"IL DIARIO" DI DORA MILLACI

13 August 2017

di Dora Millaci

Il diario

 

Un senso di profonda stanchezza invase la mia anima e non solo il mio corpo, mentre con calma percorrevo il vialetto per giungere alla casa.

Erano già tre settimane che tutti i giorni mi recavo lì, a farle compagnia, da badante e da infermiera e per cosa? Per sentirmi poi trattare come una perfetta idiota, un'incapace buona a nulla, benché ci mettessi invece tutto l'amore e l'accuratezza di questo mondo.

Forse perché troppo uguali, e per questo facevamo scintille ogni volta che ci incontravamo.

Girai la chiave nella toppa ma prima di varcare la soglia ecco, ancora un sospiro profondo per cominciare la giornata.

“Sei in ritardo di cinque minuti” mi fece notare con la sua voce stridula mentre mi avvicinavo al letto.

Digrignai i denti per non offenderla, e facendo finta di nulla le domandai: “Ciao mamma, come ti senti oggi?”

“Come vuoi che mi senta?” cominciò lei con la sua cantilena “Mi sono rotta il femore e sono tutta un dolore”.

L'aiutai a lavarsi, a cambiarsi e le feci fare colazione, dopo, mentre la dolce mammina si leggeva il giornale, iniziai le faccende di casa.

Ogni tanto mi guardava con lo sguardo interrogativo, riprendendomi su qualche cosa che secondo lei avevo fatto in maniera errata, dopodiché si rituffava nella lettura.

Dal canto mio cercavo di mantenere la calma, ma era davvero difficile, e per non sentirla decisi di accendere la radio.

Sapevo bene che questo la irritava, e forse una parte di me lo faceva anche di proposito, ma tra noi c'era una battaglia in atto che durava non da giorni, da anni.

Dopo pranzo finalmente si appisolò ed io avevo qualche ora di libertà, pur standole sempre accanto.

Quel pomeriggio casualmente lo trovai, sistemando la biancheria stirata. Era ben nascosto in fondo ad un cassetto del grande comò, e la curiosità s'impossessò di me.

Era ingiallito dal tempo, e per prenderlo lo maneggiai con cura cercando di non rovinarlo. Fremevo come una bambina che aveva appena trovato un tesoro, e per non farmi vedere mi nascosi in una stanza vicina per ammirarlo nella sua interezza.

Aprii una pagina a caso e sprofondai nella lettura, scoprendo più avanti che sviscerava un mistero, celato non solo tra quelle frasi scritte a penna, ma nelle pieghe di un cuore.

Quanto dolore, quanta sofferenza porto con me. Eppure li maschero dietro quel sorriso perché non voglio e non posso fare altrimenti. La vita scorre così veloce e nella mente mi passano tante domande a cui non so dare risposte.

Interpreto un ruolo, un personaggio, sono diventata una brava attrice e ingoio tutte le lacrime amare che vorrei far scorrere davanti al mondo e dinanzi a lei. Purtroppo non mi è concesso e così ogni giorno è una nuova recita che mi sta uccidendo l'anima.

Tu sei il mio unico confidente, con cui posso sfogarmi liberamente, e chissà se mai qualcuno leggerà queste pagine e riuscirà a capire, senza giudicare.

Il bene, l'amore, si dimostra in tantissimi modi e io ho deciso di dimostrarlo in questa maniera. Forse assurda, irragionevole, incomprensibile per coloro che vedono dal di fuori la situazione, ma per me, che la vivo sulla mia pelle, è l'unica possibile”.

Leggevo avida di sapere quelle parole pregne di emozioni. Dove mi avrebbero condotto? Che cosa avrei scoperto? Sembrava difatti che all'interno di quello che pareva un diario, si nascondesse un oscuro segreto, quello di una ragazza di nome Megan.

“Che strano” pensai “È il nome di mia madre”.

Per un attimo mi fermai guardando quella donna dal carattere gelido che mi aveva messa al mondo e che stavo accudendo, con la quale non avevo nulla in comune.

Continuai con altre pagine.

Ci sono dei momenti in cui tutto questo pare assurdo anche a me, ed è soprattutto alla sera, quando la stanchezza prende il sopravvento, oppure quando i ricordi riaffiorano prepotenti. Cerco allora di scacciare via tutto pensando alla motivazione che mi spinge a fare quello che sto facendo. Nuove forze mi giungono non so neppure da dove e continuo la mia crociata, ignara della destinazione.

Megan smettila di scarabocchiare su quel quaderno!” esclama la signora infastidita “Aiutami a sistemarmi i capelli”.

Non mi ero accorta che era alle mie spalle, nonostante l'età avanzata aveva ancora il passo leggero come un gatto.

