CHIARA MAGGI - “PER AMORE NON SI MUORE”
28 December 2023
di Roberto Dall'Acqua
Chiara Maggi è una scrittrice poliedrica che gioca con la scrittura sia nel romanzo rosa sia nei testi più impegnati. Addirittura il suo primo libro arriva quando frequenta la terza media. Qui ci parla del suo ultimo scritto, "Per amore non si muore".
- Come nasce Chiara Maggi come scrittrice?
Fare la scrittrice è sempre stato il mio sogno fin da che ho memoria. Ricordo di aver scritto il mio primo racconto breve in quinta elementare e il mio primo libro in terza media. Fin dalla tenera età, la scrittura ha rappresentato per me una forma di evasione dalla realtà, quando questa si faceva troppo opprimente, o più semplicemente, lo strumento con cui costruire mondi alternativi dove ritrovare i miei spazi mentali ed emotivi. Chiara Maggi, la scrittrice, nasce così, da poche parole scritte su un diario a scuola, da qualche pensiero volante messo su carta e da una passione irrefrenabile per le costruzioni d’inchiostro.
Siamo due donne che desideravano scendere in piazza insieme a tutte le altre per esprimersi sull’argomento e urlare il nostro pensiero, e l’unico modo sano e non violento che conoscevamo per farlo era usando le nostre capacità artistiche. Così abbiamo lavorato a ritmi pazzeschi, affinchè tutto fosse pronto per la pubblicazione del testo proprio nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne dello scorso 25 novembre 2023.
Come ho tenuto a precisare nella prefazione del libro, ho scelto di scrivere senza filtri, senza sconti, senza paura di dire le cose come stanno, quindi usando anche momenti descrittivi di brutalità, perché scrivere con la pura di ammettere la verità non sarebbe stato coerente con gli obiettivi di questo progetto e non avrebbe reso onore a tutte le donne uccise: loro, infatti, non hanno ricevuto sconti o filtri, ma solo brutalità.
Le donne, sempre più spesso, muoiono per mano degli uomini, questo è ormai un dato di fatto, e ritengo che uno dei modi per provare a sedare questo terrificante fenomeno sia insegnare quando bisogna insegnare e parlare quando bisogna parlare. Mai come in questo caso, quindi, confido nella diffusione dell’idea principe contenuta nel mio libro: la violenza attira violenza e ispira violenza, ma forse vuol dire anche che l’amore può attirare amore e ispirare amore, se solo si sa scegliere su che binario viaggiare; e come tutte le scelte, la si può prendere solamente se consapevoli ed educati a certi valori che, nonostante sembrino solo uno sbiadito ricordo in questa società, sono sicura che ci sia ancora modo di recuperarli e tramandarli.
Quindi sì, racconto impegnato, senza dubbio, spinto dal triste clima sociale in cui, in primis da donna, mi trovo a dover vivere. Come molte altre, condivido la paura della notte, del tacco troppo alto, del trucco, sul piano pragmatico; ma anche la paura di rispondere in un certo modo, di alzare la testa se qualcuno prova a mettermi a tacere, ed è successo, la paura della disparità, dell’inferiorità fisica che, per leggi naturali, contraddistingue il nostro sesso.
Cosa mi ha spinta a cambiare direzione narrativa? La voglia di vincere questa paura.
Ho quasi venticinque anni e non trovo giusto che la mia vita, come anche quella di tutte le altre donne a prescindere dall’età, debba essere condizionata dal terrore di innamorarmi perchè lui potrebbe essere quello sbagliato, che un giorno si presenta con un bouquet di rose e il giorno dopo mi tira un pugno.
Il percorso narrativo che ho intrapreso ha tentato di contrastare il dolore per la morte di Giulia Cecchettin, una bambina come me, ma anche quello di trovare premeditazione e totale assenza di pietà nelle azioni del suo assassino che, agli atti pratici, è anch’esso un bambino; al contempo ho sentito doveroso farlo, per me, per lei, e per tutte le vittime di femminicidio. Perchè, diciamocelo: sembra tutto molto ovvio e scontato quando se ne sente parlare in giro, ma alla fine è palese che non lo sia affatto.
