Russia 1941: quando la fanteria tedesca si arrestò... all'Ikea13/11/2020
Russia 1941: quando la fanteria tedesca si arrestò... all'Ikea13/11/2020
di Giovanni Curatola
Con la brillante e gigantesca operazione a tenaglia che chiuse nelle due enormi sacche di Vjaz'ma e Brjansk quasi 670.000 soldati russi (l’equivalente di 45 divisioni) poi costretti alla resa, i tedeschi a metà ottobre del 1941 si portarono a 200 km da Mosca. Parliamo per comodità di tedeschi, ma quella “crociata contro il bolscevismo” coinvolse soldati di ben 12 paesi europei: norvegesi, finlandesi, danesi, belgi, francesi, tedeschi ovviamente (i più numerosi e capifila dell’iniziativa), quindi italiani, spagnoli, slovacchi, croati, ungheresi e rumeni. Con quella gigantesca manovra le difese più robuste prima della capitale russa erano sfondate, ma occorreva adesso far presto perché già il clima volgeva al peggio e i rigori dell’inverno (il famoso “generale inverno”, l’alleato più formidabile dei russi dai tempi di Napoleone) iniziavano già a farsi sentire. L’arrivo del gelo e della neve avrebbe bloccato ogni ulteriore iniziativa militare, dando ai difensori russi tutto il tempo di riorganizzarsi e rinforzarsi. Era insomma una corsa contro il tempo, che i tedeschi intrapresero ben sapendo così di allungare troppo le punte più avanzate dei propri (e altrui) schieramenti dalle retrovie, a discapito di ogni tipo di rifornimento (bellico, vestiario, alimentare) e di perdere man mano forza d’urto. Ma per prendere Mosca entro l’inverno, era un rischio che si doveva comunque correre. E all’inizio sembrò pure andar bene.
Il 16 ottobre passò in mano tedesca Kaluga (185 km da Mosca), il 19 Možajsk (oltre il fiume Moscova, a 115 km dalla capitale), il 27 Lokotnya. Mosca distava adesso un’ottantina di chilometri, l’autostrada che la collegava all’Europa e la linea ferroviaria a Leningrado erano già state “tagliate” in più punti dagli invasori. La sorte della capitale russa era sempre più in bilico e Stalin, dopo aver fatto evacuare dalla città tutto il corpo diplomatico, le strutture politiche non idonee al combattimento e perfino le spoglie di Lenin, decretò lo stato d’assedio e, mobilitando mezzo milione di persone, fece fortificare la capitale con 8.000 km di trincee scavate, 100 km di fossati anticarro e 300 km di reticolati. Sarebbe bastato? Probabilmente no, l’unica speranza era dunque temporeggiare a qualunque costo per rallentare l’inarrestabile marcia nemica fino all’arrivo del “generale inverno”. E così fu.
Grazie al fango e al freddo, che rendeva sempre più impraticabili le strade per gli attaccanti, un’improvvisata linea difensiva lungo il Volga superiore. Un contrattacco sovietico presso Kalinin stabilizzò momentaneamente il fronte, mentre sul versante Sud lo slancio tedesco parve esaurirsi a pochi chilometri da Tula. Trascorse una quindicina di giorni col fronte pressoché immobile, il che sfavorì ovviamente i tedeschi, perché quello che era già difficile tentare subito, col passare dei giorni e col costante abbassarsi temperatura sarebbe diventato quasi impossibile. A metà novembre si raggiunsero i 15/20 gradi sottozero, ma conscio che uno stop invernale (data la possibilità pressoché illimitata per i sovietici di rinforzi dalla Russia asiatica) avrebbe significato dire a Mosca non arrivederci in primavera, ma più verosimilmente addio, il comando supremo tedesco decise di buttare ogni risorsa nella mischia e tentare il tutto per tutto nella speranza che un’ulteriore spallata fosse quella definitiva. Il fronte Nord si dimostrò assai più attivo e irruento di quello Sud. Il 17 novembre fu così superato in più punti il Volga, ultima barriera naturale prima della capitale, che con la caduta in mano tedesca di Istra e Krasnaja Poljana si trovò assediata per metà, sia pur a una trentina di km, dal semicerchio composto dalle punte più avanzate delle divisioni naziste. Fra il 20 e il 27 novembre tedeschi e loro alleati compirono il loro massimo sforzo, occupando dapprima la grande centrale elettrica di Jachroma, che riforniva l’intera Mosca ma che venne quasi subito ripresa dai russi, quindi arrivando a Lobnja (17 km dalla capitale) e Chimki (9).
I primissimi di dicembre, il “generale inverno” arrivò con le sue copiose nevicate, i suoi 40 gradi sottozero e i primi tedeschi congelati, a far man forte ai russi, che il 5 partirono al contrattacco. La linea del fronte orientale tornò di decine di km indietro, ed esaurita l’offensiva sovietica si stabilizzò fino all’estate successiva (1942), quando i tedeschi ripartiranno di nuovo, ma stavolta non più con l’obiettivo di Mosca, bensì, assai più a Sud, quello di Stalingrado e dei pozzi petroliferi del Caucaso. La capitale russa non correrà più pericoli d’invasione: come per Napoleone 130 anni addietro (che pure riuscì ad entrarvici), costituirà per l’invasore di turno l’inizio della fine.
Oggi, alla latitudine 55°54.775' e longitudine 37°24.175', 3 grandi strutture, composte ciascuna da altrettante travi rosse intrecciate a mò di cavalli di frisia, formano uno strano monumento nel punto esatto della massima avanzata tedesca del 1941. Il memoriale ricade nel comune di Chimki, praticamente in mezzo l’autostrada e a pochi metri dal cartello che segna l’entrata nel distretto di Mosca. La città vera e propria è a 9 km. E’ abbastanza verosimile che l’avanguardia tedesca della 258° divisione fanteria che, seppur per poco, arrivò ad attestarsi lì, poté vedere le torri del Cremlino, distanti 26 chilometri e mèta dell’intera campagna militare. Sul lato sinistro del monumento, ad di là dell’autostrada, la Russia post-comunista e ormai aperta al (semi)libero mercato ha impiantato un grande punto vendita dell’Ikea. Ci fosse stato già nel 1941, chissà se anziché tra la neve e il gelo del “generale inverno” la fanteria tedesca si sarebbe fermata e poi dispersa fra le sue invitanti vetrine ed aree espositive?
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