FUORI TEMPO
16 April 2017
CAPITOLO OTTO
Non riesco a staccarmi un solo istante da lui, non ho neanche avuto bisogno che mi chiedesse di restare perché lo avevo già deciso e non mi importa se fra due giorni sarò a casa a raccattare i pezzi del mio cuore, per la prima volta così coinvolto da un sentimento forte e prematuro.
Mentre Cecil fa la doccia, mando un messaggio a Ramona.
«Sono impazzito»
La sua risposta è immediata
«Finalmente. Andrà tutto bene, non abbiamo quindici anni».
Non li ho? Perché sentire lo stomaco sottosopra e avere la testa in tilt non mi sembra maturo né ragionevole.
«Mah».
Chiaro a entrambi che quest’ ultimo messaggio non meriti risposta, poso il telefono e mi alzo per andare in bagno.
«Cecil sto andando di là, ho bisogno di lavarmi i den...».
Una mano mi tira dentro la doccia e tutto diventa annebbiato, non solo dal vapore dato dal calore che c'è, ma dal fuoco che mi esplode dentro e mi fa dimenticare di essere alla sua mercé.
Non so più dove cominci io e dove finisca lui, mentre ci contorciamo per il piacere e ci lasciamo andare in sospiri sempre più affannati.
«Cosa mi hai fatto? Sto impazzendo».
Cecil sta quasi delirando, non sta zitto un secondo.
«É come se avessi una calamita addosso ed io non riuscissi a resistere».
Lo lascio fare perché mi piace vederlo fuori controllo, godermi la sua natura che nasconde così bene sotto un'apparenza da duro.
Quando si avvicina all'orgasmo e non si contiene più, sono costretto ad interromperlo, non voglio più ascoltare né pensare.
«Devi proprio andare via? Resta qualche altro giorno, resta un mese, resta».
So bene che non pensi davvero ciò che stia dicendo ma non intendo stare a sentire.
«Baciami».
Gli ordino guardandolo negli occhi, ed è il modo perfetto per interromperlo e fermare anche il mio flusso di pensieri.
Non pensare, non pensare, non pensare, continuo a ripetermi mentre raggiungo l'apice insieme a lui, con le sue mani su di me e le mie su di lui.
Andiamo a cavallo, no, loro andranno a cavallo, io non ci proverò neanche, lo giuro.
Siamo qui da più di due ore, il sole è cocente e abbiamo imparato a sellare i cavalli, grazie ad una spiegazione dettagliatissima di Robert, che è ormai da solo a gestire noi ospiti.
Cecil non si allontana da me un istante, mi tiene per mano, mi guarda e sorride, di quei sorrisi che non credevo potessero esistere sul suo viso così bello ma tanto enigmatico.
«Bene, chi vuole cominciare? Non fate i timidi, vi daremo una mano, saliremo con voi se avete paura. Vero C?».
Il suo amico ride per la provocazione.
«Ma certo, vi aiutiamo noi».
«Io voglio provare per prima, ma voglio andare da sola».
«Ramona non fare l'idiota».
Conoscendo le doti fisiche della mia amica non esiste una valida ragione per cui lo faccia.
«Che palle che sei, sembri mio padre».
«Constantin falla andare, siamo tutti qua, non può succedere nulla, indosserà tutto il necessario».
Cecil me lo sussurra all'orecchio ma tutti possono sentirlo nitidamente.
«Giuro che se le succede qualcosa non rispondo di me».
Sono serissimo mentre mi rivolgo sia a lui che a Robert e Tarita che mi guardano con aria canzonatoria.
«È deciso allora». Rob riprende il discorso, «Parte Ramona, io le sto a fianco, chi va con C?».
«Vado io, ma se lui sale con me, non mi sento sicura».
Barbara è più assennata di Ramona a quanto pare.
Rimango con gli altri mentre comincia la loro passeggiata.
La signora Dubois, con cui finora non ho parlato più di tanto, mi si avvicina con un sorriso molto dolce.
«Tesoro».
Mi verrebbe automatico dire "si mamma" ma preferisco sorriderle a mia volta.
«Sei caduto da cavallo?».
«No. Non mi piace, tutto qua».
«Ma ci sei mai andato?».
«Sì, da bambino, tante volte, ma non succede da una vita e non mi sento sicuro».
Il suo sorriso si fa ancora più materno.
«Certe cose non si dimenticano, e potresti pentirti di non averlo fatto».
Okay, la signora vuole parlare per metafore e fino a due minuti fa non credevo di aver tanto bisogno del parere di una perfetta sconosciuta
«La mia lista dei rimorsi legata a questo posto sarà già lunghissima, aggiungere qualche rimpianto non potrà peggiorare il tutto».