Giulia non è stata la prima e purtroppo nemmeno l’ultima a morire così, ma è stata colei che ha condotto le donne, e non solo, a cominciare a fare veramente rumore e che ha animato la mia penna in un modo totalmente nuovo e ispirato.
Non se ne esce, non facilmente almeno.
Relativamente a questo argomento, una sostanziale disparità tra uomo e donna nasce dal diverso modo in cui decidono di difendersi o attaccarsi. Tendenzialmente, le donne usano le parole, l’uomo la fisicità. Questa diversità è normale e non dovrebbe esserci nulla di male, se non per ciò che la rende una differenza ormai pericolosa, quando alla base di entrambi i comportamenti non c’è più il giusto equilibrio tra quando e come adoperarli; in quei casi manca una struttura portante dietro che può essere ottenuta solo con l’insegnamento.
Anche perchè la fisicità vincerà sempre sulla forza psicologica quando di parole non si muore, ma di botte sì.
Quindi la domanda si reduce a una sola: chi ha colpa in tutto questo? Ovviamente chi prevale con la violenza, a prescindere da che sia uomo o donna, perchè per essa non esiste giustificazione alcuna, nè ora nè mai.
Ritengo che parte della sofferenza derivi dalla consapevolezza che non è vero che tutti gli uomini sono uguali: esistono realmente quelli buoni, ma è sempre più difficile trovarli e riconoscerli. Io sono figlia di uno di loro, a mio parere il migliore in assoluto, e vedo nei suoi occhi e in quelli di mia madre una profusione continua di vicendevole amore; e, guardandoli amarsi così, so che ogni donna meriterebbe un uomo di questo tipo al proprio fianco, così come lo avrebbero meritato anche le vittime di femminicidio, senza distinzioni.
Ritengo che gran parte dei genitori non abbia più il coraggio di esserlo: decidono di mettere al mondo i figli per sfizio o per moda, ma poi non hanno il tempo di occuparsene o il coraggio di dire loro un secco “No”. Perchè discutere con i figli, rimproverarli e sentire le loro lamentele è un lavoro che richiede fatica e pazienza, ma soprattutto tempo; e in una società come quella di oggi, il tempo è il primo bene che manca. Eppure questo non cambia il fatto che confronto, ascolto e osservazione dei comportamenti rimangano tre elementi fondamentali per conoscere quel figlio che, un giorno, sarà un uomo libero nel mondo e che avrà intensi rapporti sociali con le altre persone.
Dopodichè c’è la manipolazione della parola “libertà” fino alla sua totale perdita di significato. In nome di questo concetto, ormai radicato in ogni nostra conversazione, si inneggia follemente al fine di non essere mai limitati in quello che facciamo, perchè “è nostro diritto essere liberi di fare, di dire, di pensare”. Ed è vero, è un nostro diritto che, io per prima, in quanto scrittrice, difendo a spada tratta. Ma lo si può invocare solo quando la libertà è frutto di regole e giuste limitazioni atte a proteggere il nostro bene e quello di chi ci circonda e, fintanto che quelle regole vengono viste come qualcosa da infrangere senza conseguenze, penso che qualsiasi uomo avrà “il diritto” di uccidere una qualsiasi donna.
Dopodichè ci sono coloro che condividono pensieri di solidarietà e vicinanza alle vittime di femminicidio o di violenza in generale, dopo essersi tappati le orecchie davanti alle loro continue denunce, o che hanno preferito chiudere un occhio davanti a una critica richiesta di aiuto, nonostante avessero la possibilità di intervenire. Piangere sul cadavere di una vittima non deve più essere il modo per svincolarsi dalla propria parte di responsabilità, perchè noi vogliamo essere vive e delle lacrime non ce ne facciamo molto sotto terra.
Pertanto, ritengo che da quell’affermazione se ne possa uscire solo rispolverando il vero concetto di amore, semplice e sano, e sostituendolo all’ormai integrato modello di amore tossico e malato di cui si parla ovunque, a partire dalle canzoni moderne.
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News » #LIBRIALLASPINA | Thursday 28 December 2023
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