Abbiamo tutti l’ansia di cancellare le foto
13 November 2025
Quando la memoria del telefono diventa la memoria di noi stessi
C’è un momento nella vita di ogni persona (e di ogni smartphone) in cui compare quella frase tanto temuta: «Hai esaurito lo spazio sul tuo dispositivo».
E lì, davanti a quello schermo pieno di ricordi, ci sentiamo come davanti a un armadio che trabocca di vestiti: sappiamo che dovremmo fare ordine, ma non riusciamo a scegliere cosa lasciare andare.
Cancellare una foto, oggi, è diventato un gesto emotivo. Non eliminiamo un file, ma una piccola parte di noi.
Viviamo in un’epoca in cui la memoria è infinita o almeno, così ci piace credere.
Ogni emozione ha il suo album, ogni relazione la sua cartella, ogni istante il suo posto nel rullino.
Eppure, nonostante i giga, i cloud, i backup, ci sentiamo sempre… pieni.
Secondo una ricerca condotta nel Regno Unito da LiteCycle Transitions, il 44% della Gen Z conserva file e immagini inutili “per paura di perderli.”
Ma forse non è paura di perdere. È paura di dimenticare.
Così teniamo tutto: le foto sfocate di serate confuse, gli screenshot di conversazioni finite, i video del concerto in cui non si sente nulla ma in cui, per un attimo, ci siamo sentiti vivi.
Cancellarli sarebbe come ammettere che quel momento e quella versione di noi non esistono più.
Eppure, il disordine digitale non è solo un fastidio tecnico. È un rumore di fondo, un carico invisibile che pesa nella mente.
Uno studio dell’Università di Bath ha scoperto che chi conserva troppi file è più stressato, meno concentrato, più ansioso.
Forse, più che liberarci di spazio sul telefono, dovremmo liberarci di peso dentro.
Il decluttering dell’anima
Ho provato a farlo. Dieci minuti alla settimana, solo per cancellare.
All’inizio mi sembrava di tradire i miei ricordi, poi ho capito: non stavo perdendo nulla, stavo scegliendo.
Scegliere cosa resta, cosa conta, cosa merita spazio.
Un piccolo gesto, quasi terapeutico: come buttare una lettera che hai già letto mille volte o un vestito che non ti somiglia più.
Creare cartelle, rinominare file, fare ordine nel caos.
Perché ogni volta che tocchiamo “Elimina”, stiamo solo dicendo: questa versione di me ha già detto quello che doveva dire.

La memoria che si tocca
Forse dovremmo tornare a dare peso alla memoria fisica.
Stampare le foto che contano davvero. Quelle sfocate ma sincere, quelle che raccontano un’emozione e non un filtro.
Perché quando una foto è solo un file, la guardi e scorri, ma quando è su carta, la vivi.
La memoria digitale è perfetta, ma la memoria reale è viva. E solo ciò che vive, un giorno, può anche svanire. Ed è proprio questo che la rende preziosa.
L’arte di dimenticare
La vera sfida non è salvare tutto, ma imparare a dimenticare; a fidarci dei ricordi, non dei backup.
Perché forse la libertà non è avere 10.000 foto nel rullino, ma riuscire a cancellarne una senza sentire il bisogno di guardarla ancora.
E allora mi chiedo: se ogni foto racconta una versione di noi, quante versioni siamo pronte a lasciar andare per fare spazio a quella che stiamo diventando?
Post scriptum
E io, alla fine, le stampo le foto.
Non tutte, solo quelle che contano davvero.
Quelle che hanno dentro una risata, una carezza, un giorno che non tornerà.
Le appendo, le tocco, le spolvero ogni tanto.
Perché non voglio solo ricordare la mia vita: voglio vederla vivere.
di Giorgia Pellegrini
Foto e video liberi da copyright
© RIPRODUZIONE RISERVATA copyright www.ilgiornaledelricordo.it
News » L'ECO DEL MIO SENTIRE | Thursday 13 November 2025
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