Non so perché lo abbia detto, forse è la sua voce calma, il suo modo di fare che mi ricorda tanto quello di mia madre.
«Meglio avere una lista di rimorsi, te lo dico per esperienza, come se fossi tua madre».
So perfettamente dove voglia arrivare, e intendo ascoltare tutto ciò che ha da suggerirmi.
«Finché non ledi la libertà del prossimo, finché affronterai tutte le conseguenze senza far male agli altri, allora, credimi, ne varrà sempre la pena».
Sbuffo abbassando lo sguardo.
«Sono le conseguenze che mi terrorizzano. Se cadessi? Se mi facessi davvero molto male? Se...?».
«Se la vita fosse fatta di se non sarebbe vita, mio caro. Ti dico una cosa che non ho detto a nessuno qua dentro: vedi quell'uomo?».
Indica suo marito «Lui non è il padre di Barbara, il suo vero padre ci ha lasciate in mezzo a una strada, e non nel senso metaforico del termine. Un giorno, mentre passavo da una casa ad un'altra in cui mi facevo dare vitto e alloggio per entrambe in cambio di pulizie, ho conosciuto questo ragazzo, un ragazzo perbene, di famiglia benestante e con un avvenire brillante. C’è voluto un minuto per innamorarci, una settimana per capire cosa volessimo, un mese perché lui, andando contro il volere dei tuoi genitori, mi portasse con sé a cercare un futuro insieme».
Mi sento commosso, non riesco a trattenere le lacrime.
«É davvero una bella storia, dovrebbe raccontarla a tutti, è una lezione di vita. Ma, per quanto le sia grato di averla condivisa con me, non riesco a capirne il motivo».
«Se non avesse colto l'attimo, se non mi avesse convinta che ne valeva la pena, non mi sarebbe bastata un'intera vita per avere la felicità che ho avuto in una settimana e da allora, per sempre fino ad oggi».
«E se per me fosse il contrario? Se fosse un enorme, gigantesco errore?».
Adesso voglio proprio sentire la risposta.
«Potrai trasformare l'errore in ricordo, tenerlo stretto al tuo cuore e lasciare che ti insegni qualcosa. E saliresti di nuovo a cavallo, prima o poi».
Mi strizza l'occhio mentre si allontana, Ramona e gli altri sono di ritorno e la signora ha deciso che tocchi a lei.
«Non sei tenuto a farlo se non te la senti. Cecil è di nuovo accanto a me e sfiora il dorso della mano con il suo».
«Lo faccio».
Lo faccio, ma si che lo faccio e voglio anche farlo da solo.
«Ti affianco io».
Sale sul suo cavallo e mi si accosta.
«Tu sai andare a cavallo».
«In un certo senso sì. Lo avevi capito, altrimenti non mi avresti proposto di affiancarmi e basta».
«Si capisce quando si ha una certa familiarità, scommetto che c'è una triste storia dietro».
«Niente di triste in realtà, per natura ho sempre cercato di evitare ciò che mi mettesse in pericolo e questa è una di queste cose».
«Ma oggi è diverso». Lascia che il suo cavallo si avvicini un po' per sporgersi ed accarezzarmi il viso.
«Oggi è diverso».
Proviamo ad andare un po' al trotto, incredibilmente è già il tramonto quando decidiamo di tornare. Vedo che Cecil sta scrivendo un messaggio, lo guardo con aria interrogativa.
«Ho detto a Robert che avremmo tardato e di non aspettarci per cena».
«Non è molto carino farlo senza chiedermelo».
Fingo di essermi offeso, sto morendo dalla voglia di capire i suoi piani.
«Mi farebbe l'onore di uscire a cena con me?». Si toglie il cappello e lo porta al petto mentre con una padronanza assoluta tira le redini e fa girare il cavallo in modo da essere proprio di fronte a me.
«Secondo me al ranch mettete delle droghe di nascosto nel cibo degli ospiti; insomma quanto è normale che tu sia questa freddissima persona che si trasforma in questo.
Enfatizzo indicandolo con il dito: mentre il tramonto si staglia alle tue spalle e io mi sento un cretino e dopodomani vado via...
«Cos». Mi interrompe.
«Io lo so, ma bastava dirmi sì o no».
«Sai anche che dirò di sì».
Gli dico mentre cerco di far girare il mio cavallo per prendere la via del ritorno.
«Sì è vero, so anche questo».
Il posto dove andiamo a cena è semplice, si sviluppa lungo un vicolo chiuso, il nostro tavolo è l'ultimo in fondo alla stradina e per questo ancor meno illuminato degli altri.
