chi non è esperto o appassionato di arte, che non si può dare il nome arte a realizzazioni non trasformative, non trasfiguranti e che mancano di minima narratività e intensità di valori morali.

NON È ARTE

Non è sufficiente affermare: “ma è stato il primo a farlo” a chi asserisce: "posso farlo anch’io". Non è questo il punto. Il principio è: non c’è alcuna bellezza, né estetica, né tecnica, né formulazione di linguaggio - e neanche idea o progetto - nè concetto in un frutto appeso al muro. Puro non senso e vuoto cosmico. Non solo non è arte ma non rappresenta altro né porta in sé nessuna comicità. Malauguratamente il dio Mercato ha fatto il suo miracolo di riprodurre e moltiplicare il valore commerciale di un nulla in milioni di euro. Siamo ormai, lontanissimi, dalla gloria del pop americano anni 50-70 che si basava sull’ammiccante gioco di reciproca seduzione fra estetica e mercato. Siamo a uno scialbo eccesso, all’irrilevanza estrema, all'avvilimento ambiguo. Da considerare, d'altro canto, il gesto simil-artistico costituito dall'atto teatrale del miliardario cinese che morde e mangia la “banana d’artista” acquistata, provando così a entrare lui stesso nel campo dello sgunz internazionale, della fuffa-arte. Un’azione questa che sembra più artistica di quella di Cattelan, in quanto certamente più manipolativa e più trasformativa, ma anche questo gioco di secondo livello tradisce il vuoto nichilistico della non-arte da cui deriva. Questo fatto, poi, mostra solamente l'agiatezza smisurata dell’acquirente, che può permettersi di sperperare milioni di euro per gioco. Dimostrazione infinita di un mercato dell'arte senza idee né visione né capacità, che non riuscirà a perpetuare se stesso oltre la propria autodistruzione. Mangiare la banana, venduta come arte a caro prezzo, questo sì può essere un gesto simbolico, e rappresentativo, del suicidio dell’arte nella società del Mercato totale e del fanatismo consumistico privo di qualsiasi profondità.

di Vittorio Esperia

Foto fornita dall'autore

Video: si ringrazia l'autore del video

https://youtu.be/iKirnDZa5ek

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