PALERMO CALCIO, RICORDI IN ROSA NERO

18 May 2017

1982-87: DAI PRIMI RICORDI IN ROSA-NERO ALLO STADIO

di Giovanni Curatola

I miei primi ricordi legati al calcio risalgono ai primi anni ’80, quando già avevo 8/9 anni. Quando ancora dirette, e pay-tv erano fantascienza, il massimo che offrivano le domeniche pomeriggio erano la radiocronaca dei secondi tempi di “Tutto il calcio minuto per minuto”, i servizi televisivi di “90° minuto” del grande Paolo Valenti un’ora e mezza dopo la fine delle partite, quindi alle 19.00 la telecronaca registrata di un secondo tempo di una squadra di Serie A a rotazione e, per i calciofili più incalliti, “La domenica sportiva” in seconda serata su Rai1. Null’altro. I miei primi flash televisivi sul Palermo riguardano la trasmissione settimanale “Sotto l’erba”, condotta dai giornalisti Salvatore Geraci, Angelo Scuderi e un giovanissimo Guido Monastra. Andava in onda sull’emittente locale TeleSicilia. Ne guardavo brevi spezzoni con mio zio giù a casa sua, al 2° piano (io abitavo al 4°), nel suo televisore Grundig ancora rigorosamente in bianco e nero. Ricordo le rubriche del programma, riproposte anche nelle stagioni successive: “Ma le gambe” (bisognava indovinare, col sottofondo dell’omonima canzone, di quale giocatore fossero le gambe inquadrate), il peggiore dell’ultima partita (con le divertenti note di “Tu fai schifo sempre”) e il tabellone quadrato di legno dello studio con 90 caselle girevoli (i telespettatori chiamavano dando un numero. La valletta girava la casella corrispondente e se la domenica dopo il Palermo avesse segnato proprio in quel minuto, il fortunato vinceva un oggetto o un biglietto dello stadio).

Il primo servizio televisivo di una partita del Palermo da poco conclusa risale invece al tardo pomeriggio del 30 maggio 1982. Avevo 10 anni e in quei giorni mi preparavo per gli esami di 5° elementare. Non ricordo se era un servizio di “90° minuto” (che quel giorno si occupava interamente della Serie B, essendo già conclusa la Serie A per l’imminente Mundial spagnolo) o il telegiornale locale della neonata Rai3. Fatto sta che quel servizio iniziava (o finiva) con un’immagine che ho ancora ben fissa in mente: un falò appiccato sugli spalti dai tifosi infuriati. Quell’1-1 con la Reggiana, infatti, spegneva le residue speranze di promozione. Anni dopo, al normale interesse sulla storia della mia squadra ho aggiunto anche la curiosità di voler collocare quel mio primo ricordo offuscato nel suo contesto spazio-temporale. Documentandomi, sono venuto a conoscenza non solo che il Palermo quella Serie B 1981-82 la condusse a ridosso della zona promozione dalla prima alla terz’ultima giornata (alla gara interna con la Reggiana, appunto), ma anche che tanti eventi ed aneddoti resero quel campionato, nel bene e nel male, molto particolare.