Subito!” rispondo alzandomi di scatto e facendo sparire il diario.

La signora aveva superato da poco gli ottant'anni ma non era di sicuro una dolce vecchina, anzi tutt'altro.

In quel viso ovale che dimostrava meno della sua età, accarezzato da una pioggia di capelli grigi sempre ben tenuti, vi era perennemente un'espressione austera.

Non ricordo un sorriso, né tanto meno una risata. Possedeva un carattere forte, determinato, duro come il marmo, e così anche il cuore.

Ero la sua schiavetta, che doveva balzare in piedi ad ogni ordine.

Per tutto il giorno era così. Una sequenza di comandi da effettuare senza soste. Era estenuante stare da lei, ma non potevo fare altrimenti.

Le uniche ore tranquille erano quelle serali dove ritornavo a casa mia, eppure laggiù lasciavo la mente, pensando all'altra ragazza che faceva il turno di notte.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, senza sapere quanto sarebbe andato avanti.

Se da un lato tutto questo mi stava logorando e nei momenti più neri e buoi speravo nella fine, dall'altro mi pentivo, mi sentivo mortificata, amareggiata dei miei stessi pensieri. Già, mi pareva di essere un mostro per quello che mi era passato per la mente.

Megan fai questo; Megan ancora quello; Megan sbrigati!” la sua voce rimbombava nelle mie orecchie come il ticchettio di un orologio.

A volte mi mancava il fiato da quanto mi faceva correre, ed io stavo sempre in silenzio accondiscendendo a tutto.

Come potevo ribellarmi, oppormi, oppure andarmene?”

Continuando nella lettura riuscivo ad avvertire la sofferenza di mia madre quando scrisse quelle cose. Strano però, non ricordavo avesse mai lavorato da una signora come badante.

Le sue parole mi avevano coinvolto a tal punto che non riuscivo più a staccarmi dal diario. Dovevo arrivare alla fine e comprendere il motivo che l'aveva spinta a non lasciare quel luogo e quella donna così arida e perfida.

Ci sono cose che non si vorrebbero fare e che la ragione non ti farebbe mai compiere, ma il cuore e i sentimenti seguono una strada differente, ed è quella che assecondai.

Volevo avere la coscienza a posto e potermi guardare allo specchio senza volgere lo sguardo altrove, per questo in silenzio sopportavo ogni cosa, le sue angherie, i maltrattamenti, le prepotenze.

Trascorsero circa sette lunghissimi anni in quel modo, tra una sofferenza e una vessazione, quando il tramonto le accarezzò il viso tanto che, alla fine, non riuscì più ad alzarsi dal letto. Era giunta la sua ora.

Arrivò il medico, la visitò e mi confermò l'inevitabile.

Mi sedetti vicino al letto quando mi guardò come per la prima volta, e allungando la mano mi chiamò: “Megan, vieni accanto a me”.

La voce era stranamente diversa dal solito, più calma, pacata e dolce. Non sembrava la sua.

Mi dica signora” risposi quasi sottovoce alzandomi e andandole vicino.

Perché mi chiami così?” esclamò lei sorpresa.

Fu allora che, fissandola dritta negli occhi, la riconobbi e seppur sorridendo, le lacrime iniziarono ad uscire prepotentemente offuscandomi la vista. Erano lacrime di gioia miste all'angoscia e alla tensione di tutti quegli anni oscuri, trascorsi nella menzogna, nella falsità benché fossero dovuti all'amore più grande.

Mi prese la mano e se la passò sulla guancia.

Grazie di tutto” esclamò con un filo di voce.

Furono le sue ultime parole.

Non ebbi il tempo di chiamarla ancora una volta col suo vero nome e dirle quanto le volessi bene. Sono certa comunque che lei avesse compreso ogni cosa.

L'abbracciai forte forte, e stringendola a me tra i singhiozzi sussurrai: “Lo rifarei di nuovo mille volte, mamma”.

Chiusi il diario che lasciò in me un'emozione indescrivibile. Mia nonna, che morì prima della mia nascita, soffriva di una forma grave di Alzheimer e mia madre, pur di starle accanto aveva sopportato di tutto.

Con gli occhi lucidi e il cuore che mi batteva a mille, gonfio di commozione, rimisi a posto quel tesoro indescrivibile.

Capii quanto lei l'avesse amata, compresi che il vero amore può ogni cosa, andando anche oltre ciò che noi possiamo immaginare.

Andai da lei, mi sedetti sul letto e senza dirle una parola, l'abbracciai più forte che potei. Un abbraccio forse il primo, che fu ricambiato allo stesso modo.

 

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | Sunday 13 August 2017