Elvira e i tre levrieri

24 July 2016

di Vittorio Esperia

Donna e i suoi tre levrieri procede lenta sulla riva. Il sole appena levato, domenica 10 luglio; estate. Ha il passo spedito e il profilo fiero da occidentale in gita. Trapassa dai suoi pantaloncini di jeans sbrecciati, con quei buchi messi lì apposta da un genio della moda. Le gambe sono lievemente tornite, il tronco sodo, le braccia toniche; il bianco lattiginoso della carnagione si sta colorando come cioccolato alla primo stadio di infusione nel pozzo dei desideri dolciari. Non è del tutto abbronzata, come i tre levrieri al suo fianco che la scortano, ha le cosce ancora bianche; troppo chiare per essere reali. Pineta, arriva <<dagli alberi del mare>> come diceva Benedetta, una delle mie gemelle, da quello spazioso ancoraggio di ginepri che i suoi occhi non hanno visto crescere. Quel tatuaggio sul braccio, macché sulle cuffie dei rotatori della spalla per la precisione, cosa solletica mentre si avvicina insolente ? È a sinistra ma potrebbe essere a destra anche o in un'altra qualsiasi parte del corpo. Le sta bene, anche se è un cerchio grande come un corso e ricorso della storia, della sua storia. È un'idea che mi faccio di lei - come la maggior parte sono pensieri quelli che tu fai di me, mentre leggi questo scritto - ma non so se corrisponde alla realtà. Realtà? Elvira, la chiamo Elvira. Perché è originale nel suo incedere, a un che di nobile, screziata nel suo comune vestire; anche con quella canotta bianca che lascia il busto non troppo scoperto. Forse ha deluso un uomo, magari ha deluso lei, forse è stata tradita. Presa in giro da tre bellimbusti, tre dandy da poco senza patria né onore, che l'hanno violentata con il possesso. Hanno preso la sua mente ma non il suo corpo. O il contrario. Ha tre levrieri, muso assottigliato e pelo raso, cioccolato ora. Quel colore partorito quando il dolce non si fonde ancora con l'animo del prodotto, quell'iride luminescente che ancora non c'è. <<Buongiorno>> mi dice Elvira, troneggiandomi, dinanzi, lieve sulla battigia. Occhi nocciola, capelli castani alla Audrey Hepburn di “Colazione da Tiffany”, velati da un'altera sicurezza. È algida? Passionale? Domande che corrono nel vuoto, rapite nella veloce corsa dei tre cani su questa spiaggia stremata dalle alghe. Cala Ginepro cinge Elvira e la sua famiglia di levrieri, con la voluttà del mare quando sarà mattino tra un momento. Cosa abbraccia nei suoi levrieri, Elvira? Cosa ha trovato nell'universo fin qui? Cosa c,è nel suo mondo? È a colori? Fuori e dentro “cosa le manca, cosa non ha, che cosa insegue e non lo sa”? Micro panta di jeans e l'orlo un ricordo; la filettatura bianca, leggermente strappata è un vanto: Una medaglia che la donna nordica portà con sé con soavità. Quali altri trofei nel suo medagliere? Lei non studia, lei non calcola. Saluta. <<Buongiorno>>. Lo devi dire perché sente di dirlo. Senza convenzioni, solo per piacere. Non sono un vicino né un collega magari tedioso che le posta avances non richieste. É troppo viscerale essere femmina, anche se non facile. Qui - con le sue Superga candide come il peccato che ancora non nasce che appena un po' e toccano i miei piedi bianchi riflessi nell'acqua - mentre ritorna da un punto indefinito dell'insenatura. <<Facciamo papà - vociava Anna - da un punto all'altro della spiaggia>>, condiva i giorni di vacanza l'altra mia gemella, anche se vorrei togliere mia. Le, venerate, figlie non mi sono mai appartenute; non sono venute fuori dalla mia pancia, le ho sempre vissute come un elemento, fondante, interno ma specialmente esterno alla mia persona. Elvira riemerge, da un punto all'altro della spiaggia, la canotta bianca diventa un puntino sempre più lontano - forse è il caso di cambiare gli occhiali? - una luce che se ne va nella scia luminosa dei suoi tre levrieri. Non la incontrerò più? C'è solo, oltre gli ombrelloni gialli, le sdraio appassite dal solo, la canottiera bianca. Nel suo incedere non affonda, le scarpe sulla sabbia sono baluardi a difesa del suo scoglio, del suo regno del nord. Di quando tornerà lassù e, persa tra le nebbie padane, riassaporerà il profumo di questa landa scottata e rattrappita dall'unica ricchezza di quest'isola. La femmina ammaliatrice ha un che di architettonico nel corpo. Non come le guglie slanciate di un duomo vetusto e onusto di gloria. Ecco, direi, che Elvira ha la grazia di una chiesa di campagna; piccola e accogliente; dove dentro c'è ogni ben di Dio. Le panche comode - non quelle orribili sedie di plastica da supermercato - una statua della madonna, misurabile con l'altezza di una donna, tornita dalle sagge mani di un artigiano. Nel luogo sacro della donna del Nord c'è ovviamente. Il percorso della via crucis, con tavole in legno della grandezza che non offusca gli occhi né per la troppa ricchezza né per la troppa povertà. Scolpite e levigate dal tempo quanto basta, come direbbe un cuoco quando cala la pasta mentre divide le porzioni, oculatamente, per non spender troppo. C'è nella parrocchia di Elvira un prete gentile che le porta, pacato, la croce? O la portano insieme? <<Dammi un bacio, un bacio sulla fronte>>, reclamavano Anna e Benedetta ma lo richiede anche quel curato di campagna? La canotta bianca sull'asciugamano distesa, come i pantaloncini che hai smesso, ora, per svelare il tuo duomo. Anche se duomo non è. È ardimentoso entrarti dentro, vederti arrossire senza malizia, senza svelamenti confessabili solo al tuo sacerdote di fiducia. L'onore lo hai dentro e c'è solo un significato nel tuo tatuaggio; perché non è un delfino o un insulso cuoricino alla moda con tatuato un nome d'amore. È un cerchio - ma pure un quadrato con dentro ogni spizzico poliedrico del suo cuore padano - in quel rotondo centro di vita che sei tu, Elvira. Dentro di te c'è un segreto. Donna del Nord raccontamelo. Qui, al venticello, emanato in pineta, da tronchi rattristiti che friniscono di cicale e strusciano di grilli.

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