La formazione titolare di quella stagione vedeva in porta il neo-acquisto Piagnerelli, in difesa i terzini Volpecina e Pasciullo coi centrali Silipo e Di Cicco. Quindi a centrocampo Gasperini (attuale ct dell’Atalanta) con Vailati, Lopez e De Stefanis. In attacco, l’evanescente Calloni (mal digerito dai tifosi proprio perché poco concreto) e Montesano. Alla prima di campionato, alla Favorita, il Palermo pareggiò rocambolescamente 3-3 col Bari quasi a tempo scaduto dopo essere stato in vantaggio per 2-0 e poi in svantaggio per 2-3. In mezzo, gara sospesa per invasione di campo e intervento della polizia a cavallo coi lacrimogeni. I rosa evitarono lo 0-2 a tavolino ma disputarono il successivo turno casalingo col Pescara sul neutro di Reggio Calabria, dove la buona accoglienza riservata dai locali ai 4.000 tifosi giunti da Palermo costituì il primo passo per il gemellaggio degli anni a venire. Alla 6° giornata, con un rotondo 2-0 su una Cavese partita a razzo in campionato, il Palermo raggiunse il 3° posto. Curioso il rigore del 2-0 di Lopez: la palla bucò la rete e il gol sfuggì a molti commentatori radio-televisivi. Da quel momento, con la città che iniziò a sognare davvero, l’obiettivo stagionale divenne senza mezzi termini la Serie A. Col pareggio di Cremona e le due sconfitte successive contro Perugia in casa e Verona fuori, la pazienza di società e pubblico verso l’inconcludente Calloni si esaurì. Proprio a Verona fu portata a termine la sua sostituzione con Gianni De Rosa, giovane attaccante capellone, allora in forza al Como, che appena 6 giorni dopo, il 15 novembre 1981, si presentò al pubblico della Favorita con una doppietta nel match vinto col Rimini (4-1). I 9 gol di De Rosa nelle restanti 9 partite del girone d’andata confermarono quanto provvidenziale fosse stato il cambio con Calloni. La squadra rimase sempre a 2,3 punti dalla zona promozione, col duo d’attacco De Rosa-Montesano che si intendeva a meraviglia. Di partita in partita andavano aumentando gli spettatori, sia in casa che in trasferta (in 5.000 nel derby perso 1-3 a Catania, in 10.000 nella gara del 24 gennaio 1982 a Roma contro la Lazio). Furono probabilmente quelle le prime partite fuori casa che videro al gran completo tutti i gruppi ultras rosanero, vecchi e nuovi (di fine anni ’70 erano i Commandos Aquile, il Club Filiciuzza e le Aquile di via Pitré, a cui da qualche mese si erano affiancati i Warriors e le Brigate rosanero). Il perentorio e per certi versi sorprendente 3-0 con cui il Palermo si sbarazzò della Lazio, oltre a far scoppiare fra tifosi laziali e rosanero i primi incidenti di una rivalità che si trascina tuttora, permise ai rosa di chiudere al 5° posto (e a -2 dalla zona promozione) il girone d’andata.

Alle balbettanti prime due gare del girone di ritorno (0-2 a Bari e 0-0 in casa con la Sampdoria), fecero poi seguito 3 successi di fila contro Pescara a domicilio (5-0) e Spal e Foggia in casa (2-1 entrambe). La Serie A era ora solo a una lunghezza, e a Cava dei Tirreni si presentarono 1.500 tifosi rosa. La gara finì senza reti, e il seguente 2-0 interno sulla Cremonese diede alla trasferta di una settimana dopo a Perugia il carattere di uno scontro diretto per la A. Scontro che i rosa persero 1-0 per un rigore regalato al Perugia allo scadere che fece gridare allo scandalo. “Non ci vogliono in Serie A” fu per una settimana l’indignato e arrabbiato leitmotiv di stampa e tifosi. Poi, il 4 aprile, spazio alla gara più importante della stagione. In una Favorita stracolma scendeva il Verona capolista, che ci lasciava le penne grazie a un bolide da fuori area di De Rosa che a metà del secondo tempo si insaccava sotto la traversa. Gara storica, pubblico in delirio e Serie A ad un solo punto. Sei giorni dopo, sabato di Pasqua, i rosa regolarono a domicilio il Rimini (2-0) ma il successivo pareggio casalingo contro la Pistoiese (1-1) in una Favorita nuovamente al completo impedì di scalare la vetta, che tuttavia restava sempre a un solo punto. Furono le due successive trasferte di Varese e Pisa, entrambe perse per 3-1, a far scivolare i rosa al 6° posto e a -3 dalla Serie A. La doppia mazzata fu forte, eppure un piccolo spiraglio per la promozione ancora restava. A tenerlo ancora aperto furono i successivi 2 punti casalinghi col Brescia e lo 0-0 in casa della Sambenedettese, che portarono il Palermo a 39 punti quando il tris di testa ne aveva 42. Ma domenica 23 maggio 1982, quart’ultima di campionato e giorno del derby casalingo col Catania, il grande sogno sfumò. Non sul campo, dove pure il Palermo s’impose per 1-0 con gol di Montesano, ma a tavolino. Accadde che prima della partita, un sasso scagliato da un tifoso palermitano rompesse un vetro del pullman etneo. Il difensore Miele non scese in campo e il Catania presentò a fine partita un reclamo col quale ottenne il 2-0 a tavolino. Dieci anni dopo il presidente rossoazzurro Massimino confesserà che si trattò di una messinscena, peraltro gratuita dal momento che il Catania non aveva più nulla da chiedere al campionato. Incredulo per simile colpo basso ideato a posteriori col solo scopo di frantumare le residue speranze di promozione dei rosa, tutto l’ambiente palermitano non riuscì a darsi pace. Fu da allora che la rivalità campanilistica tra le due tifoserie e le due città, sino ad allora sempre accesissima ma mai degenerata in aperta violenza, si tramutò in odio profondo e irriducibile. I punti da recuperare sulla 3° posizione, l’ultima utile per salire in A, erano adesso 4. Troppi, a sole 3 giornate dalla fine (allora la vittoria valeva 2 punti e non 3). La matematica teneva ancora a galla i rosa, fermi a 39 punti, ma era ormai evidente a tutti che sarebbe servito un autentico miracolo e che la A era già prenotata da Sampdoria, Verona (prime a 44 punti) e da una tra Pisa, Varese e Bari (a quota 43).