«Sai perché ti ho portato fuori a cena?».
Non perde tempo, ci siamo appena seduti.
«Di sicuro non per portarmi a letto».
Sto provando a sdrammatizzare il suo tono è troppo serio e la sua espressione un po' triste.
Cecil allunga le mani sul tavolo facendomi cenno di fare lo stesso, fa congiungere tutte le nostre dita intrecciandole in un unico pugno.
«Non so se mi andrà di salutarti, non sono fatto per il buongiorno e la buonanotte, figuriamoci per gli addii».
«Va bene. Fai come meglio credi».
«Io e te siamo parecchio diversi, tu hai il mondo in mano e si vede, persino quando sei arrivato al ranch, nonostante si leggesse nei tuoi occhi la tua voglia di scappare, non hai mai lasciato che il tuo atteggiamento ti tradisse. Anche adesso, sembra che non ti importi niente, che davvero per te sia solo stata una settimana in mezzo ad una vita».
«Non mi piace fingere, credo che sia un meccanismo di difesa inconscio, un po' come il tuo essere così freddo e scostante».
«Il mio di sicuro lo è, cerco di non affezionarmi alla gente, ho promesso a me stesso che non avrei mai più sofferto inutilmente dopo che ho provato il dolore, quello vero. Diversamente da te non riesco ad essere comunque gentile e aperto».
«Non sei così terribile» gli stringo un po' le mani mentre la cameriera ci interrompe per prendere gli ordini.
«La maggior parte delle persone crede che io sia uno stronzo, in parte lo sono, quindi mi sta bene così».
«E prima che provassi quel dolore, eri così chiuso?».
Sorride, ma rivolge lo sguardo da un'altra parte.
«Non ero poi tanto diverso, solo che Martin sapeva fare uscire il buono che c'era in me; mi ha sempre dato tanto coraggio, mi invogliava ad inviare le mie fotografie ai concorsi, mi ha confortato quando ha capito che stava per morire. Lui ha confortato tutti noi».
Inevitabilmente mi scende una lacrima, forse anche due.
«Non è poi così sbagliato quando dicono che siano sempre i migliori ad andarsene».
Scuote la testa, vorrei chiedergli per quale motivo mi stia raccontando tutto questo, ma non ne ho la forza.
«Quando Martin è morto, ci siamo sentiti spaesati per mesi, i miei genitori stavano per fare andare in malora tutto, io non avevo la minima intenzione di continuare a stare al ranch. Robert ha fatto il miracolo: ha lavorato ogni giorno come un matto, ha sostituito Martin in ogni mansione, mi ha trascinato con lui e insegnato tutto quello che Martin non era riuscito ad insegnarmi per anni. Vedere me così preso dal NOSTRO ranch, ha ridato ai miei qualcosa per cui sopravvivere».
«Mi sarebbe piaciuto conoscerli».
«Li conoscerai domani, tornano stanotte».
Il suo sorriso genuino, quello più bello di tutti, stasera è solo per me.
Andiamo avanti a parlare per ore, finiamo la cena e torniamo al ranch continuando a raccontarci del passato, delle stranezze delle nostre famiglie, di tutto praticamente.
Quando entriamo nel suo appartamento, mi porta verso una stanza in cui non ero mai entrato.
«Promettimi di non dare di matto!».
Lo dice quasi in un soffio mentre mi lascia entrare nella stanza e scoprire quanto non avrei potuto immaginare.
Ci sono centinaia di foto, ed io sono in quasi tutte; è come se mi avesse fotografato in ogni istante della mia permanenza. Mi avvicino silenzioso ad una in cui sto dormendo nel suo letto.
«Io...ho scattato foto a tutti, le ho anche pubblicate, ma...insomma, che ne pensi?».
«Non so cosa dire».
«Dimmi che resterai».
«Sono qui». Gli dico con ovvietà.
«Non adesso, non stanotte. Dimmi che resterai ancora un po', che ci daremo l'opportunità di conoscerci meglio, di capire se non è solo un’emozione pazza vissuta in un tempo troppo ristretto».
«Cecil».
Provo ad interromperlo.
«Non avevo più sviluppato una fotografia, non credevo ne valesse più la pena, i miei genitori amano quello che faccio ma Martin, lui capiva le mie foto, le contestava o le esaltava, ma capiva sempre, lui mi capiva. Quando è morto non ho più avuto un motivo valido per farlo, qualunque cosa fotografassi mi sembrava poi così arida, rispecchiava ciò che ero diventato.