Ed eccoci, una settimana dopo l’infausto derby, a quel 30 maggio 1982 in cui la memoria di chi scrive ebbe il primo flash. Quel giorno, in casa contro la Reggiana, a riprova che al sogno della promozione non ci credeva ormai quasi più nessuno, gli spettatori furono meno di 18.000 (13.523 fra paganti e abbonati), ossia molti meno dei 26.000 di media che fece registrare in quella stagione il Palermo. Il match finì soltanto 1-1, e quei piccoli fuochi sugli spalti a fine gara (probabilmente appiccati bruciando giornali o cartoni) inquadrati alla fine del servizio televisivo post-partita altro non furono se non la rabbia e la delusione degli ultimi aficionados che ci credevano ancora. E se quelle fiamme sui gradoni di uno stadio ormai semivuoto costituiscono il primo nitido ricordo calcistico in assoluto della mia mente, per la mia lunga storia d’amore col calcio nata lì, da lì costantemente intrecciata con la storia della mia vita e mai interrotta, cadrebbero a ben vedere quasi a pennello le prime strofe dell’Inno del Movimento Sociale Italiano del 1946: “Siamo nati in un cupo tramonto, di rinuncia, vergogna e dolore…”. Già, tramonto e rinuncia. A un sogno (Serie A) che allora manco sapevo cos’era. Vergogna però no. Perché quella squadra, che in quella stagione incantò la tifoseria macinando buon calcio, avrebbe meritato senz’altro di più. Ma anziché la torta ricevette solo la ciliegina. All’ultima giornata infatti, davanti a pochi intimi, il gol con cui De Rosa mise lo zampino sull’ormai inutile 3-2 contro la Lazio valse al beniamino rosanero il titolo di capocannoniere della Serie B con 19 reti.