Poi qualche giorno fa arrivi tu, e hai quest'aria così altezzosa e questi occhi così grandi e combattivi ma tanto buoni e aperti alla vita; non so come tu mi abbia notato, forse il destino, io non mi sono mai sentito così prima d‘ora. Cos guardami negli occhi e dimmi che tu non provi le stesse cose, dimmi che tra noi è stato quello che è stato e basta, dammi una ragione per cui io non debba chiederti di rimanere e provare anche solo a capire».
É sconvolto, continua toccarsi i capelli e cammina verso di me per poi indietreggiare.
«Cecil non c'è niente da capire, restare significherebbe solo ritardare l'inevitabile e renderlo doloroso. Una settimana in una vita intera diventa un bellissimo ricordo, se allunghiamo questo tempo, rischiamo di soffrire tantissimo».
«Se venissi io con te?».
«A che pro?».
Il mio tono si sta facendo agitato e non riesco a controllare la mia voce.
«Verresti per vivere in una dimensione per te quasi surreale come la tua lo è stata per me? E poi? Che io resti o che tu venga non cambia, ognuno di noi dovrebbe tornare alla propria vita, perché nessuno di noi due sarebbe disposto a rinunciarci, sempre che ne valesse la pena, perché ti ricordo che stiamo parlando solo di se e di ma».
Ho il fiato corto, sto mentendo. Io so che ne varrebbe la pena, io non ho bisogno di un'altra settimana o due per capire cosa provo.
Ramona aveva ragione, io avevo torto.
Io mi sono innamorato a prima vista e ho amato dopo un paio di giorni, e odio questa realtà delle cose come non ho mai odiato nulla prima.
«Allora va via adesso».
Mi sento raggelare non solo per il tono della sua voce così improvvisamente freddo, ma anche perché mi sta voltando le spalle e continua dire.
«Vattene!» senza guardarmi.
«Non mandarmi via così, che peccato sarebbe rovinare un ricordo tanto bello che abbiamo costruito insieme!».
Mi trema la voce e sto per piangere.
«Ne ho abbastanza di ricordi, non me ne serviva un altro che mi facesse stare male».
Provo ad avvicinarmi, lo abbraccio da dietro ma rimane rigido.
«Mi dispiace» sussurro mentre gli bacio il collo, cerco di scendere lungo le spalle allargandogli la camicia.
«Devi andartene».
«E domani me ne andrò. Lasciami restare».
Non risponde più, lentamente cede al mio corpo pressato contro il suo, senza fretta, senza eccessi.
«Non voglio guardarti».
Non è una richiesta, è un’imposizione, si poggia a pancia sotto sul letto e lascia che sia io a fare tutto.
Mentre non stacco un attimo, le labbra dalla sua schiena mi chiedo se sia il caso di lasciare che il silenzio vinca o dire quello che ho in mente. Non so dire nulla, vorrei gridare e arrabbiarmi, vorrei stringerlo e chiedergli di venir via con me, vorrei stringerlo tutta la vita e ridere con lui per sempre di questa folle settimana.
Soltanto i sospiri fanno da colonna sonora al nostro muoverci in sincrono, mentre mi spingo dentro di lui e lo cerco con le mani per aumentare il suo piacere.
«Cecil» dico con voce strozzata mentre raggiungo l'apice, «Scusami».
«Constantin» mi fa eco la sua voce, mentre gira la testa per provare a baciarmi.
«Perdonami».
Di cosa ci stiamo chiedendo perdono? Questa domanda mi accompagna per il resto della nottata, lui dorme accanto a me, guardo il suo petto fare su e giù a un ritmo agitato, non riesce a rilassarsi stavolta, forse ho solo peggiorato il suo stato d'animo. Sono stato egoista, ecco perché gli ho chiesto scusa.
É stato avventato e folle, per questo mi ha chiesto perdono.
Continuo a mentire, sento la mia anima ribellarsi al corpo mentre combattono tra bugie e verità.
La bugia di una vita detta a me stesso: non esiste l'amore scritto sui libri, esiste solo l'illusione data da tanta passione e complicità.
La verità che continuo a negarmi: l'amore non ha bisogno di tempo, lo inganna e ci gioca, lo rende infinitamente piccolo quando lo vorresti eterno, lo allunga quando arriva il momento di venire a patti con la realtà.
Chiudo gli occhi, finalmente, e li riapro dopo un paio d'ore, oggi il programma prevede un'intera giornata in libertà, possiamo scegliere di fare l'attività che abbiamo preferito, per arrivare alla sera della grande festa e ai saluti.
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News » Il racconto della Domenica | Sunday 16 April 2017
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