Ma io tutte ste cose qui le appresi col tempo, più grande. Dopo il primo “scatto” di Palermo-Reggiana, la macchina fotografica della mia memoria farà un salto di un mese e registrerà i successivi durante il Mundial spagnolo, quello vinto dall’Italia di Bearzot. Della prima fase ricordo ben poco, se non la voce di mio zio che mi chiamava per venire a vedere in tv i gol delle partite in diretta, mentre io giocavo col subbuteo montato sul grande tavolo del suo salone. Per un Ungheria-El Salvador finita 10-1, mi chiamava praticamente ogni 5 minuti… Della seconda fase del torneo ho ricordi più nitidi: delle partite dell’Italia (2-1 all’Argentina, 3-2 al Brasile e 2-0 alla Polonia) vidi solo i primi tempi perché durante i secondi andavo a servire messa con gli amichetti del quartiere nella nostra parrocchia dov’eravamo chierichetti. Dall’altare, durante la funzione, arrivavano nitidi e possenti i boati degli altri gol degli azzurri. Poi, l’interminabile e combattuta semifinale fra Germania Ovest e Francia vista di sera nel letto di mamma (fu allora che mi innamorai di quei panzer teutonici mai domi, in maglia bianca e con l’aquila nera sul petto, che in svantaggio per 3-1 ai supplementari trovarono la forza di ribaltare il match e far fuori la Francia ai rigori). Infine, la sera dell’11 luglio a casa di mio zio, la finalissima fra noi e quegli indomiti tedeschi, quindi l’esito che tutti sappiamo e la festa di clacson, bandiere e gente in strada vista con lui dal balcone. Da allora, i ricordi delle partite si sono fatti sempre più continui e sempre più corredati di date, luoghi, dati numerici e ricordi via via sempre più completi e indelebili. Più campionato di Serie A e Coppe Europee che Palermo, per la verità. Su un ragazzino di 10/12 anni le notti di Coppa della Juve di Platini-Boniek ma anche della Roma o delle altre italiane fanno più presa di una squadra (anche se della propria città) impelagata in anonimi o, peggio, disastrosi campionati B. Era il fascino delle squadre estere, del dentro o fuori in due sole partite. Difatti, in un periodo ancora di Guerra Fredda e di frontiere, il calcio degli altri paesi aveva un qualcosa di esotico che suscitava curiosità. Anche perché se ne sapeva e vedeva davvero poco: le classifiche pubblicate sul “Guerin Sportivo” e una trasmissione su Canale 5 o Italia 1 (credo di Cesare Cadeo) una volta a settimana. Amen. E il ricordo di quegli impegni europei delle italiane nel triennio 1982-85, specie la Juve, è ancora ben messo a fuoco nella mia mente (mi era concesso di vedere solo primi tempi, ma a volte riuscivo con vari stratagemmi a rimandare la ninna nanna al 90°). Nitido è anche il ricordo l’Europeo del 1984 dominato dalla Francia e di cui leggevo i resoconti l’indomani sulla Gazzetta che compravo (400 lire) prima di andare a pranzare dalla nonna. La tragica finale di Bruxelles del 1985, con tutti quei morti, fu forse l’ultima finale di una competizione di calcio che vidi giù da mio zio, sempre in bianco e nero. Arrivò poi il 1986, un altro mondiale (stavolta messicano) vissuto con animo balneare coi miei cugini milanesi a Mondello, quindi la radiazione del Palermo dalla faccia del calcio italiano.

Il 4 febbraio 1987 vidi per la prima volta una partita allo stadio. Il mio stadio, quella Favorita cui ero entrato per la prima volta pochi giorni prima in bicicletta e che, vuota, mi sembrò quasi quadrata, infinitamente più piccola di quanto la tv mi avesse fatto credere. Fu per l’amichevole fra le nazionali olimpiche di Italia e Romania. Lo decidemmo, io e i miei compagni di ginnasio Francesco e Gianluca, quasi per caso, quel giorno stesso appena usciti da scuola. Finì 2-2, con pareggio di Virdis quasi allo scadere davanti a 20.000 spettatori. Tornato a sera a casa, fui violentemente sgridato perché il giorno dopo avevo versione di Latino e non mi ero potuto preparare. Presi 8 e misi tutti a tacere. In estate, il 19 agosto, il Palermo appena rinato si presentò al proprio pubblico in un’amichevole con l’Atl. Mineiro. Stadio era stracolmo, alla faccia di un’agibilità concessa per metà degli effettivi presenti (22.000 contro oltre 40.000). Il mio personale battesimo rosanero dal vivo coincise col battesimo ufficiale di quella squadra, con cui da allora il legame divenne indissolubile. Come lo è per tutti i calciofili o anche per quelli che dal calcio sono attraversati di striscio. Legame a doppio filo. Perché come una partita aiuta a ricordare un evento personale a cui è legata, così non esiste ricordo personale bello o brutto (scuola, amici, malattie, lavoro, fidanzate, viaggi, cresime, matrimonio, finanche nascite figli o perdite di parenti) che non sia intrecciato a una determinata partita o a un evento calcistico accaduto in quel giorno o proprio a ridosso. Guai dunque se, ad una delle tante stazioni del percorso terreno, i binari della vita vanno a convergere con quelli del pallone! Non c’è più nulla da fare: da allora procederanno inevitabilmente sempre insieme, paralleli fino all’ultima stazione.

 

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News » I RICORDI DEL CALCIO DI UNA VOLTA di Giovanni Curatola - Sede: Nazionale | Thursday 18 May 2017